La Corte di legittimità torna a occuparsi della tassabilità dei proventi illeciti (nella specie, redditi da usura).
In particolare, i Supremi giudici sono stati chiamati a pronunciarsi sulla legittimità o meno dell’applicazione operata dal giudice di secondo grado del disposto dell’articolo 14, legge n. 537/1993 anche a periodi di imposta precedenti all’entrata in vigore di detta normativa.
In base a tale disposizione, fra le diverse categorie di reddito debbono ritenersi compresi “i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”.
Ebbene, nella sentenza n. 17953/2013, il Collegio giudicante ha ritenuto legittima l’applicazione della legge n. 537/1993 anche a periodi di imposta precedenti alla sua entrata in vigore (nella specie 1992 e 1993), uniformandosi a un proprio precedente indirizzo giurisprudenziale (cfr Cassazione 16 aprile 2007, n. 8990; Cassazione 10 giugno 2009, nn. 13360, 13361 e 13363), secondo il quale l’articolo 14, comma 4, costituisce un’interpretazione autentica della normativa contenuta nel Tuir.

Nello statuire ciò, la Corte suprema ha anche escluso che all’applicazione retroattiva del disposto dell’articolo 14 possa ostare il principio di non retroattività delle norme tributarie introdotto dallo Statuto del contribuente. Ciò in quanto, per propria costante giurisprudenza, le disposizioni della legge n. 212/2000 non hanno efficacia retroattiva, in base al principio di cui all’articolo 11 disp. gen., a eccezione delle norme che costituiscono attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, in quanto espressione di principi costituzionali vigenti.
Pertanto, in base a tale indirizzo giurisprudenziale, anche l’articolo 3 dello Statuto, che ha codificato il principio di irretroattività nella materia fiscale, non trova applicazione con riferimento alle leggi anteriormente vigenti (in tal senso, cfr Cassazione 16 aprile 2008, n. 9913; Cassazione 13 novembre 2006, n. 24192).

Alla luce di tali principi, il Collegio ha ritenuto legittima la sentenza dei secondi giudici, con la quale era stato avallato l’accertamento induttivo operato dall’ufficio per gli anni 1992, 1993 e 1994 all’esito di indagini finanziarie svolte sui conti correnti, concernenti movimentazioni non giustificate dal contribuente, prosciolto per prescrizione dal reato di usura, nonostante l’intervenuto accertamento da parte del giudice penale dei fatti costituenti il reato allo stesso ascritto.

Nello statuire ciò, la Corte ha anche ribadito il principio secondo cui l’assoluzione in sede penale dal reato non preclude all’ufficio di considerare i versamenti risultati sui conti come redditi imponibili suscettibili di rettifiche secondo la disciplina di cui al Dpr n. 600/1973, articolo 32, comma n. 2 (in tal senso, ex multis, Cassazione 15 luglio 2008, n. 19362; 30 dicembre 2009, nn. 27947 e 28038; 13 settembre 2010, n. 19493; 3 agosto 2012, n. 14026; 15 febbraio 2013, nn. 3762, 3763 e 3764).


Fonte: Agenzia Entrate

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