Riceve la contestazione per abuso del diritto il contribuente che, in assenza dei presupposti richiesti dal legislatore nell’ambito del “regime del margine”, utilizza una contabilità Iva formalmente corretta per ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta.
Soprattutto se non ottempera all’onere della prova con riferimento sia alla sussistenza dei presupposti sia all’effettività delle operazioni compiute.
Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza 16431 del 27 luglio.

I fatti
Una società di persone e il suo legale rappresentante hanno impugnato gli avvisi di accertamento per gli anni di imposta 2002 e 2003, con i quali, tra l’altro, è stata recuperata a tassazione l’Iva, non versata in applicazione del regime del margine.

La Commissione tributaria di primo grado di Trento, previa riunione dei ricorsi dei contribuenti, li ha accolti.
Diversamente, con la sentenza 77/01/08, il collegio di secondo grado ha confermato la legittimità degli avvisi, ritenendo che la società non avrebbe potuto esercitare il diritto alla detrazione dell’Iva sulla base dell’annotazione contenuta nelle fatture dei fornitori.
In particolare, la contribuente non poteva utilizzare il “regime del margine”, poiché risultava, dalle registrazioni indicate nei libretti di circolazione, che gli originari intestatari dei veicoli svolgevano attività di autonoleggio, e quindi avevano già esercitato sui beni ceduti il diritto alla detrazione.

Avverso la sentenza d’appello, i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione censurando la pronuncia per violazione e falsa applicazione della disciplina del “regime del margine”, di cui agli articoli 36 e seguenti del Dl 41/1995 e dell’articolo 2697 c.c., con riferimento alla distribuzione dell’onere della prova per le operazioni soggette al predetto regime.
Ancora una volta le doglianze dei contribuenti sono state riconosciute infondate, anche alla luce del “principio … affermato in tema di abuso del diritto e secondo cui ‘In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio d’imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici … (Cass. nn. 30055/2008, 10257/2008, 8772/2008, 20398/2005, 1372/2011)’”.

Osservazioni
Con la sentenza 16431/2011, la Cassazione ha precisato che, per evitare la contestazione dell’abuso del diritto, il contribuente che voglia usufruire del regime del margine deve dimostrare i presupposti di fatto, legittimanti l’applicazione dello speciale regime agevolato, e che l’operazione è vera e non differisce da quella rappresentata in fattura (Cassazione, sentenze 14381 e 13559 del 2007).
Nella fattispecie in esame, la società si è sottratta al pagamento dell’imposta dovuta, compiendo operazioni elusive e utilizzando fatture relative a operazioni cui non risultava applicabile il particolare regime Iva.
Inoltre, la stessa società, su cui gravava il relativo onere, non ha fornito prova né della sussistenza dei presupposti che le avrebbero consentito di fruire della particolare disciplina, né della effettività delle operazioni.

Al fine di consentire al giudice la verifica della corretta applicazione del regime agevolato, avrebbe dovuto superare solo la contestazione dell’ufficio relativa al requisito soggettivo. Il regime del margine, infatti, può trovare applicazione a condizione che il soggetto cedente non abbia potuto detrarre l’Iva (requisito soggettivo; Cassazione, sentenza 3427/2010). In mancanza di tale presupposto, deve ritenersi irrilevante la verifica della sussistenza degli ulteriori requisiti di natura oggettiva e territoriale (Cassazione, sentenza 2227/2011).
Non solo la società non si è attivata per indicare elementi a sostegno della corretta applicazione del regime del margine ma, dalla documentazione agli atti (libretti di circolazione), è emerso che la contribuente era in grado di verificare l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione di detto regime alle operazioni di compravendita in questione. Pertanto, le annotazioni apposte sulle relative fatture erano da ritenersi strumentali alla finalità di non pagare l’imposta e, quindi, prive di rilevanza.
Con la conseguenza che non poteva essere invocata la buona fede, poiché la contribuente era a conoscenza dell’illegittimità dei comportamenti, proprio per il rapporto diretto con i soggetti interposti e per l’utilità conseguita.

Inoltre, con riferimento alla contestazione di operazioni fittizie assoggettate al regime agevolato, la società non ne ha dimostrato la realtà e legittimità. Presupposto indefettibile perché le disposizioni di legge in materia di regime del margine possano trovare applicazione, è l’esistenza di operazioni effettivamente compiute e non già inesistenti, ovvero diverse da quelle rappresentate nella documentazione fiscale. E’ noto, infatti, che il regime del margine è applicabile ai soggetti che commerciano beni usati, e ha il fine di evitare la doppia o reiterata imposizione per quei beni che, già colpiti dall’imposta dopo la prima uscita dal circuito commerciale, vengono ulteriormente tassati quando sono ceduti (a un soggetto passivo d’imposta) per la successiva rivendita.
Rientra tra i “regimi speciali favorevoli”, poiché consente al futuro cedente di sottoporre a tassazione non l’intero valore del bene trasferito – secondo il normale regime Iva – bensì solo il margine di guadagno, dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto del bene, aumentato delle eventuali spese accessorie e di riparazione, e il corrispettivo realizzato a seguito di un’operazione effettiva.
Tale vantaggio è previsto a patto, però, che l’operazione sia stata effettuata.

Del resto, per garantire il principio di necessaria coerenza del sistema Iva, fondato sui meccanismi della rivalsa e della detrazione, l’articolo 21, comma 7, Dpr 633/1972 prevede che, se viene emessa fattura per operazioni inesistenti, “l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”. Da un lato, tale disposizione incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolarità, dall’altro, incide indirettamente (ex articoli 19, comma 1, e 26, comma 3, dello stesso Dpr) anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non può esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioè dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione (Cassazione, sentenze 22882/2006, 12353/2005 e 7289/2001).

Non basta, quindi, la mera correttezza formale della contabilità. Se, infatti, l’Amministrazione offre validi elementi per dimostrare l’interposizione fittizia di società e l’inesistenza delle operazioni fatturate, nonché la non corrispondenza al vero della contabilità aziendale formalmente regolare e l’omesso versamento dell’Iva (Cassazione, sentenza 1057/2008), l’apparente correttezza contabile deve essere considerata un escamotageper eludere il fisco (Cassazione, sentenza 2847/2008).
Ma non senza possibilità, per il contribuente, di dimostrare la sussistenza concreta, sul piano fattuale, delle operazioni compiute. E’ su di lui che grava la prova anche quando viene contestata la realtà dell’operazione, assoggettata al regime del margine.

E ciò risulta coerente sia con la ricostruzione del principio in tema di abuso del diritto, sia del principio giurisprudenziale per il quale, “in tema di IVA, nel caso in cui l’Amministrazione contesti l’inesistenza delle operazioni, - dalla cui fatturazione sia derivata una indebita detrazione od una illegittima esenzione, - e fornisca, pure, attendibili riscontri indiziari sulla inesistenza e strumentalità delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la legittimità della detrazione o della sussistenza dei presupposti per godere di uno speciale regime fiscale (Cass. nn. 2847/2008, 1727/2007, 1953/2007)”.

Nel caso in esame, la contestazione specifica e documentata dell’Amministrazione (fondata sugli elementi desumibili dai libretti di circolazione degli autoveicoli e dalla prova dell’interposizione di società cartiere) ha consentito alla Corte di concludere che, nonostante le fatture contengano l’attestazione della riconducibilità delle relative operazioni al regime del margine, le stesse devono ritenersi prive di validità per fruire di tale regime. Per due motivi: sia perché emesse in assenza dei relativi presupposti, sia perché inidonee a rappresentare l’operazione realmente fatturata.


Fonte: Agenzia Entrate

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