Con la sentenza del 3 settembre (causa C-2/08) i giudici della Corte di giustizia europea hanno posto precisi limiti agli effetti del cosiddetto giudicato esterno, affermando che laddove la decisione giurisdizionale, divenuta definitiva, sia fondata su un’interpretazione delle norme comunitarie in contrasto con il diritto comunitario, l’eccezione di giudicato esterno non può trovare applicazione, essendo in contrasto con il principio di effettività.

Ma anche a prescindere dall’eventuale contrasto con i dogmi del diritto comunitario, resta il fatto che gli effetti del giudicato esterno si devono comunque muovere entro binari ben determinati.

La sentenza penale di condanna o di assoluzione, per ormai consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione (da ultimo, la sentenza n. 12022 del 25 maggio 2009), ai sensi dell’articolo 654 del codice di procedura penale, può avere per esempio efficacia nei giudizi civili e amministrativi solo in caso di effettiva partecipazione al dibattimento della parte civile e del responsabile civile. Conseguentemente, laddove l’Amministrazione finanziaria non abbia partecipato al processo penale, anche la sentenza passata in giudicato costituisce “un semplice indizio o elemento di prova critica…”.

Anche al di fuori di tali casi “particolari”, del resto, il contenzioso relativamente al quale si chiede l’applicazione del giudicato formatosi in altro giudizio, oltre a riguardare lo stesso contribuente, deve essere comunque relativo alle medesime questioni di fatto e di diritto già oggetto della decisione passata in giudicato. Solo in tale ipotesi è precluso il riesame del medesimo profilo già giudicato in via definitiva.

Compito dei giudici tributari è, infatti, appurare la legittimità della pretesa tributaria attinente allo specifico rapporto dedotto in giudizio, laddove appunto tale pretesa potrà essere diversa (da un precedente giudizio), in quanto diversamente individuata (rispetto al precedente giudizio) per mezzo di differenti argomentazioni logiche e giuridiche.

Quindi, per appurare se si possa o meno verificare preclusione da giudicato esterno, è necessario valutare se coincidano le considerazioni di fatto e di diritto e le motivazioni sostenute dall’ufficio e dal contribuente, nell’uno e nell’altro processo, e non semplicemente se coincidano le contestazioni sollevate a carico del contribuente.

Se dunque le argomentazioni logico-giuridiche addotte sono differenti rispetto a quelle già usate nel giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato, non si può dire che si sta discutendo del medesimo rapporto giuridico e non si può dunque estendere l’efficacia del giudicato.

Infatti, anche laddove il contesto fattuale sia il medesimo, non c’è dubbio che “… perché una sentenza possa considerarsi contraria ad altra precedente, avente tra le parti autorità di cosa giudicata e quindi suscettibile di revocazione, è necessaria, oltre all’identità dei soggetti, vincolati dal giudicato, con le parti del processo, in cui i suoi effetti vengono invocati in sede di revocazione della sentenza che lo ha definito……anche quella di oggetto, da intendersi quale identità degli elementi obiettivi delle domande giudiziali proposte nelle due cause (causae petendi et petita), di tal che tra le due fattispecie dedotte in giudizio sia rilevabile una ontologica e strutturale concordanza, nel senso che la precedente sentenza deve avere ad oggetto il medesimo fatto – o un fatto a questo antitetico - e non anche un fatto costituente un possibile antecedente logico” (Cassazione, sentenza n. 14714/2001).

Pertanto, non è sufficiente che vi sia una semplice identità di premessa logica, ma devono essere identiche la causa petendi e il petitum.

È sempre la Cassazione, nella stessa sentenza 14714, a riconoscere che il processo tributario, rispetto a quello civile e amministrativo, conserva una sua spiccata specificità, correlata sia alla configurazione dell’organo decidente, sia al rapporto sostanziale oggetto del giudizio che attiene alla fondamentale e imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l’esercizio delle sue funzioni attraverso l’attività dell’Amministrazione finanziaria, la quale ha il potere dovere di provvedere con atti autoritativi all’accertamento e alla pronta riscossione dei tributi.

Il processo tributario ha dunque una configurazione particolare che lo differenzia sia da quello civile, sia da quello amministrativo di annullamento e, ancorché generalmente instaurato mediante impugnazione di un atto impositivo ha comunque a oggetto lo specifico rapporto tributario dedotto in giudizio, costituito, da un lato, dalla pretesa fatta valere dall’Amministrazione finanziaria con l’atto medesimo e dall’altro dai motivi della sua impugnazione.

In tale processo, aggiunge la Corte“è riscontrabile una, per così dire complessità di oggetto costituita, per quanto riguarda la pretesa dell’Amministrazione dalla motivazione del provvedimento impositivo…e per quanto attiene all’impugnazione del contribuente dai motivi di ricorso e dall’oggetto della domanda…. Sembra dunque possibile affermare…che in siffatto processo l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato ( art. 2909 del codice civile) – quale parametro del giudizio di contrarietà al giudicato di una sentenza successiva pronunciata tra le stesse parti…non può che attenere allo specifico rapporto tributario, siccome dedotto in giudizio dalle parti”.

L’eccezione di giudicato esterno non potrà dunque trovare riconoscimento anche quando, pur sussistendo una parziale identità dei fatti, sia diversa la qualificazione degli stessi, come offerta dall’Amministrazione finanziaria per fondare la propria pretesa.

Nella valutazione di non operatività della preclusione del giudicato esterno, pertanto, i profili oggetto di esame dovranno essere in particolare i seguenti:

•qualificazione giuridica

•argomentazioni logico – giuridiche poste a base della pretesa tributaria

•fatti.

Laddove anche solo uno di questi profili non sia esattamente coincidente, il giudicato esterno non potrà avere alcun effetto preclusivo.

La circostanza di più facile e immediata verifica è certamente quella attinente ai fatti di causa.

Come infatti affermato dalla sentenza n. 11084 del 7 maggio 2008 della Corte di cassazione, l’effetto di preclusione da giudicato esterno non si produce“nei confronti di poste che si rinnovano di anno in anno su presupposti di fatto diversi”.

E questo, come ribadito dalla sentenza n. 4607 del 22 febbraio 2008 della stessa Corte, anche quando si tratti “di un’identica questione di diritto”.

Ancora la Suprema corte, con la sentenza n. 21041 dell’8 ottobre 2007, ha affermato, inoltre, che "non costituisce giudicato esterno opponibile in una controversia relativa all'accertamento dei redditi di un anno la sentenza relativa ad altro anno di imposta e fondata su una situazione fattuale specifica di quell'anno di imposta".

Ma, anche laddove tali fatti coincidano, laddove non coincidano però anche tutti gli altri profili sopra evidenziati, nessuna preclusione potrà operare.

Fonte: Agenzia Entrate

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