Una società di diritto tedesco, società madre di gruppo di imprese, nell’ambito di un operazione finanziaria acquistava da un soggetto bancario diritti di ipoteca e crediti relativi a contratti di mutuo poi dichiarati disdetti e risolti. Il relativo contratto di cessione prevedeva che i crediti erano detenuti per conto e a rischio del cessionario. Era esclusa per il cedente la responsabilità sul recupero dei crediti. In una comunicazione l’Amministrazione finanziaria tedesca sottolineava che l’ammontare dei crediti recuperabili era di misura inferiore al valore nominale. Essendo stabilito il periodo di recupero in circa tre anni, le parti avevano pattuito che con la descritta operazione si dava luogo a una anticipazione da parte del cessionario a vantaggio del cedente. Le parti si erano accordate anche per un determinato tasso di interesse. All’atto dell’acquisto le parti, inoltre, avevano ritenuto che l’operazione non costituiva di per sé una operazione imponibile ai fini Iva. Ma se l’Amministrazione finanziaria fosse stata di avviso contrario, cessionario e cedente avevano convenuto che la prestazione imponibile avrebbe avuto un valore pari alla differenza tra valore economico (al netto degli interessi) e prezzo definitivo di acquisto dei crediti. Dalla dichiarazione Iva, pertanto, risultava che tale valore costituiva il corrispettivo della prestazione imponibile. La società di diritto tedesco, non essendo d’accordo sull’indicazione in dichiarazione del valore della prestazione imponibile, così determinato, proponeva ricorso all’Amministrazione finanziaria che, a sua volta, respingeva il ricorso. Il controricorso presentato dalla società ricorrente trovava accoglimento. In altri termini la società ricorrente affermava che l’operazione costituiva un mero trasferimento di crediti in sofferenza che, diversamente da operazioni di factoring, non costituivano una prestazione di servizi al cedente e, di conseguenza, non imponibile ai fini Iva. Il giudice del giudice del rinvio, sollecitato sulla questione, decideva di sospendere il ricorso e di rivolgersi alla Corte di giustizia.

Le questioni pregiudiziali
Le questioni pregiudiziali sottoposte ai togati europei sono sostanzialmente tre, anche se la risoluzione della prima consente, come affermato dai giudici, di dichiarare risolte anche le altre due questioni. Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se gli artt. 2, punto 1, e 4 della sesta direttiva debbano essere interpretati nel senso che un operatore che acquisti crediti in sofferenza ad un prezzo inferiore al loro valore nominale, effettui una prestazione di servizi a titolo oneroso e svolga un’attività economica assoggettabile ad Iva. Risolta positivamente la prima questione la seconda verte sull’interpretazione dell’articolo 13, parte B, lett. d), punti 2 e 3, della sesta direttiva, in merito all’assunzione del rischio di insolvenza da parte del cessionario del credito nell’acquisto di crediti in sofferenza a un prezzo significativamente al di sotto del valore nominale dei crediti esente da imposta. Ancora una volta una eventuale soluzione affermativa fa nascere la terza e ultima questione. Ossia se il corrispettivo per la prestazione imponibile debba essere determinato in base ai costi della riscossione stabiliti dalle parti ovvero in base a quelli effettivi.

Le argomentazioni dei giudici europei
I giudici europei precisano che nell’ambito del sistema Iva, le operazioni imponibili presuppongano l’esistenza di un negozio giuridico tra le parti a un certo prezzo o controvalore. Pertanto se l’attività di un prestatore consiste nel fornire esclusivamente prestazioni senza corrispettivo diretto, non vi è base imponibile e tali prestazioni non sono, quindi, soggette a iva. Una prestazione di servizi viene effettuata a titolo oneroso, secondo l’articolo 2, n. 1, della sesta direttiva, divenendo operazione imponibile soltanto quando tra prestatore e utente intercorra un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni. A tal riguardo, secondo costante giurisprudenza, la nozione di prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso, secondo l’articolo 2, punto 1, presuppone la sussistenza di un nesso diretto tra servizio e controprestazione. I giudici europei puntualizzano che nelle operazioni di factoring, in cui il factor garantisce al cliente il pagamento dei crediti assumendo il rischio di insolvenza dei debitori, rientra nello sfruttamento del bene per ricavarne introiti con un certo carattere di stabilità (articolo 4, n. 2, della sesta direttiva). Nell’ambito dell’operazione di cessione dei crediti oggetto della causa, il cessionario dei crediti si impegnava a fornire al cedente servizi di factoring, in contropartita dei quali riceveva una remunerazione, vale a dire una commissione di factoring ed un premio in forza della clausola dello star del credere. Si deve rilevare che la fattispecie di cui alla causa principale non rientra in una operazione di factoring e non essendoci corrispettivo per la cessione del rischio, non si è in presenza di attività economica. È stato rilevato con certezza che esiste una differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti e il loro prezzo di acquisto mentre la differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti e il prezzo di acquisto non costituisce il corrispettivo di tale servizio. Tale differenza non è altro che il valore economico effettivo dei crediti al momento della loro cessione. Ecco che allora la questione principale va risolta dichiarando che gli articoli 2, punto 1, e 4 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che un operatore che acquisti crediti in sofferenza a un prezzo inferiore al valore nominale non effettua una prestazione di servizi a titolo oneroso e non esercita un’attività economica imponibile se la differenza tra valore nominale dei crediti e prezzo di acquisto riflette il valore economico effettivo dei crediti al momento della cessione. I togati europei nel pronunciarsi sulla prima questione pregiudiziale risolvono automaticamente i dubbi sollevati nella seconda e terza questione pregiudiziale.


Fonte: sentenza Corte UE del 27.10.2011 procedimento C-93/10

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