La semplice sostituzione del rappresentante fiscale in Italia di una società estera, non integra il presupposto della cessazione dell'attività del soggetto Iva, necessario per richiedere il rimborso delle somme versate in eccedenza. Secondo i giudici di legittimità, la procedura del rimborso è ammessa soltanto in caso di cessazione dell'attività della società contribuente e non del suo rappresentante fiscale.

Così ha deciso la Corte di cassazione con la sentenza n. 8790 del 10 aprile 2009, rigettando il ricorso di una società contro il rifiuto alla restituzione dell'Iva relativa al 1999 emesso dell'agenzia delle Entrate.

Appellandosi alla cessazione dell'attività, presupposto che consente di richiedere il rimborso derogando alla disciplina generale (articolo 30, comma 2, Dpr 633/1972) secondo la quale il credito d'imposta deve essere utilizzato nell'anno successivo, una società residente in Svizzera, aveva chiesto il rimborso dell'Iva versata relativamente al 1999.

In seguito alla mancata concessione da parte dell'ufficio, la società propone ricorso e la Ctp lo accoglie.

Avverso la decisione fa appello l'ufficio, sostenendo che la semplice sostituzione del rappresentante in Italia non equivale alla cessazione. La Ctr lo rigetta, affermando che "il cambio di rappresentante in Italia avrebbe comportato l'impossibilità del recupero il credito d'imposta se non attraverso l'istanza di rimborso".

Di segno opposto la Suprema corte che, con la sentenza 8790 del 10 aprile 2009, conferma: "il dato letterale non lascia adito a dubbi, la procedura di rimborso è ammessa soltanto in caso di cessazione dell'attività della società contribuente (soggetto sostanziale del rapporto tributario) e non del suo rappresentante". E la Commissione di appello "non spiega perché il nuovo rappresentante non possa portare in detrazione nell'anno successivo il credito vantato".

Ciò, non fa che confermare la tesi dell'Amministrazione finanziaria, perché è comunque prescritto che sia il contribuente, quale soggetto passivo, a dover cessare la propria attività.

 

Nel caso del rappresentante, invece, "Tutt'al più, il problema del come recuperare l'indebito pagamento avrebbe potuto porsi se, contrariamente a quanto risulta pacificamente acquisito, la società non avesse provveduto a nominare, senza soluzione di continuità, un nuovo rappresentante fiscale in Italia (v. Cass. n. 8965/2007, relativa ad una ipotesi nella quale è stato riconosciuto il diritto al rimborso Iva ad una società totalmente priva di rappresentante fiscale in Italia)".

Sulla base di tale principio, la Corte ha deciso di negare il rimborso Iva alla società, la quale aveva soltanto sostituito il suo rappresentante, e di dare definitivamente ragione all'ufficio che aveva sostenuto la mancanza di soluzione di continuità nell'avvicendamento, in quanto il primo rappresentante aveva cessato di operare il 4 marzo del 1999, ma il secondo rappresentante era già stato nominato il 1° marzo dello stesso anno.


Fonte: Agenzia Entrate

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