Nel caso di cessione pro soluto di un credito nei confronti di un'impresa soggetta a procedura concorsuale, il cedente, che si è insinuato al passivo del fallimento prima della cessione e non è stato estromesso dalla procedura, conserva il diritto a emettere la nota di variazione. Il chiarimento è arrivato con la risoluzione n. 120/E del 5 maggio.
La vicenda
Una società aveva ceduto, successivamente all'istaurarsi della procedura concorsuale, i crediti pro-soluto vantati nei confronti dell'impresa fallita. Al momento della cessione, lo stato d'insolvenza era quindi già esistente e accertato dal tribunale fallimentare.
Il quesito cui dare risposta era in sostanza legato all'individuazione del soggetto legittimato a emettere nota di variazione in diminuzione (di cui all'articolo 26, secondo comma, del Dpr 633/1972), nel caso di infruttuosità della procedura fallimentare: dal solo cedente del bene o prestatore del servizio originario, ovvero, in virtù della cessione del credito, dalla società cessionaria.
Con riferimento al caso concreto posto al vaglio dell'Amministrazione finanziaria, per la società istante X, nel caso di procedure già avviate dalle quali la stessa non è stata mai estromessa e rimane parte attiva, il soggetto legittimato a emettere la nota di variazione in diminuzione è l'originario prestatore del servizio:
limitatamente all'importo effettivamente non recuperato, nell'ipotesi di recupero parziale del credito
per l'importo complessivo del credito ceduto, nell'ipotesi di irrecuperabilità totale del credito ceduto.
A conclusioni analoghe giunge l'agenzia delle Entrate che, nel fornire il proprio parere, ribadisce quanto già affermato con la circolare 98/2000, chiarendo alcuni aspetti prettamente procedurali relativi all'emissione delle note di variazione.
In particolare, l'analisi elaborata dalla prassi amministrativa parte da un esame preliminare dell'articolo 1267 del codice civile, secondo cui in caso di cessione del credito a titolo oneroso, il cedente, pur dovendo garantire l'esistenza del credito al tempo della cessione, non risponde anche dell'effettivo adempimento del debitore ceduto, salvo che ne abbia assunto la garanzia. Ne consegue che lo stesso è liberato nel momento in cui cede il credito al cessionario (cessione pro soluto). L'operazione, in altri termini, si sostanzia nella cessione di un credito da parte del soggetto titolare del diritto cedente (X) a un altro soggetto cessionario (Z), che acquisisce il credito, normalmente a un prezzo inferiore al suo valore nominale. Come sopra evidenziato le disposizioni di carattere civilistico impongono al cedente di garantire la mera sussistenza e validità del credito (cosiddetto nomen verum) al momento in cui si realizza la cessione. In tale ultimo aspetto si sostanzia la differenza tra cessione pro soluto e cessione pro solvendo. Difatti, nella prima fattispecie il cedente è tenuto a garantire soltanto l'esistenza del credito ceduto, mentre nella seconda deve garantire anche l'effettivo adempimento del debitore ceduto. Per effetto del contratto di cessione pro soluto si evidenzia, inoltre, che la titolarità del credito si trasferisce al momento della stipula del contratto stesso.
Sotto un profilo prettamente tributario, gli esperti del Fisco hanno ricordato che in tema di note di variazione, indipendentemente dalle vicende di carattere civilistico, l'articolo 26, secondo comma, del Dpr 633/1972 dispone che "se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli artt. 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive rimaste infruttuose (...), il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'art. 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'art. 25".
Ne consegue che, sulla base del tenore letterale della disposizione, solo il cedente o il prestatore di servizio possono recuperare in detrazione l'imposta, originariamente addebitata in fattura e versata all'erario, non riscossa a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose (in senso conforme l'Amministrazione finanziaria si è espressa con la circolare 98/2000). Sul punto si rammenta che le variazioni in diminuzione, che hanno natura facoltativa e non obbligatoria, hanno come fine ultimo quello di consentire al soggetto che abbia versato all'Erario l'imposta applicata in fattura di poter recuperare il relativo importo in caso di accertata infruttuosità della procedura(1).
Tuttavia, affinché la stessa possa ritenersi legittimamente emessa, l'Agenzia ha evidenziato come anche la giurisprudenza della Cassazione sia costante nel ritenere che il recupero dell'imposta attraverso la nota di variazione, ai sensi dell'articolo 26 del Dpr 633/1972, presuppone sempre "l'identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originaria da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili" (sentenze 9188/2001 e 5356/1999). In tal senso, anche la pronuncia della Suprema corte n. 8455/2001, in cui si legge che "l'applicazione del citato articolo 26 comma 2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 presuppone una variazione del rapporto giuridico tra i due soggetti originari dell'operazione imponibile: cedente e cessionario di un bene, committente e prestatore di un servizio".
In conclusione, se la società cedente si è insinuata al passivo prima di aver ceduto il credito, e se non è stata estromessa dalla procedura stessa, nonostante l'intervenuta cessione dei crediti determini l'immediato trasferimento degli stessi ad altro soggetto (Z), sotto il profilo fiscale il cedente resta l'unico soggetto legittimato a emettere note di variazione in diminuzione. A tal fine, non rilevano gli accordi di carattere civilistico con cui è previsto un eventuale "riversamento a favore del cessionario" delle somme eventualmente recuperate attraverso l'emissione delle note di variazione.
In altri termini, la cessione del credito pro soluto non rileva ai fini dell'individuazione del soggetto legittimato all'emissione della nota di variazione, che può essere emessa per un valore pari alla differenza tra il valore nominale del credito e l'ammontare complessivo dei pagamenti parziali (comprensivi sia della quota imponibile che dell'imposta) eseguiti dal fallito, a nulla rilevando il prezzo del credito ceduto pro soluto corrisposto dal cessionario.
NOTE:
1) L'esatto momento in cui si ha la certezza della totale o parziale infruttuosità della procedura, come precisato dalla circolare 77/2000, si realizza solo a seguito della ripartizione finale dell'attivo e, pertanto, la facoltà di eseguire la variazione in diminuzione potrà essere esercitata non prima di tale momento.
Fonte: Agenzia Entrate
0 commenti:
Posta un commento