La domanda di pronuncia pregiudiziale che ha prodotto la sentenza della corte di giustizia verte sull’interpretazione dell’articolo 14 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee, inizialmente allegato al Trattato che istituisce un Consiglio unico ed una Commissione unica delle Comunità europee, e successivamente, in forza del Trattato di Amsterdam, allegato al Trattato CE.



La protagonista della controversia

Detta domanda è stata avanzata da una cittadina finlandese al fine di determinare se, per l’esercizio fiscale 2007, quest’ultima fosse integralmente o solo parzialmente assoggettata all’imposta sul reddito vigente in Finlandia. La signora, infatti, che era cittadina finlandese, si è trasferita in Lussemburgo con la propria famiglia, quando il marito ha cominciato a lavorare presso il Parlamento europeo, stabilendo in Lussemburgo la propria residenza. La stessa era in congedo parentale dal suo impiego in Finlandia di istitutrice di scuola materna e in Lussemburgo non svolgeva una propria attività professionale. In Finlandia, la stessa era proprietaria di alcuni valori mobiliari e di vari beni immobiliari che concedeva in locazione.



La richiesta presentata alla commissione delle imposte

Per sapere se, riguardo all’esercizio fiscale 2007, fosse sempre assoggettata integralmente all’imposta sul reddito in Finlandia, la contribuente si è rivolta alla commissione centrale delle imposte. L’organo dell’Amministrazione tributaria finlandese, su richiesta di un contribuente, può emettere decisioni preliminari vincolanti in materia tributaria. La commissione ha ritenuto che il domicilio fiscale della signora fosse sempre situato in Finlandia (articolo 14 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità) e, dato che non svolgeva una propria attività professionale in Lussemburgo, era assoggettata integralmente all’imposta sul reddito.



Il ricorso al giudice nazionale

Non condividendo affatto la determinazione della commissione fiscale, la cittadina finlandese proponeva ricorso giurisdizionale. Secondo il tribunale una soluzione della controversia conforme al Protocollo avrebbe finito con l’assoggettare l’interessata a un trattamento fiscale sfavorevole a causa del suo trasferimento in Lussemburgo, in quanto sarebbe stata soggetta a un obbligo fiscale illimitato in Finlandia, mentre, in applicazione della normativa nazionale finlandese, avrebbe potuto giovarsi di un obbligo fiscale limitato in detto Stato a partire dall’esercizio fiscale 2007. Per tali ragioni, il giudice finlandese ha preferito sospendere il giudizio pendente per domandare alla Corte di giustizia europea se l’articolo 14 del Protocollo debba essere interpretato nel senso che il coniuge di una persona, che, per il solo motivo di entrare al servizio dell’Unione europea, stabilisca la propria residenza nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato membro del domicilio fiscale che possedeva prima di entrare al servizio dell’Unione, debba essere considerato fiscalmente residente in quest’ultimo Stato membro se non esercita una propria attività professionale.



La normativa comunitaria

L’articolo 14 del protocollo prevede che, ai fini dell’applicazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio, dei diritti di successione, e delle convenzioni concluse fra i Paesi membri delle Comunità per evitare le doppie imposizioni, i funzionari e altri agenti delle Comunità, i quali, in ragione esclusivamente dell’esercizio delle loro funzioni al servizio delle Comunità, stabiliscono la loro residenza sul territorio di un paese membro diverso dal Paese ove avevano il domicilio fiscale al momento dell’entrata in servizio presso le Comunità, sono considerati, sia nel paese di residenza che nel paese del domicilio fiscale, come tuttora domiciliati in quest’ultimo paese qualora esso sia membro delle Comunità. E tale disposizione, prosegue il medesimo articolo 14, si applica anche al coniuge, sempre che non eserciti una propria attività professionale, nonché ai figli e ai minori a carico delle persone indicate nel presente articolo e in loro custodia.



La normativa finlandese

Per ciò che concerne la normativa finlandese, l’articolo 9, n. 1, della legge relativa all’imposta sul reddito del 30 dicembre 1992 prevede che è assoggettata all’imposta ogni persona fisica o giuridica, comunità di scopo oppure successione ereditaria domiciliata o aperta in Finlandia durante l’esercizio fiscale considerato, per i redditi percepiti in Finlandia e all’estero nonchè ogni persona fisica che non abbia risieduto in Finlandia nel corso dell’esercizio fiscale considerato e ogni persona giuridica straniera per i redditi percepiti in Finlandia. Secondo la normativa vigente una persona fisica è considerata domiciliata in Finlandia se ha la propria residenza reale o se vi soggiorna in modo continuativo per più di sei mesi, mentre un’assenza temporanea non impedisce di presumere che il soggiorno sia continuativo. Tuttavia, si ritiene che un cittadino finlandese sia domiciliato in Finlandia anche se non ha soggiornato in modo continuativo per più di sei mesi, qualora non siano passati tre anni dalla fine dell’anno durante il quale egli ha lasciato il Paese, a meno che non dimostri di non avere un legame essenziale con la Finlandia durante l’esercizio fiscale considerato.



La posizione della Corte Ue

Chiamati a pronunciarsi sulla questione, i magistrati europei hanno rilevato che, secondo l’articolo 14 del protocollo sui privilegi e sulle immunità, lo Stato membro di origine, in cui viene mantenuto il domicilio fiscale del funzionario o dell’agente, resta in via di principio competente a tassare tutti i redditi di tali persone, diversi dagli stipendi, dai salari e dagli emolumenti versati dall’Unione, e ad assoggettarli all’imposta sul reddito anche se non hanno il loro domicilio effettivo. La ripartizione delle competenze stabilita in tal modo dall’articolo 14 del protocollo, ha fatto notare la corte, sarebbe messa in discussione solamente qualora il funzionario o l’agente avesse la libertà di scegliere dove stabilire il proprio domicilio fiscale. Ma considerato che così non è, e considerato soprattutto che, sempre secondo l’articolo 14, le disposizioni si applicano anche al coniuge del funzionario o dell’agente dell’Unione nell’ipotesi in cui il coniuge non svolga una propria attività professionale, nemmeno la determinazione del domicilio fiscale di quest’ultimo può dipendere dalla volontà dell’interessato. Ne consegue, dunque, che, in una fattispecie come quella della causa principale, lo Stato membro in cui era situato il domicilio fiscale della contribuente prima che il coniuge entrasse in servizio presso l’Unione conserva la competenza a tassare tutti i redditi della stessa diversi dagli stipendi, dai salari e dagli emolumenti versati dall’Unione, nei limiti in cui essa non svolga una propria attività professionale.



Le conclusioni

La corte ha precisato che la soluzione normativa non contrasta con il principio di parità di trattamento, poiché, come da giurisprudenza consolidata, non si può ritenere che, dal punto di vista fiscale, i funzionari e gli agenti dell’Unione, nonché i loro congiunti, purché questi ultimi non esercitino una propria attività professionale nello Stato membro ove il funzionario o l’agente svolge le proprie funzioni al servizio dell’Unione, si trovino nella medesima situazione di un lavoratore migrante che si stabilisce in uno Stato membro diverso dal suo Stato di origine.

Per quanto ora visto, i giudici di Lussemburgo hanno risolto la questione pregiudiziale posta alla loro attenzione, statuendo chiaramente che “l’articolo 14, primo comma, del Protocollo deve essere interpretato nel senso che il coniuge di una persona il quale, per il solo motivo che quest’ultima entra al servizio dell’Unione, stabilisca la propria residenza nel territorio di uno Stato membro diverso dallo Stato membro del domicilio fiscale che possedeva nel momento in cui detta persona è entrata al servizio dell’Unione, va considerato tuttora fiscalmente domiciliato in quest’ultimo Stato membro se non esercita una propria attività professionale”.


Fonte: Agenzia Entrate

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