La Corte di cassazione è intervenuta sull’accertamento sintetico del reddito d’impresa con le concomitanti pronunce 6220 e 6222 del 20 aprile, stabilendo che, nel caso di incrementi patrimoniali non giustificati (acquisto di quote sociali), l’ufficio può procedere con metodo induttivo, utilizzando anche presunzioni semplici prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge. In tal caso, infatti, si è in presenza di elementi fattuali che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito.


Il fatto
La vicenda concerne, in particolare, alcune contribuenti, socie di una Srl, le quali venivano raggiunte da un avviso di accertamento, con ripresa a tassazione di un maggior reddito Irpef e Ilor, per avere omesso di presentare la prescritta dichiarazione dei redditi.
La Commissione di primo grado accoglieva il ricorso, il cui esito veniva confermato in appello, in ragione del fatto che, nel caso concreto, sarebbero risultati carenti i presupposti per l’accertamento sintetico-induttivo, considerato che le contribuenti avevano acquistato, insieme ad altri componenti del gruppo di imprese partecipate, quote sociali pagate, in parte, mediante un finanziamento effettuato dai precedenti soci della Srl, che veniva successivamente restituito dalle contribuenti, e per la restante parte attraverso un prestito bancario.
Inoltre, il giudice d’appello rilevava che gli incrementi patrimoniali verificatisi per un’annualità non potevano riverberare i propri effetti per anni precedenti, stante l’autonomia di ogni periodo di imposta (articolo 7 Dpr 917/1986).

L’ente impositore propone ricorso per cassazione, sostenendo che la Commissione del riesame, in violazione dell’articolo 38, commi 4 e seguenti, del Dpr 600/1973, non considerava che l’Amministrazione ben poteva procedere all’accertamento sintetico sulla scorta degli incrementi patrimoniali verificatisi in un anno in relazione ai cinque anni precedenti, trattandosi di presunzione legale semplice, a meno che le contribuenti avessero dimostrato che si sarebbe trattato di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta. Peraltro, non è stato neppure considerato che la presunzione legale di maggiore capacità contributiva scattava per effetto degli incrementi patrimoniali, per i quali doveva essere stata data dalle contribuenti prova contraria.

Motivi della decisione
La Corte suprema, nell’accogliere in toto le censure della difesa erariale, puntualizza innanzitutto il principio incontrastato (cfr Cassazione, sentenze 2726/2011, 16284/2007, 1909/2007 e 5599/1992) che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’articolo 38, comma 4, del Dpr 600/1973, consente all’ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica, in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito. Nel caso di incrementi patrimoniali non giustificati, l’ufficio può procedere con metodo induttivo utilizzando anche presunzioni semplici prive dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge (Cassazione 6220/2012).
A tal fine, può essere utilizzata – come nel caso in esame – anche la titolarità di azioni societarie, laddove la stessa evidenzi, in relazione agli esborsi necessari agli acquisti, un previo accumulo di redditi superiori a quelli determinati analiticamente.
Né i dati di fatto utilizzati dall’Amministrazione finanziaria per l’accertamento sintetico debbono necessariamente riferirsi all’anno in contestazione, potendo il loro accadimento ben essere avvenuto in anni diversi da quello accertato, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori e autonomi indici di capacità contributiva (Cassazione, sentenze 10371/2003 e 9099/2002).

Peraltro, quando si parla di accertamento basato sull’incremento della spesa patrimoniale e il contribuente ne dimostri la giustificazione con l’accensione di un mutuo pluriennale, occorre ricordare che simili spese possono ridimensionare la capacità contributiva non dichiarata dal contribuente, ma di certo non azzerarla, atteso che alla spesa accertata imputata a reddito vanno aggiunti, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturati e versati (Cassazione, sentenze 24597/2010 e 2735/2011).

Se, da un lato dunque, la Corte regolatrice ha ritenuto fondati gli accertamenti basati sull’articolo 38 del Dpr 600/1973, dall’altro, ha ribadito che la sentenza deve motivare, con precisione, e documentare la prova vantata dal contribuente per annullare la presunzione di redditività. Ciò che non è esattamente avvenuto nella specie, ove le operazioni relative al prestito descritto in atti costituivano elementi finanziari che denotavano comunque un incremento patrimoniale, a nulla rilevando il rapporto fiduciario tra i due gruppi societari.
Tutta una serie di “disattenzioni” del giudice del riesame puntualmente riprese dalla Corte suprema.


Fonte: Agenzia Entrate

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