La Corte di cassazione (sentenza n. 17963/2013) è intervenuta per dirimere un dubbio interpretativo relativamente alla base di calcolo del beneficio fiscale introdotto dall’articolo 8 della legge n. 388 del 2000 in termini di concessione di un contributo, nella forma di credito d'imposta, a favore delle imprese, operanti in determinati settori, che effettuano nuovi investimenti in quelle aree svantaggiate individuate dalla cennata norma fiscale di natura premiale.
Più precisamente, si tratta dalla corretta applicazione del secondo comma del citato articolo 8, per il quale - ai fini della determinazione dell'ammontare dell'investimento oggetto del beneficio - rileva la parte del costo complessivo dei nuovi investimenti “eccedente le cessioni e le dismissioni effettuate, nonché gli ammortamenti dedotti nel periodo d'imposta, relativi a beni d'investimento della stessa struttura produttiva”.

Nel caso di specie, una società aveva preso in affitto un’azienda nel periodo d’imposta nel quale aveva effettuato i nuovi investimenti richiesti dalla citata normativa, effettuando le acquisizioni di beni strumentali nuovi di cui agli articoli 67 e 68 del Tuir (nella versione ante 2004) “destinati a strutture produttive già esistenti o che vengono impiantate nelle aree territoriali di cui al comma 1”, ma aveva calcolato il limite ostativo al calcolo del credito d’imposta soltanto sugli ammortamenti effettuati sui propri beni strumentali (ossia quelli di proprietà “diretta”, non in affitto).

La ragione della necessità del computo degli ammortamenti di tutti i beni strumentali nella disponibilità dell’imprenditore (propri o di proprietà di terzi) è affermata dalla pronuncia in commento, seppure non abbia addebitato alla società alcun intento elusivo, invece prospettato dalla difesa erariale nella possibile fruizione del credito d'imposta per beni che - a loro dire - teoricamente coprono soltanto il deperimento di quelli già esistenti e, quindi, non sono non da considerare beni d’investimenti nuovi.

L’eccezione del contribuente della deroga convenzionale al disposto dell'articolo 2561 cc, il quale, per effetto del richiamo al successivo articolo 2562, sancisce l'obbligo dell'affittuario dell'azienda (tra le altre previsioni di salvaguardia del valore dell’azienda affittata) di conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti, non è stato ritenuto decisivo dalla Corte di legittimità, anche per la specifica previsione dell’articolo 8, comma 2, per il quale “per gli investimenti effettuati mediante contratti di locazione finanziaria, si assume il costo sostenuto dal locatore per l'acquisto dei beni”.
Invero, non sembra che tale disciplina sia dirimente del dubbio interpretativo, risultando essa normativa specifica e derogatoria di quella generale, le cui finalità legislative - individuate dalla decisione in rassegna nello “agevolare gli investimenti nuovi e non quelli diretti a compensare l'obsolescenza di beni strumentali utilizzati nel periodo preso in considerazione” - risultano frustrate, in quanto l’imprenditore ben potrebbe essere indotto a non effettuare investimenti proprio perché limitati nel beneficio dalla presenza di un’azienda da restituire al proprio concedente.

Invero, il tema attiene alla rilevanza del limite individuato nei “beni d'investimento della stessa struttura produttiva”, con l’effetto che risulta rilevante, ai fini del computo degli ammortamenti effettuati, soltanto una “stessa struttura produttiva”, ossia un’azienda individuata dall’articolo 2555 del codice di diritto comune quale complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.
Nessun dubbio che un’impresa possa avere diverse aziende, come dimostrato non soltanto dalla disciplina dell’affitto d’azienda, ma anche dell’usufrutto della stessa, risultando decisivo che tale complesso aziendale non sia stato inglobato nel precedente già esistente e ciò non è dato presumere soltanto dalla identità dell’attività economica (nel caso di specie, l’azienda in affitto aveva a oggetto la stessa attività di pastificio).
Ne consegue che ciò che emerge dalla lettera della legge agevolativa non è il complesso di tutti i beni a disposizione dell’impresa, ossia i propri e quelli di terzi, ma le singole aziende; ma, trattandosi di norma di favore, l’onere dimostrativo che l’azienda in affitto o in usufrutto non sia stata incorporata in quella originaria incombe sull’imprenditore (come da giurisprudenza di legittimità costante e pacifica sul tema).

Non si riscontrano precedenti giurisprudenziali negli esatti termini, ma possiamo evidenziare come la Corte regolatrice del diritto, nella sentenza 20 luglio 2012, n. 12658, aveva statuito la mancanza del presupposto della acquisizione del bene (anche intesa, questa, in senso lato, come acquisto del potere giuridico di utilizzare il bene) allorché l'immobile, costruito dalla società contribuente su terreno a essa concesso in comodato dai due soci, fosse divenuto proprietà dei comodanti in virtù del principio di accessione di cui agli articoli 934 e seguenti del codice civile.
Ancora più rilevante appare la pronuncia di Cassazione 30 novembre 2012, n. 21411, per la quale è agevolabile anche la realizzazione di impianti generici, realizzati con nuovi progetti, a condizione, tuttavia, che non siano beni di terzi concessi in locazione non finanziaria e che costituiscano un bene autonomo rispetto al vecchio impianto (ossia, non rappresentino meri interventi di manutenzione di quelli preesistenti).
Infine, può essere utile rammentare che la sentenza della Corte 25 novembre 2011, n. 24936, ritenne che l'investimento costituito dall’acquisto soltanto di locali uffici e annessa area scoperta è inidoneo, per tale sua entità, a realizzare l'oggetto dell'attività produttiva, non risultando ravvisabile alcuna struttura produttiva dotata di autonomia gestionale capace di svolgere un'attività tesa alla realizzazione di un prodotto.


Fonte: Agenzia Entrate

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