Il codice della privacy prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva; il danneggiato deve provare il fatto della lesione, il danno e il nesso di causalità.Il codice della privacy prevede un’ipotesi di responsabilità oggettiva; il danneggiato deve provare il fatto della lesione, il danno e il nesso di causalità.

La responsabilità per l’illecito trattamento dei dati personali è disciplinata dall'art. 15 del d.lgs 30 giugno 2003 n 196 detto anche Codice della Privacy. La disposizione di cui si tratta prevede che chiunque cagioni un danno, riguardante il trattamento dei dati personali, sia tenuto al risarcimento ai sensi dell’art. 2050 c.c. Quest’ultima disposizione prevede una responsabilità aggravata, di tipo oggettivo o semioggettivo, nei confronti di chi svolge una attività pericolosa.

In questo contesto si colloca la decisione in commento. Nel caso di specie una ex tossicodipendente veniva ricoverata presso una Struttura Ospedaliera ove, a richiesta della stessa, le veniva somministrato il metadone. La paziente richiedeva espressamente che non venisse rivelato il proprio stato di tossicodipendenza ai familiari. Nonostante detta richiesta, durante una visita da parte di una sorella le veniva chiesto in presenza di quest’ultima dalla caposala quando voleva che le portasse il metadone. Detto fatto aveva svelato il suo stato di tossicodipendenza e per tale motivo la famiglia aveva cessato i rapporti con la paziente al punto tale che il giorno del matrimonio quasi nessun familiare si recava al matrimonio.

Per tale ragione la danneggiata ricorreva al Tribunale di Pordenone al fine di ottenere il risarcimento del danno per le sofferenze patite in seguito all’indebita rivelazione del suo stato di tossicodipendente. Si costituiva la resistente chiedendo la reiezione delle domande della ricorrente.

Il Giudice evidenzia che il codice della privacy all’art. 83 c. 1 e 2 lett. c) e d) impone l’adozione di misure minime di sicurezza per pervenire durante i colloqui l’indebita conoscenza da parte di terzi di informazioni idonee a rivelare lo stato di salute e ad evitare che le prestazioni sanitarie avvengano in situazioni di promiscuità derivanti dalle modalità o dai locali prescelti.

Orbene, il Giudice, accertata la condotta illegittima della resistente ritiene che quest’ultima è tenuta al risarcimento del danno ai sensi dell’art. 2050 c.c. come previsto dall’art. 15 del Codice della privacy.

Il Tribunale evidenzia che l’art. 15 in esame contempla una vera e propria responsabilità oggettiva, essendo sufficiente che il danneggiato provi il fatto della lesione, il danno ed il nesso di causalità, potendo liberarsi la resistente solo escludendo tale nesso causale.

Il Giudice rimarca che anche se l’art. 15 in esame prevedesse un semplice inversione dell’onere della prova, in relazione all’elemento soggettivo del dolo e della colpa, nel corso dell’istruttoria la resistente non ha comunque fornito alcuna prova di aver adottato tutte le misure possibili onde evitare il fatto oggetto di accertamento.

Detto ciò il Tribunale si sofferma sul danno non patrimoniale liquidando lo stesso in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., attesa la natura affettiva degli interessi lesi.

In conclusione il Giudice condanna la resistente al risarcimento del danno per il mancato rispetto delle disposizioni del Codice della privacy.

(Tribunale Pordenone, Sentenza 16/04/2010, n. 327)


Fonte: IPSOA

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