All’Amministrazione finanziaria non è preclusa la possibilità di proporre in grado di appello le contestazioni circa il merito della debenza del rimborso richiesto dalla parte, anche se nel primo grado si è limitata a eccepire soltanto la decadenza del contribuente dall’istanza di rimborso. Ciò in virtù del fatto che il divieto legislativo dello ius novarum del giudizio di appello non riguarda anche le eccezioni di mera difesa processuale, pertanto, l’ufficio è legittimato a dedurre in sede di gravame in merito alla effettiva sussistenza dei requisiti legittimanti il riconoscimento del diritto al rimborso.
A tale approdo sono giunti i giudici di legittimità, con la sentenza 22493 del 27 ottobre.

L’iter giuridico
Il contribuente, dopo aver ricevuto l’indennità di anzianità mediante la consegna di buoni postali fruttiferi (Bpf) a lui intestati, acquistati dal Cnr nel corso del rapporto di lavoro, presentava l’istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria riguardante le ritenute operate sugli interessi maturati sui Bpf, dal presupposto che detti interessi non dovessero essere soggetti alla tassazione sui redditi da lavoro dipendente. L’Agenzia non riconosceva il diritto al rimborso e il contribuente presentava ricorso alla Ctp competente.
In primo grado, l’Amministrazione si limitava a eccepire la decadenza del contribuente dall’istanza, non entrando nel merito della questione. La Ctp adita accoglieva il ricorso.

L’ufficio proponeva, quindi, appello abbandonando l’eccezione di decadenza e argomentando sulla effettiva non spettanza del rimborso.
La Commissione tributaria regionale dichiarava inammissibile l’appello considerando come “nuova” la questione proposta rispetto a quanto contestato in primo grado.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva per Cassazione censurando in due punti la sentenza impugnata:
la Ctr errava nel dichiarare inammissibile l’appello in quanto le argomentazioni proposte dall’ufficio in secondo grado non costituivano eccezioni in senso stretto ma erano da considerare come mera difesa
la Ctr errava nell’affermare che alla fattispecie controversa non era stato applicato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale era pacifica la soggezione alla tassazione sui redditi da lavoro dipendente degli interessi sui Bpf corrisposti a titolo di indennità di anzianità.

La Suprema corte accoglieva il primo motivo, dichiarava inammissibile il secondo, cassava la sentenza con rinvio per esame nel merito. In particolare, i giudici di legittimità statuivano che “il primo motivo è manifestamente fondato in quanto l’assunto svolto nell’appello dall’ufficio […] costituiva una mera difesa e non un’eccezione in senso stretto e pertanto la sua proposizione in appello doveva giudicarsi ammissibile”.

Riflessione sulla decisione
La pronuncia in esame ha il pregio di mettere in luce le differenze, a volte sottili, che esistono fra diversi poteri difensivi attribuiti alle parti nel processo.
Nello specifico, i giudici di Cassazione hanno negato il carattere di eccezione alle considerazioni svolte solo in grado di appello dall’ufficio circa l’effettiva spettanza del rimborso.
Prescindendo in questa sede dalla valutazione se, sul piano sostanziale, le ritenute oggetto della domanda di rimborso siano state operate legittimamente (in quanto la tassazione sui redditi da lavoro dipendente colpirebbe anche gli interessi maturati sui Bpf corrisposti a titolo di indennità di anzianità), la conclusione dei giudici, affrontando implicitamente la questione dello ius novarum, ridefinisce la posizione processuale dell’Amministrazione finanziaria nel caso in cui la lite riguardi l’effettiva spettanza del rimborso.

Già con la sentenza 2507/2009, la Cassazione aveva stabilito che, nelle questioni riguardanti un diniego di rimborso, il contribuente “deve dimostrare che, in punto di fatto, non sussiste nessuna delle ipotesi che legittimano il rifiuto e l’amministrazione finanziaria può dal canto suo difendersi quindi a tutto campo, non essendo vincolata ad una specifica motivazione di rigetto: ne consegue che le eventuali falle del ricorso introduttivo possono essere eccepite in appello dall’Amministrazione a prescindere dalla preclusione posta dal D. Lgs. n. 546/92, art 57, in quanto, comunque, attengono all’originario thema decidendum (sussistenza o insussistenza dei presupposti che legittimino il rifiuto del rimborso)”.

È chiaro che, in questa prospettiva, la mera contestazione prodotta dall’Agenzia in appello in ordine alla sussistenza di un elemento legittimante il riconoscimento del rimborso, della cui allegazione era onerato il ricorrente, non costituiva “eccezione”, ma soltanto una “difesa”, così come correttamente sostenuto dalla Cassazione. Si tratta, di attività difensive che, quindi, possono indirizzare e influire sulla decisione giudiziale. Ma le “difese” non comportano alcun allargamento della sfera di cognizione del giudice, diversamente da quanto avviene con le eccezioni che determinano un allargamento della quaestio facti.

Le difese, infatti, al limite, possono consistere in allegazioni di fatto, detti anche fatti secondari, per esprimere la loro diversità da quelli costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto azionato.
Al contrario, le “eccezioni” sono costituite dalle allegazioni delle circostanze che si collegano alla fattispecie costitutiva del diritto azionato impedendo che questo produca l’effetto previsto (fatti impeditivi), ovvero modificando o estinguendo l’effetto già prodottosi (fatti modificativi o estintivi).
Le eccezioni non influiscono certamente sull’oggetto del processo – che resta definito nella domanda – ma incidono sul thema probandum.

A titolo ricognitivo, si osserva come le eccezioni si distinguano in:
“eccezioni in senso stretto”, costituite da tutti quei fatti la cui rilevanza processuale non discende dalla mera allegazione occorrendo anche l’espressa richiesta del riconoscimento della loro efficacia
“eccezioni in senso lato”, costituite da tutti i fatti che sono rilevabili d’ufficio dal giudice che ne valuterà l’incidenza sull’efficacia delle fattispecie costitutive per il solo fatto che siano stati allegati.

Naturalmente i vari tipi di allegazioni soggiacciono a “termini processuali” diversi.
Le mere difese, a causa dell’indicata limitata incidenza sulla sfera di cognizione del giudice, possono essere proposte in ogni momento e in ogni grado del giudizio.
La disciplina delle impugnazioni prevede un limite alle allegazioni di nuove eccezioni in secondo grado in coerenza con l’accoglimento del modello di “appello” che va sotto il nome di revisio prioris istantiae. L’articolo 57, comma 2, del Dlgs 546/92, prevede espressamente che possono essere validamente proposte nel grado di appello solo le eccezioni relative ai fatti rilevabili d’ufficio dal giudice, ossia quelli che formano oggetto delle cosiddette eccezioni in senso lato o improprie.
È proprio per l’esistenza di questo articolato regime di preclusioni che viene in evidenza l’importanza della distinzione operata dalla Cassazione con la presente sentenza.

In ogni caso, si potrebbe giungere alla medesima conclusione anche riconoscendo natura di eccezione alla contestazione mossa dall’Amministrazione finanziaria. Si è, infatti, sopra osservato come in appello siano precluse esclusivamente le eccezioni proprie, cioè quelle la cui efficacia estintiva, impeditiva o modificativa è rilevabile dal giudice solo ove abbia formato oggetto di apposita richiesta da parte dell’interessato. Per le eccezioni in senso lato rilevabili d’ufficio dal giudice, tale limite non sussiste.
Ed è difficile immaginare che il presupposto legittimante il rimborso – effettiva soggezione degli interessi maturati sui Bpf alla tassazione sui redditi da lavoro dipendente – costituisca un’eccezione in senso proprio.


Fonte: Agenzia Entrate

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