La Corte di cassazione (sentenza n. 24448 del 30 ottobre) è stata chiamata a giudicare sulla legittimità della sentenza della Ctr, territorialmente competente, che aveva dichiarato la validità dell’accertamento fiscale condotto nei confronti di un contribuente per il recupero a tassazione delle maggiori imposte dirette (Irpef, Irap) e indirette (Iva), nonché per la corresponsione degli oneri previdenziali dovuti per un determinato periodo di imposta.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva ricostruito il reddito dell’imprenditore mediante l’utilizzo degli standard degli studi di settore applicati all’attività economica svolta dal contribuente, dalla quale emergeva uno scostamento reddituale maggiore rispetto a quanto dichiarato e del quale non erano state fornite adeguate giustificazioni.

Come evidenziato dal giudice di primo grado, in merito alla mancata spiegazione dello scostamento dei redditi da parte del contribuente, non basta produrre le fatture, ma bisogna che i documenti contabili dimostrino la realtà economica affermata, che nel caso specifico, si trattava di attività, i cui studi di settore non erano ancora stati approvati.

Nulla è valso al contribuente appellarsi all’errore nella compilazione della dichiarazione dei redditi, avendo inserito un codice attività diverso rispetto a quello effettivo (commercio al dettaglio invece di quello all’ingrosso).
Infatti, secondo i giudici di merito, tali argomentazioni erano da ritenere del tutto inidonee a giustificare lo scostamento tra il reddito presunto e quello che, secondo il contribuente, era stato effettivamente prodotto.
Affermava la Ctr che le giustificazioni addotte erano quantomeno tardive, atteso che la dichiarazione presentata riguardava l’ambito di applicazione di taluni studi di settore (vendita al dettaglio), considerando che non erano stati ancora approvati studi di settore per il commercio all’ingrosso del tipo di merce venduto dal contribuente.

Inoltre, il ricorso evidenziava che la sentenza era stata inficiata dal cosiddetto error in procedendo, non essendo stata fissata dal giudice di prime cure l’udienza per la sospensiva.

Però, in tal caso, la Corte ricorda come “non viola il diritto di difesa del contribuente il giudice che, senza ritardo, decida il merito della causa senza pronunciarsi sull’istanza di sospensione dell’atto impugnato, in quanto l’articolo 47, comma 7, del Dlgs 546/1992, prevede che “gli effetti della sospensione cessano alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado”, sicché non è ipotizzabile alcun pregiudizio per la mancata decisione sull’istanza cautelare che, pur se favorevole, sarebbe comunque travolta dalla decisione di merito”.

Il contribuente, a sua volta, evidenziava anche il vizio per errata o omessa valutazione, nella sentenza di secondo grado, delle fatture prodotte. Infatti, è stata considerata decisiva, ai fini del giudizio, l’indicazione dei numeri di partita Iva, dai quali emergeva lo status dei soggetti che avevano emesso i documenti contabili, differenziando i soggetti privati dalle aziende.
Secondo il ricorrente, non è stato considerato dai giudici il confronto tra la dichiarazione dei redditi e le fatture emesse, che avrebbe provato l’esistenza di compravendite con soggetti muniti di partita Iva (commercio all’ingrosso).

Preliminarmente, ricorda la Corte, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora il ricorrente voglia censurare il giudizio della Ctr sotto il profilo della congruità di quanto espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (che è bene ricordare non essere un atto processuale, bensì amministrativo), è necessario, a pena di inammissibilità, che nel ricorso vengano riportati testualmente i passi della motivazione dell’atto che si ritengono essere stati erroneamente interpretati o pretermessi dal giudice di merito. Ciò al fine di consentire al Collegio di esprimere il suo giudizio.

Per quanto concerne l’applicazione degli studi di settore per il calcolo di eventuali scostamenti del reddito prodotto rispetto a quello dichiarato dal contribuente, il Collegio afferma che questa procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard dello studio in sé considerati.
Gli studi di settore, rammenta il Collegio, sono considerati come meri strumenti di ricostruzione per lavorazione statistica della normale redditività. La valenza dell’atto impositivo sul minor reddito rilevato nasce solo in esito al contraddittorio che deve essere attivato obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente.
In questa sede, infatti, l’accertato può, anzi deve, provare la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli studi di settore o la specifica realtà della sua attività economica nel periodo di tempo in esame.

La motivazione dell’atto di accertamento non può, dunque, esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità, in concreto, dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. Ricade, dunque, nel libero convincimento del giudice valutare, in seguito, l’applicabilità degli standard al caso concreto.

La Corte di cassazione rileva, nel caso concreto, una doppia ratio decidendi: da un lato, l’inidoneità dei documenti prodotti, in sede di giudizio di appello, dal contribuente recanti i numeri di partita Iva degli acquirenti, per provare che l’attività da questi svolta fosse di commercio all’ingrosso; dall’altro, la dichiarazione dei redditi ritenuta erronea dal contribuente e dalla quale si evince lo svolgimento, per un periodo di tempo, dell’attività di commercio al dettaglio, e non all’ingrosso, trattandosi di merci per le quali non era previsto uno specifico studio di settore.

Alla luce di quanto detto, non trovando opportune spiegazioni, né in merito alla prima, né alla seconda ratio decidendi, la Corte ha respinto il ricorso del contribuente accogliendo quanto rilevato in sede di accertamento dei redditi dall’Amministrazione finanziaria mediante l’applicazione degli studi di settore.


Fonte: Agenzia Entrate

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