Con la pronuncia 4126 del 15 marzo, le sezioni unite della Cassazione hanno affermato due interessanti e convincenti principi di diritto, con riferimento alla procedura di riscossione coattiva dei crediti di natura fiscale nell’ambito delle procedure concorsuali.
Col primo, si precisa che la legittimazione dell’agente della riscossione a far valere il credito tributario nell’ambito della procedura fallimentare – ai sensi dell’articolo 87 del Dpr 602/1973, in base al quale è autorizzato a presentare istanza di fallimento e, successivamente, a chiedere l’ammissione al passivo per conto dell’Amministrazione finanziaria – non esclude la legittimazione di quest’ultima, che mantiene la titolarità del credito azionato.
In secondo luogo, la domanda di ammissione al passivo di un fallimento – avente a oggetto un credito tributario – non presuppone, necessariamente, ai fini del buon esito della stessa, la precedente iscrizione a ruolo del credito azionato, la notifica della cartella di pagamento e l’allegazione all’istanza di documentazione comprovante l’avvenuto espletamento delle dette incombenze, potendo, la stessa domanda, essere basata anche su titolo di diverso tenore.

I fatti di causa
L’Amministrazione finanziaria propone istanza di ammissione al passivo del fallimento di una società, allegando, a sostegno della richiesta, copia dei fogli di prenotazione, quali titoli definitivi dei crediti vantati. Il curatore fallimentare, invece, eccepisce l’assenza di titoli giustificativi del credito idoneo a sostenere la richiesta, non potendosi considerare tali i fogli di prenotazione.
Il Tribunale adito rigetta la domanda, come pure la Corte territoriale di appello, secondo cui i titoli vantati dall’Erario – ossia, i fogli prenotati a ruolo e le sentenze tributarie che avevano rigettato i relativi ricorsi – non potevano essere interpretati come prova dell’esistenza di credito, essendo l’esito positivo della richiesta di ammissione al passivo subordinato alla formazione del ruolo e alla notifica della cartella di pagamento, atti questi che rappresentano il titolo della pretesa tributaria, nella fattispecie assenti.

Il caso viene rimesso alle sezioni unite della Corte suprema, stante la rilevante questione di stabilire, per un verso, se l’istanza di ammissione al passivo debba essere o meno preceduta dall’iscrizione a ruolo dei crediti erariali azionati e dalla notifica della cartella di pagamento e, per un altro, se sia ammissibile un’azione esecutiva intrapresa senza l’intervento dell’agente della riscossione, a ciò deputato per legge.

Nel ricorso l’Amministrazione ritiene erronea la sentenza di appello, laddove non ha considerato che, in caso di fallimento del debitore, il Fisco – ai fini del riconoscimento di un proprio credito – è tenuto a insinuarsi al passivo con un titolo idoneo, che ben può essere correttamente individuato in un accertamento confermato in secondo grado. Inoltre, la domanda di ammissione al passivo non richiede la preventiva emissione del ruolo, che viene emesso solo dopo tale ammissione.

Per i giudici di piazza Cavour, le ragioni dell’Amministrazione finanziaria sono fondate.

Sulla legittimità dell’Agenzia all’ammissione al passivo
In merito alla legittimità dell’Erario di far valere, nell’ambito della procedura fallimentare, il credito di cui assume essere titolare, la Corte afferma che – dal combinato disposto della normativa che disciplina le procedure concorsuali (Rd 267/1942, di seguito legge fallimentare) e quelle della riscossione coattiva a mezzo ruolo (Dpr 602/1973) che, nel conferire all’agente della riscossione la legittimazione per la proposizione della domanda di ammissione al passivo di un credito dell’Amministrazione finanziaria, assume una valenza esclusivamente processuale – “…il potere rappresentativo dell’Amministrazione Finanziaria allo stesso riconosciuto non vale ad escludere la titolarità del credito da parte di quest’ultima e, per l’effetto, il diritto di farlo valere nell’ambito della procedura fallimentare, come d’altro canto specificamente già affermato da questa Corte in precedente decisione (C. 10/24963)”.

In sostanza, l’articolo 6 della legge fallimentare – secondo cui il fallimento è dichiarato su ricorso del debitore, di uno o più creditori o su richiesta del pubblico ministero – non stabilisce alcuna esclusione per particolari categorie di creditori. Ne consegue che ogni creditore e, quindi, anche l’Amministrazione finanziaria, in quanto titolare di un credito d’imposta, può presentare istanza di fallimento verso un proprio debitore, in quanto l’articolo 87 del Dpr 602/1973 non costituisce nessuna deroga né riveste carattere di specialità rispetto al richiamato articolo 6, ma ne rappresenta, invece, piena e rispettosa applicazione, limitandosi a determinare il soggetto legittimato a far valere l’istanza per conto dell’Amministrazione (Cassazione, sentenza 23338/2010).

Sulla “non necessità” della preventiva iscrizione a ruolo
Una volta chiarito che l’Amministrazione finanziaria conserva una propria autonoma legittimazione per far valere, con la domanda di ammissione al passivo del fallimento, il credito vantato, la Corte affronta il problema di stabilire se, a tal fine, siano o meno necessarie la preventiva iscrizione a ruolo dei crediti azionati e la conseguente notifica della cartella di pagamento al curatore del fallimento.

Al riguardo, la Corte d’appello ha affermato l’indispensabilità di tale incombenza sulla base di argomentazioni fondate sul dato normativo e su precedenti giurisprudenziali di questa Corte.
In effetti, prosegue la Corte suprema, per quanto concerne quest’ultimo aspetto, è stata più volte evidenziata la necessità, ai fini dell’ammissione del credito al passivo del fallimento, del duplice requisito della preventiva iscrizione a ruolo del credito tributario e della successiva notifica della cartella al curatore (Cassazione, sentenze 14579/2010, 12777/2006, 23001/2004).
Tuttavia, tale giurisprudenza “…non appare di significativo rilievo in questa sede, atteso che si tratta di decisioni emesse in fattispecie del tutto diverse, vale a dire in casi in cui l’istanza di ammissione era stata presentata dal concessionario, anziché dall’Amministrazione Finanziaria”.

In altri termini, le ipotesi in cui il credito erariale viene azionato dall’agente della riscossione, rappresentano fattispecie che presuppongono, fisiologicamente, la preventiva formazione del ruolo e la conseguente allegazione all’istanza di ammissione al passivo.

Più convincente, invece, sembrerebbe risultare, a un immediato e sommario esame, il primo profilo sopra richiamato, attinente al contenuto della disciplina legislativa vigente.
Infatti, nel Dpr 602/1973 viene disposto: che le imposte sui redditi sono riscosse mediante ritenuta diretta, versamenti diretti del contribuente al concessionario, iscrizione nei ruoli, vale a dire secondo un modulo procedimentale tipizzato (articolo 1); che, per la riscossione delle imposte non pagate, l’esattore procede all’esecuzione forzata in virtù del ruolo, che costituisce titolo per l’ammissione con riserva nelle procedure concorsuali (articolo 45); che il concessionario è legittimato a presentare istanza di fallimento e quindi, successivamente, a chiedere l’ammissione al passivo (articolo 87); che, nel caso di contestazione sulle somme iscritte a ruolo, il credito è ammesso con riserva, da sciogliere una volta decorso il termine per adire il giudice competente ovvero all’esito dell’instaurato giudizio (articolo 88).
È plausibile che tale articolato normativo “…possa aver indotto il giudice del merito a formarsi il convincimento che il credito dell’Amministrazione sorga direttamente con la formazione del ruolo, e che questo quindi costituisca il presupposto necessario per la relativa ammissione”.

Tuttavia, affermano i giudici di legittimità, tale assunto non può essere condiviso in quanto, “…sia sul versante giurisprudenziale che su quello normativo, sono apprezzabili riscontri che depongono in senso diametralmente opposto, vale a dire nel senso della non indispensabilità del ruolo…”; quanto al primo punto, fanno fede “…le diverse sentenze di questa Corte con le quali è stato affermato che la dichiarazione IVA, se non seguita da atto di rettifica dell’Amministrazione ovvero da correzioni successive, vale come accertamento dell’obbligazione tributaria e, nel caso di riscontrato inadempimento, costituisce titolo per la riscossione dell’imposta (C. 09/5165, C. 07/16120, C. 06/2994, C. 04/13027)…”.
Quanto al secondo aspetto “…l’art. 19 D.M. Ministero delle Finanze del 28.12.1989,…prevedeva, al fine della riscossione delle somme dovute da soggetti sottoposti a procedura concorsuale, la formazione del ruolo dopo la definitiva ammissione al passivo delle suddette somme, così implicitamente denunciando la convinzione, da parte dello stesso Ministero creditore delle somme da riscuotere, della non necessità del ruolo”.

Ciò nonostante, da una lettura approfondita della normativa che legittima, a seguito del mancato pagamento del ruolo, l’esattore a procedere esecutivamente avvalendosi proprio del ruolo come titolo esecutivo – ovvero, nell’ipotesi di pendenza di procedura concorsuale, per ottenere l’ammissione al passivo del credito insoddisfatto – non si evince, “…come dato necessario ed ineludibile, la conseguenza che l’istanza di ammissione al passivo per un credito erariale debba essere sorretta dal ruolo preventivamente formato. Al contrario la disposizione in questione si limita a legittimare l’esattore, ove verificata l’intervenuta apertura di procedura concorsuale in danno del debitore, a procedere esecutivamente anche a fronte della nuova procedura in corso…ovvero ad avvalersi del titolo esecutivo rappresentato dal ruolo, ai fini dell’ammissione al passivo del credito”.

Da tali considerazioni, concludono i giudici di piazza Cavour, si deve ritenere che la corretta interpretazione della normativa vigente esclude che possa essere affermata la necessità dell’allegazione del ruolo, a sostegno della domanda di riconoscimento del credito erariale direttamente formulata dall’Amministrazione creditrice.
Seppur non necessario, tuttavia, il ruolo rafforza la posizione del creditore che, ove ritenga preferibile depositare istanza di ammissione al passivo senza la preventiva formazione dello stesso, assume il rischio dell’iniziativa adottata e, nel caso di contestazione da parte del debitore, subisce le conseguenze della sua inerzia.

Tale interpretazione, infine, è in sintonia con la disciplina dettata con riferimento alla domanda di ammissione al passivo (articolo 93 della legge fallimentare), per la quale è richiesta la semplice esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che costituiscono la ragione della domanda e non anche la necessaria allegazione di un titolo.


Fonte: Agenzia Entrate

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