Sfruttamento economico di film

Sull’imputazione temporale dei proventi derivanti dallo sfruttamento economico di film, la risoluzione 12/2/1999, n. 21/E, ha osservato che "... la concessione dei diritti di utilizzazione economica in Italia e all'estero dei films viene regolamentata con un contratto di concessione temporanea mediante il quale il concedente si obbliga ad una prestazione di servizi avente per contenuto la facoltà del concessionario di esercitare il diritto di utilizzazione del films per un periodo di tempo, a determinate condizioni e dietro corrispettivo che è generalmente misurativo del tempo e del grado di utilizzazione dei films dati in concessione".

Lo sfruttamento di tali diritti, infatti, avviene generalmente in un arco di tempo determinato (concessione temporanea), ma può altresì essere pattuito in perpetuo (concessione perpetua), con la possibilità di prevedere - in ambedue i casi - applicazioni diversificate in relazione ai territori e ai mezzi cui lo sfruttamento si riferisce.

La fattispecie è identificata giuridicamente nella concessione dei diritti di sfruttamento economico, i cui elementi costitutivi sono propri del contratto di noleggio dei film: sulla questione si è pronunciata la Corte di cassazione (sentenza n. 1741 del 6/5/1977), puntualizzando che il contratto con il quale il produttore attribuisce al gestore di sale cinematografiche il diritto di proiettare il film per un periodo di tempo determinato appartiene alla categoria dei contratti di concessione del diritto d’autore, ai quali tornano applicabili per analogia le norme disciplinanti il contratto di locazione.

Ciò sottolineato, il ministero ha ritenuto che a tali ipotesi deve intendersi applicabile il principio in base al quale "... i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, allorché si tratti di quelle dipendenti da contratti di locazione e altri contratti da cui derivano corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei corrispettivi medesimi".

E’ tuttavia posta una distinzione fondamentale tra la concessione temporanea e quella perpetua dei diritti, giacché:

il corrispettivo pattuito per la concessione temporanea dei diritti di sfruttamento, indipendentemente dalle modalità di pagamento, deve ricollegarsi alla fruizione del diritto patrimoniale nell’arco di tempo della concessione (e pertanto concorre alla formazione del reddito di ciascun esercizio la parte di corrispettivo maturata nell’esercizio stesso)

la concessione perpetua realizza un’ipotesi giuridicamente difforme rispetto a quella della cessione, caratterizzandosi "... per il fatto che il trasferimento della fascia di utilizzo convenuto contrattualmente non significa cessione del diritto e, comunque, non influisce sulla titolarità del diritto d'autore che il produttore sfrutta economicamente" (e soccorre, quindi, "... la regolamentazione contrattuale, anche nell’aspetto della previsione temporale di pagamento del corrispettivo pattuito, che riflette di regola l’intensità economica del grado di utilizzo del diritto concesso, generalmente misurativo di un valore via via decrescente negli anni"; lo stesso criterio è ritenuto applicabile "... anche quando i contratti siano privi di siffatta regolamentazione nella considerazione che l’entità dei canoni annualmente maturati è determinata da un’effettiva valutazione comparata tra lo sfruttamento avvenuto nell’esercizio e quello prevedibile degli anni successivi").

Apposizione del contrassegno Siae

Nel 2002, con la risoluzione n. 381/E, l’Agenzia delle entrate ha fornito alcune precisazioni anche relativamente all’attività svolta dalla Siae, allorquando la stessa appone il proprio contrassegno sui supporti “fisici” delle opere e dei programmi, al fine della tutela del diritto d’autore.

L’attività in questione (prevista dall’articolo 181-bis della legge 633/1941) è finalizzata a tutelare e proteggere da eventuali illecite riproduzioni i supporti che contengono opere o parti di opere “coperte” dal diritto d’autore, ossia opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro e alla cinematografia, oltre ai programmi per elaboratore come opere letterarie e banche dati che costituiscono una creazione intellettuale dell’autore.

L’articolo 2 del regolamento di esecuzione, approvato con Dpcm 21/12/2001, n. 338, prevede che il contrassegno contenga il titolo dell’opera per la quale è stato richiesto, il nome dell’autore, del produttore o del titolare del diritto d’autore, la destinazione del supporto alla vendita, al noleggio o a qualsiasi altra forma di distribuzione. Inoltre, per effetto di quanto disposto dal comma 5 del menzionato articolo 181-bis, il contrassegno deve avere caratteristiche tali da non poter essere trasferito su altro supporto e, ai sensi di quanto previsto dal successivo comma 8, agli effetti dell’applicazione della legge penale, il contrassegno deve considerarsi segno distintivo delle opere dell’ingegno.

Sulla base di tali considerazioni, l’Agenzia delle entrate ritiene che l’apposizione dei contrassegni resa dalla Siae costituisca a tutti gli effetti un’attività avente quale finalità principale la tutela e la protezione delle opere dell’ingegno.

Il servizio reso dalla Siae si qualifica quindi come un’operazione rientrante tra quelle previste dall’articolo 3, comma 4, del Dpr 633/1972, e più specificamente tra le prestazioni - escluse dall’imposta - relative alla protezione dei diritti d’autore.

L’esclusione dal tributo risulta - ovviamente – "... limitata all'attività di apposizione del contrassegno, ai fini della tutela dei diritti d'autore, sui supporti contenenti opere o programmi, espressamente indicati dal comma 1 del citato articolo 181-bis della legge n. 633 del 1941".

Ammortamento dei diritti di utilizzazione

La successiva risoluzione 13/2/2003, n. 35/E, si occupa invece della problematica relativa all’ammortamento dei diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno, nell’ambito del reddito d’impresa.

Rammentando che la deducibilità, dapprima limitata a un terzo del costo sostenuto dall’impresa, è stata ampliata al 50 per cento dal decreto Visco-Bersani del 2006, si osserva che, secondo la posizione espressa dall’Agenzia delle entrate nella pronuncia di prassi in esame, la possibilità di ammortizzare tali diritti è normativamente “rigida”, e non consente né di stabilire delle quote di ammortamento in via amministrativa, né di “riqualificare”, ai fini della deducibilità delle quote di costo, i beni immateriali - rappresentati nel caso di specie dalle opere cinematografiche - tra i costi a utilizzazione pluriennale.

L’impossibilità di ritenere il costo relativo all’acquisto del diritto d’autore alla stregua di un onere pluriennale discende dal fatto che tale costo è relativo - appunto – all’acquisizione di uno specifico diritto giuridicamente tutelato dalla legge 633/1941, e che, secondo corretti principi contabili di redazione del bilancio, esso afferisce a un bene immateriale, il cui ammortamento ai fini fiscali è disciplinato dettagliatamente dalla norma contenuta nell’articolo 68 (ora 102) del Tuir.

La risoluzione precisa altresì che, sotto il profilo civilistico:

il bene immateriale, rappresentato dalla titolarità di un diritto, è iscrivibile nell’attivo patrimoniale tra le immobilizzazioni se ha un costo di acquisizione certo e consente la recuperabilità dello stesso negli esercizi successivi, attraverso lo sfruttamento economico del bene immateriale

l’ammortamento civilistico dei beni immateriali rappresentati dai diritti in esame, acquisiti in licenza o a titolo di proprietà, segue una regola comune in base alla quale la vita utile dev’essere determinata con riferimento alla residua possibilità di utilizzazione (coincidente con la durata economica del diritto)

la corretta interpretazione di tale regola civilistica indica la durata economica, e non quella giuridica, come elemento rilevante per la determinazione delle quote di costo da imputare ai singoli esercizi; da ciò consegue che il concetto di durata economica è lo stesso sia per i diritti di sfruttamento delle opere dell’ingegno detenuti in proprietà, sia per quelli acquisiti con contratto di licenza sugli stessi.

Secondo corretti principi contabili, la durata dell’ammortamento sarà rapportata alla durata della tutela legalmente prevista o, in caso di licenza d’uso, alla durata dell’utilizzazione prevista dal contratto, solo se ci si aspetta di ottenere benefici economici apprezzabili in tutto tale periodo; se, invece, le aspettative di utilità futura interessano un arco temporale più limitato, dovrà proporzionalmente ridursi la vita utile del bene e il relativo periodo di ammortamento.

Atteso che i diritti possono essere assoggettati ad ammortamento sia se acquisiti in proprietà sia se acquisiti in licenza (sempreché sussistano i requisiti per iscrivere il diritto stesso tra le immobilizzazioni), l’Agenzia sottolinea che "... se il bene immateriale esaurisce la sua utilità in un lasso di tempo più breve della tutela giuridica del diritto o della durata del contratto di licenza, lo stesso potrà essere ammortizzato in misura pari a tale - inferiore - durata, seppur nel limite di un terzo del costo dettato dall'articolo 68, comma 1, del TUIR".

Interpreti ed esecutori esteri

Sempre sulla questione del trattamento fiscale spettante ai compensi degli artisti interpreti ed esecutori, la risoluzione dell’Agenzia delle entrate 9/2/2004, n. 12/E, ha puntualizzato che la soluzione interpretativa, in ordine alla possibilità di tassare i compensi attraverso ritenute fiscali, va ricercata nelle convenzioni internazionali sottoscritte dall’Italia con i vari Paesi esteri.

Si trattava, in particolare, dei compensi corrisposti "... ad un artista tedesco non residente per opere ritrasmesse televisivamente sul territorio italiano», in merito ai quali era richiesto se dovessero essere assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta nella misura del 30%, ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. 600/1973, o se invece dovessero ritenersi rientranti nel campo di applicazione dell'art. 12 della Convenzione 24 novembre 1992, n. 459, tra Italia e Germania".

L’interpretazione dell’Agenzia si impernia sul commentario all’articolo 12 del modello di convenzione Ocse, il quale fornisce indicazioni sul trattamento fiscale dei compensi derivanti dal diritto d’autore e dai diritti connessi all’esercizio del diritto d’autore corrisposti a un soggetto residente in uno Stato contraente.

E’ richiamato, in particolare, il paragrafo 18 del commentario all’articolo 12, il quale - nel riferirsi alla prestazione artistica di un direttore d’orchestra - precisa che "... qualora in base a contratto la prestazione musicale sia registrata e l'artista abbia accettato, sulla base dei propri diritti concernenti la registrazione, di ricevere compensi sulla vendita dei dischi, la parte della remunerazione ricevuta riferibile a tali compensi rileva ai fini dell'articolo 12".

Il commentario distingue altresì tra i diritti corrisposti per le “dirette” radiotelevisive e quelli dovuti in caso di registrazione dell’esecuzione e successiva distribuzione, definendo i primi quali compensi di natura artistica rilevanti ai fini dell’articolo 17 della convenzione Ocse (dedicato ad “artisti e sportivi”) e i secondi quali canoni rilevanti ai fini dell’articolo 12.

Da ciò consegue che "i canoni a titolo di diritto d'autore e gli altri analoghi compensi relativi alla produzione o riproduzione di opere letterarie, drammatiche, musicali o artistiche, ivi comprese le pellicole cinematografiche e le pellicole o registrazioni per trasmissioni radiofoniche e televisive" di cui al citato paragrafo 3 dell'art. 12 della Convenzione Italia-Germania sono riconducibili anche i compensi relativi ai diritti connessi all'esercizio del diritto d'autore corrisposti dall'IMAIE all'artista tedesco per opere ritrasmesse televisivamente in Italia".

Tali compensi sono quindi imponibili in Germania, e sugli stessi non dev’essere operata in Italia alcuna ritenuta alla fonte.

Considerazioni di sintesi

La rassegna di prassi interpretativa ufficiale, qui riportata nel tentativo di fornire una sintesi delle problematiche che interessano, dal punto di vista tributario, il diritto d’autore e i diritti a esso connessi, può condurre alle seguenti conclusioni:

il diritto d’autore si pone come uno strumento giuridico di tutela per le opere dell’ingegno a carattere creativo, anche se esso può essere “racchiuso” all’interno sia di attività d’impresa sia di attività professionali in senso proprio, ovvero configurare un’attività a sé stante, disgiunta da qualsiasi rapporto che non sia quello del contratto di edizione (formalizzato o meno)

dal punto di vista tributario, l’atto che comporta il trasferimento dei diritti patrimoniali dell’autore può pertanto generare:

se il trasferimento è compiuto nell’ambito dell’attività di impresa, redditi d’impresa (royalties)

se il trasferimento è compiuto nell’ambito dell’attività professionale, redditi di lavoro autonomo “propri”

se il trasferimento è compiuto al di fuori di tali ambiti reddituali (ad esempio, da un lavoratore dipendente che svolge anche un’attività secondaria di cessione di diritti relativi a opere dell’ingegno), redditi di lavoro autonomo “speciali” (ex articolo 53, comma 2, lettera b), Tuir), imponibili limitatamente al 75 per cento (o al 60 per cento, per i giovani autori) dell’ammontare

determinate fattispecie, come le collaborazioni con giornali e riviste e l’attività dei fotografi, possono comportare sia prestazioni “generiche”, sia cessioni di elaborati “qualificati” dalla loro originalità, che li rende meritevoli di tutela ex legge 633/1941: solo in tale ultima ipotesi, potranno generarsi redditi da cessione di diritti intellettuali

i trasferimenti dei diritti in esame sono ordinariamente rilevanti ai fini dell’Iva come prestazioni di servizi, e in particolare come obbligazioni di fare, non fare e permettere, salvo che in determinate ipotesi tassativamente individuate dalla normativa (cessioni e contratti similari effettuati dagli autori o dai loro eredi o legatari, aventi per oggetto i diritti d’autore, esclusi i disegni, le opere di architettura e le opere cinematografiche)

anche i diritti “connessi” godono di una tutela ex legge 633/1941, ma il loro trattamento fiscale non è del tutto assimilato a quello del diritto d’autore vero e proprio, sicché per essi si applica, ai fini Iva, la regola generale della soggezione al tributo (e non dell’esclusione, che deve interpretarsi restrittivamente)

le attività volte alla tutela del diritto d’autore invece (come quella svolta dalla Siae), godono del trattamento di esclusione dall’Iva

nel caso della corresponsione di compensi qualificabili come “canoni” ad autori non fiscalmente residenti in Italia, occorre riferirsi alle convenzioni contro le doppie imposizioni sottoscritte – sulla base del modello Ocse - con i Paesi dei percipienti.

In definitiva, ne risulta un quadro articolato dal punto di vista della normazione fiscale, alla quale fa riscontro una situazione complessa sotto il profilo della tutela approntata dalle disposizioni speciali di tutela dei diritti considerati.

In tale situazione, benché si tratti di beni immateriali particolarmente “incerti” quanto al momento “estimativo”, una particolare considerazione è rivolta ai soli diritti direttamente ceduti dall’autore, con determinate eccezioni ai fini Iva, al di fuori dell’ambito professionale. In tutte le altre circostanze, anche i diritti d’autore, e i relativi diritti connessi, sembrano possedere la natura di “ordinari” beni immateriali, connessi a obbligazioni tra le due parti contrattuali, e suscettibili di concorrere pienamente al reddito e al volume d’affari o corrispettivi del cedente (nonché dell’impresa acquirente o licenziataria, sotto forma di ammortamento).

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