E’ valido l’accertamento Iva al lavoratore autonomo motivato con l’assegno emesso a suo favore dall’azienda cliente, presso la quale è stato rivenuto.
E’ quanto stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 22875 del 3 novembre.

Il fatto
Le competenti Commissioni tributarie, provinciale e regionale, avevano ritenuto illegittimo un accertamento Iva nei confronti di un lavoratore autonomo notificato a conclusione di un’indagine fiscale eseguita dalla Guardia di finanza su una società, dal cui esame delle movimentazioni bancarie sui propri conti correnti emergeva “traccia” di svariati assegni emessi da quest’ultima all’ordine del primo. Da qui la presunzione dell’ufficio che si trattasse di pagamenti per prestazioni di servizi non assoggettati a fatturazione.

L’assunto del giudice di merito si fonda su un doppio presupposto: a) che la presunzione dell’ufficio non poteva operare poiché gli assegni non erano stati materialmente rinvenuti; b) che, in ogni caso, la presunzione legale non poteva trovare applicazione trattandosi dell’esame dei conti correnti non del lavoratore autonomo ma di un soggetto terzo (la società verificata, appunto). Sostanzialmente, quindi, il ricorso a meri elementi indiziari non poteva sorreggere l’accertamento induttivo.

La decisione
Di diverso avviso l’esito del giudizio di Cassazione, che accoglie appieno i motivi della ricorrente, che aveva messo a disposizione del contribuente – con documentazione allegata all’avviso di accertamento – tutti gli atti istruttori (verbale di constatazione e le altre prove raccolte), dandogli così modo di conoscere nella sua ontologica completezza le basi della contestazione, senza alcuna indebita menomazione del suo diritto di difesa (articolo 24 Costituzione).

L’Amministrazione ha, quindi, operato anche nel rispetto dell’articolo 7 della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), atteso che costituisce al riguardo canone generale l’assunto che, quando gli uffici tributari, nel loro esercizio di controllo e di accertamento, avanzano una pretesa di maggiore imposta devono informare il contribuente con atto motivato, in modo tale da metterlo in condizione di tutelarsi adeguatamente (Cassazione 6914/2011, 28058/2009 e 1906/2008).

Riguardo poi al merito della sentenza impugnata, censurata dalla ricorrente, occorre rilevare che è sempre valido l’insegnamento della Corte suprema (cfr sentenze 3719/1998 e 316/1990), che in tema di imposte sui redditi d’impresa, ai sensi del combinato disposto degli articoli 39, comma 1, lettera d) e 33 del Dpr 600/1973, e dell’articolo 52 del Dpr 633/1972, è consentito all'ufficio di avvalersi non solo di atti relativi all’impresa, ma anche di dati e notizie raccolti nel corso dell’ispezione, la quale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture che si trovano nei locali, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, mentre, nell’ipotesi dell'accertamento induttivo, i poteri dell'ufficio sono anche più ampi, data la facoltà di avvalersi di presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Con particolare riguardo all’assoggettamento a Iva dei compensi relativi a un rapporto di lavoro autonomo, non dichiarato dal contribuente, occorre aggiungere che l'astrattezza cartolare, che connota l'assegno bancario, costituisce una qualità di tale titolo di credito, rilevante rispetto alla sua circolazione e alle eccezioni opponibili dal debitore al portatore, ma non esclude che la dazione di un assegno costituisca, ai fini della prova per presunzioni, un fatto noto, idoneo a rappresentare un trasferimento di ricchezza dall'emittente al prenditore, da cui è consentito desumere, nel giudizio di merito, il fatto ignoto dedotto da una delle parti del processo (Cassazione 17574/2009).

Senza dimenticare, poi, che nel recente passato (sentenza 10390/2011) la Corte regolatrice ha validato l’accertamento fiscale basato su un file anonimo rinvenuto presso un fornitore dell’azienda verificata dall’Amministrazione finanziaria, implementando così l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità verso la massima espansione dell’accertamento induttivo basato su documentazione extracontabile. Infatti, il ritrovamento, da parte della Guardia di finanza, in locali diversi da quelli societari, di una contabilità parallela a quella ufficialmente tenuta dalla società sottoposta a verifica fiscale, legittima, di per sé sola e a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia elemento, la rettifica della dichiarazione sulla base di accertamento induttivo (Cassazione 16017/2009 e 10137/2010).

Con l’odierna sentenza, poi, accogliendo la tesi del fisco che ha ritenuto rilevanti i conti e i titoli dell’impresa che paga “in nero” il servizio, l’approdo del diritto vivente ha segnato un altro passo in avanti, ampliando la portata applicativa dell’accertamento motivato per relationem.


Fonte: Agenzia Entrate

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