In caso di indagine finanziaria condotta nei confronti di una società, è legittimo utilizzare i dati desunti dai rapporti finanziari intestati a persone fisiche a essa collegate, quali soci, amministratori o procuratori speciali, quando l'Amministrazione finanziaria provi, anche tramite presunzione, la natura fittizia dell'intestazione o la sostanziale riferibilità alla società dei conti o di alcuni loro singoli dati: in tal caso, incombe sul contribuente l'onere di provare l'estraneità delle operazioni contestate alla propria attività d'impresa.
Questi i principi desumibili dalla sentenza 25474 del 13 novembre della Corte di cassazione.

Il fatto
Sulla base delle risultanze dell'attività ispettiva condotta dalla Guardia di finanza per l'anno d'imposta 1998, l'ufficio dell'Agenzia delle Entrate notificava a una società di capitali un avviso di accertamento ai fini imposte dirette e Iva.
L'atto impositivo si avvaleva dei riscontri contabili effettuati sui conti correnti bancari intestati, oltre che alla società verificata, all'amministratore e al procuratore speciale della stessa. L'accertamento contestava un maggior reddito ai fini Irpeg e Irap derivante da redditi non contabilizzati e dal disconoscimento di elementi negativi di reddito ritenuti fiscalmente indeducibili.
L'atto conteneva anche rilievi ai fini Iva, derivanti dalla constatazione di versamenti non giustificati, da considerarsi come operazioni imponibili non fatturate, e dall'indebita detrazione dell'imposta relativamente a costi non deducibili in quanto non inerenti all'attività d'impresa.

Il contribuente impugnava l'avviso di accertamento.
Il relativo ricorso, respinto in sede di prime cure, era parzialmente accolto dai giudici della Commissione tributaria regionale.
I giudici d'appello hanno ritenuto non riconducibili alla società i versamenti emersi dalle indagini bancarie sui conti intestati all'amministratore e al procuratore speciale della società e, pertanto, non imputabile alla stessa il corrispondente maggior reddito; inoltre, hanno reputato detraibile l'Iva sulle spese che, invece, l'ufficio aveva ritenuto non inerenti.

Con un unico articolato motivo di ricorso, l'Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza della Ctr, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 32 del Dpr 600/1973 e 51 del Dpr 633/1972.
Secondo l'ufficio finanziario, i giudici d'appello avrebbero mal giudicato nel ritenere non riconducibili alla società le movimentazioni bancarie rilevate sui conti dell'amministratore e del procuratore speciale, poiché la normativa fiscale consente all'Amministrazione di porre a base delle rettifiche, ai fini delle imposte dirette e dell'Iva, i dati e gli elementi desumibili dai conti della società e dei soci, laddove questi ultimi non fossero in grado di fornire idonee prove contrarie in ordine alla natura e alle finalità extra-societarie di dette operazioni.
Stesso rilievo in ordine alla detraibilità dell'Iva in difetto della prova del requisito dell'inerenza delle relative spese all'attività d'impresa: a parere dell'ufficio, tale elemento, al pari della certezza del costo e della sua adeguata documentazione, rappresenta titolo essenziale ai fini della detrazione dell'imposta.

Ritenendo fondate le doglianze dell'Amministrazione, la Corte di cassazione ha deciso per l'accoglimento del ricorso e la conseguente cassazione della sentenza nonché, decidendo nel merito, ha sancito il rigetto del ricorso introduttivo della società contribuente.

La decisione
Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione è tornata ad affrontare la questione relativa ai poteri degli uffici finanziari nell'attività di acquisizione dei dati utilizzabili ai fini dell'accertamento, sia in materia di imposte dirette che di Iva, con specifico riferimento al caso - ricorrente nella specie - in cui tali dati siano attinti da conti intestati ai soci o agli amministratori, e non alla società sottoposta ad accertamento.
Sul punto, è ormai pacifico ritenere che, in caso di indagine finanziaria condotta nei confronti di una società, è legittimo acquisire e utilizzare anche i dati risultanti dai conti correnti intestati alle persone fisiche con essa collegate quali soci, amministratori o procuratori speciali quando l'Amministrazione finanziaria provi, anche per presunzione, "la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati".
Ne deriva che l'Agenzia delle Entrate non è tenuta a provare la pertinenza all'attività aziendale di tutte le movimentazioni risultanti da tali rapporti bancari, tenuto conto che "la corretta interpretazione dell'art. 32 del DPR 600/73 impone alla società contribuente di dimostrare l'estraneità di ciascuna di quelle operazioni alla propria attività di impresa (cfr. Cass. 20199/10, 15217/12, 12625/12)".

Il medesimo principio vige in tema di Iva, laddove l'indagine finanziaria, condotta ai sensi dell'articolo 51, comma 2, numeri 2 e 7, del Dpr 633/1972, può anche non limitarsi ai conti formalmente intestati alla stessa, riguardando anche i rapporti di soggetti a essa collegati, sempreché l'Amministrazione finanziaria dimostri, sulla base di elementi indiziari e presuntivi particolarmente significativi, "la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di singoli dati od elementi di essi (cfr., ex plurimis, Cass., 24995/06, 8634/07, 374/09, 11145/11, 5849/12)".
Pertanto, se l'Amministrazione finanziaria ottemperi adeguatamente al proprio obbligo di motivare la sostanziale riferibilità a un soggetto indagato di un conto formalmente intestato a un terzo, l'onere di dimostrare il carattere extra-aziendale delle movimentazioni finanziarie contestate ricadrebbe sul contribuente.

Peraltro, lo stesso contribuente, per contrastare la pretesa erariale, non può limitarsi a fornire documenti o fatti privi del necessario riscontro probatorio.
Il mero richiamo alla presenza di una contabilità formalmente regolare, ad esempio, potrebbe non costituire un motivo non sufficiente in tal senso quando, come nel caso di specie, l'ufficio ha fondato motivo di ritenere, sulla base degli elementi indiziari raccolti, che i conti e i rapporti finanziari intestati a terzi siano "utilizzati per occultare operazioni commerciali della società, ovvero per imbastire una vera e propria gestione extracontabile - per il che è evidente che la regolarità formale di quella ufficiale non è, all'uopo, sufficiente - allo scopo di porre in essere un'evasione fiscale (Cass. 374/09, 5849/12)".

Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità colgono l'occasione per esprimersi anche in tema di diritto alla detrazione dell'Iva relativamente a costi o spese fiscalmente indeducibili per difetto del requisito d'inerenza.
A tal fine, la Suprema corte ha ribadito che l'articolo 19, comma 1, del Dpr 633/1972, richiede, al fine della detrazione, la qualità di imprenditore dell'acquirente e l'inerenza del bene o servizio acquistato nell'ambito dell'attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene o servizio stesso, "lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell'interessato, senza che la sussistenza dei predetti requisiti possa neppure presumersi in ragione della sola qualità di società commerciale dell'acquirente (cfr., tra le tante, Cass. 3518/06, 16739/07, 2362/13, 16853/13)".


Fonte: Agenzia Entrate

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