Non lede i principi costituzionali la previsione dell'articolo 70 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui riconosce l'indennità alle sole madri, libere professioniste. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 285 del 28 luglio 2010 ha dichiarato, rispettivamente, inammissibile e non fondate, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 70 sollevate, l’una dalla Corte d’appello di Venezia, l’altra dalla Corte d’appello di Firenze, in riferimento agli artt. 3, 29 e 31 della Costituzione.

Secondo la Corte d’appello di Venezia l’art. 70 del D.Lgs. n. 151/2001, nel riconoscere il diritto di percepire l’indennità di maternità alla sola madre libera professionista, pone una limitazione alla tutela del superiore interesse del bambino, in quanto non consente ai genitori di effettuare quelle scelte familiari – tra le quali rientra quella di stabilire chi tra il padre e la madre debba assentarsi dal lavoro in occasione della nascita – tese a garantire la migliore cura e assistenza della prole.

Secondo la Corte d’appello di Firenze, l’articolo 70 in questione si pone in contrasto con il principio di uguaglianza, in quanto l’indennità di maternità è riconosciuta al padre, sia nel caso di adozione o affidamento (sentenza n. 385 del 2005), sia in quello in cui egli svolga attività di lavoro dipendente (art. 28 D.Lgs. n. 151 del 2001).

Con la richiamata sentenza n. 285/2005 la Corte Costituzionale, seppure con riferimento ad un caso di adozione preadottiva, ha infatti sancito l'illegittimità costituzionale degli artt. 70 e 72 del D.Lgs. n. 151/2001, nella parte in cui non prevedono il principio che al padre spetti di percepire in alternativa alla madre l'indennità di maternità, attribuita solo a quest'ultima.

La previsione che solo alle madri libere professioniste iscritte ad un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza, e non anche al padre libero professionista, sia riconosciuta un'indennità di maternità (art. 70), estesa dall'art. 72, primo comma, all'ipotesi di adozione o affidamento, fu giudicata nel 2005, un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore.

Il Tribunale di Firenze in qualità di giudice del lavoro, con sentenza n. 710 del 20 giugno 2008, condannava, in applicazione della norma censurata, la Cassa di Previdenza forense al pagamento in favore di un avvocato iscritto dell’indennità di maternità conseguente alla nascita del figlio avvenuta l’8 maggio 2006.

Avverso tale sentenza presentava ricorso la Cassa di previdenza.

Da qui la richiesta di intervento della Corte Costituzionale, che ritiene che il caso della madre biologica sia del tutto diverso da quello dell’affidamento preadottivo, fattispecie nella quale non si pone l’esigenza di tutela della gravidanza e del puerperio di una madre biologica.

Con la sentenza n. 285 in esame, la Corte Costituzionale dichiara, pertanto, non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata argomentando, fra l’altro, che l’art. 28 del D.Lgs. n. 151/2001 non assimila la posizione del padre naturale dipendente a quella della madre, potendo il primo godere del periodo di astensione dal lavoro e della relativa indennità solo in casi eccezionali e ciò proprio in ragione della diversa posizione che il padre e la madre rivestono in relazione alla filiazione biologica.

In questo caso, alla tutela del nascituro si accompagna quella della salute della madre, alla quale è finalizzato il riconoscimento del congedo obbligatorio e della collegata indennità.

(Sentenza Corte Costituzionale 28/07/2010, n. 285)


Fonte: IPSOA

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