Domanda
In seguito di donazione di attivita' commerciale (bar) i donatari (figli) vorrebbero costituire una societa' per la conduzione in comunione dell'attivita'. La costituzione di una srl comporta la perizia del valore dell'azienda prevista per le trasformazioni? E' possibile costituirsi anche in snc? E' possibile accettare l'eredita' e contestualmente costituire la societa' in modo da garantire la continuita' di operativita' dell'azienda?

Risposta
L'attività commerciale (bar) che, di regola, viene individuata come "azienda", nella situazione di passaggio in successione costituisce una comunione incidentale che si realizza in capo agli eredi.

La gestione della medesima sottostà alle modalità procedurali e alle regole della comunione, che, come si evince dai disposti normativi, risulta caratterizzata dal cosiddetto "godimento della cosa comune", salva l'ipotesi in cui gli eredi stessi non proseguono nella stessa in forma societaria.

In relazione al profilo fiscale, il decesso dell'imprenditore individuale genera una particolare situazione di "estromissione" dei beni dalla sfera aziendale a quella privata, anche se non sussiste, in tale evento, il manifestarsi di una specifica "volontà" che porterebbe alla rilevazione fiscale di eventuali plusvalenze o minusvalenze.

Se l'erede, o i coeredi, hanno intenzione di proseguire l'attività commerciale già esercitata dal de cuius, si verifica una specie di "ridestinazione all'azienda" dei beni medesimi, che può, per evidenti motivi, sfociare nella costituzione esteriore di una società.

In tale situazione, possono "dividersi":

- la titolarità dell'azienda, che continua a far parte della comunione ereditaria;

- la titolarità dell'impresa in capo ai coeredi che decidono di continuare nell'esercizio dell'attività.

Nell'ipotesi in cui gli eredi decidono di proseguire nell'esercizio dell'attività dell'impresa del de cuius, si materializza il sorgere di una società di fatto, tenendo presente che, dal punto di vista fiscale, gli eventuali beni immobili strumentali per natura si devono considerare "relativi all'impresa" anche se la loro titolarità civilistica permane in capo alla comunione ereditaria.

In altri termini, è opportuno puntualizzare che l'accettazione dell'eredità costituita da un'azienda commerciale non determina, in modo automatico, il manifestarsi della qualifica di imprenditore nelle persone degli eredi, i quali, semmai, possono divenire imprenditori in un momento successivo e cioè in conseguenza dell'eventuale esercizio professionale e concreto dell'attività economica, tenendo in considerazione che la regolarizzazione di una società di fatto non determina, come regola generale, alcun mutamento sostanziale nella situazione in essere, poiché la variazione in società regolare non rappresenta un atto di "realizzo" delle plusvalenze latenti nei beni sociali.

Il trasferimento di azienda per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell'azienda stessa, e che, in tale situazione, l'azienda viene assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa.

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, nella sentenza 17 novembre 2000, n. 14889, ha, tra l'altro, puntualizzato che se alla morte dell'imprenditore individuale l'impresa non cessa con una necessaria fase di liquidazione, si deve presumere che essa venga continuata in una forma di comunione da tutti i chiamati all'eredità, e, quindi, tra di loro è legittimamente configurabile, in mancanza di atti formali, una società di fatto.

Pertanto, se gli eredi:

o si limitano a ricevere l'azienda a seguito della successione e proseguono nell'attività del de cuius, non c'è soluzione di continuità nell'esercizio dell'impresa, e, di conseguenza, non si concretizzano plusvalenze imponibili;

- si limitano all'autoconsumo dei beni già facenti parte del compendio aziendale, non si verificano valori tassabili;

- cedono a terzi l'azienda ereditata, le inerenti plusvalenze sono imponibili in capo agli eredi cedenti come redditi diversi.

Infatti, il presupposto della tassazione esplica effetti solamente per la cessione successiva, e non anche per l'utilizzo personale dei beni dell'azienda da parte degli eredi; nel settore delle imposte sui redditi, infatti, non è possibile assegnare rilevanza all'obiettivo extra-impresa del bene, per difetto, nei riguardi degli eredi, della cosiddetta "doppia soggettività tributaria" (di imprenditore e di contribuente comune).

Il passaggio dal godimento dell'azienda allo svolgimento dell'attività economica in forma societaria, oltre che tramite comportamento concludente che realizza il sorgere, come accennato, di una società di fatto, può anche realizzarsi mediante una trasformazione in società di capitali (art. 2500-opties del codice civile).

L'effetto della trasformazione, in concreto, è la continuità de rapporti giuridici.

L'art. 2498 del codice civile, stabilisce che con la trasformazione il soggetto trasformato conserva i diritti e gli obblighi e prosegue in tutti i rapporti anche processuali dell'ente che ha effettuato la trasformazione e segna, di conseguenza, una regola diversa da quella propria degli avvenimenti di carattere traslativo e specificamente da quelli di cui agli artt. 2556 e ss. del codice civile.

All'ipotesi di trasformazione in argomento si rendono operative tanto le norme di applicazione generale in materia di trasformazione (artt. da 2498 a 2500-bis del codice civile) quanto le norme speciali (artt. 2500-septies-2500-novies del codice civile) che disciplinano le ipotesi di trasformazione eterogenea (in cui vi sia cioè un mutamento della scopo o della finalità di esercizio dell'attività dal godimento a quelle imprenditoriali e viceversa).

I diversi passaggi procedurali dell'operazione possono essere così sintetizzati:

- l'approvazione della deliberazione avente ad oggetto la trasformazione deve avvenire per atto pubblico e con decisione unanime (art. 2500-octies del codice civile);

- le quote di partecipazione alla società trasformata devono necessariamente risultare corrispondenti alle quote di partecipazione dei comunisti alla cosa comune (art. 2500- quater, comma 1, del codice civile);

- il capitale sociale deve essere individuato, accertato e definito in relazione ai valori degli elementi dell'attivo e del passivo al momento della trasformazione (art. 2500-ter, comma 2, del codice civile);

- per la valutazione si devono rispettare le modalità per la stima dei conferimenti, stabilite dalla legge a seconda del tipo di società prescelto (art. 2343 e art. 2465 del codice civile) e il capitale non può risultare di entità superiore al valore del patrimonio netto stimato, mentre può essere deciso in un ammontare inferiore, in quanto non sussiste la necessità dell'imputazione integrale del patrimonio a capitale.

Ai fini procedurali si potrebbe sostenere che non è stata espressamente prevista per l'ipotesi in argomento la redazione di una relazione di stima del patrimonio, anche se, si ritiene, in relazione a specifiche esigenze di tutela dei terzi sottostanti la formazione del capitale sociale si ritiene opportuno considerare l'interpretazione estensiva dell'art. 2500-ter, comma 2, del codice civile, che superi il limite della previsione testuale della norma alle sole ipotesi di trasformazione di società di persone in società di capitali.


Fonte: IPSOA

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