Con la risoluzione n. 192/E del 12 maggio, l'Agenzia fornisce chiarimenti in merito alla disciplina fiscale conseguente alla realizzazione di un contratto di associazione in partecipazione, precisando che la corretta tassazione implica la preventiva valutazione della natura dell'apporto dell'associato. La determinazione della disciplina fiscale applicabile al contratto di associazione in partecipazione richiede un'attenta valutazione della natura dell'apporto, che costituisce uno degli elementi essenziali di tale tipologia di negozio giuridico, perché da essa discende la speculare individuazione del diverso regime di tassazione delle componenti reddituali positive.

Il contenuto del quesito, formulato dal contribuente con un'istanza d'interpello, mira a trovare nella risposta dell'Agenzia un conforto interpretativo circa i riflessi fiscali conseguenti alla realizzazione di tale contratto, ossia ai fini delle imposte sui redditi, dei rapporti economici tra associante e associato a titolo di remunerazione dell'apporto e a titolo di riaddebito dei costi sostenuti.

Il caso concreto rappresentato e la soluzione interpretativa del contribuente
In buona sostanza, l'interpellante, manifestando l'intenzione di costituire una società di persone avente a oggetto la prestazione di servizi amministrativi e commerciali, anche in qualità di associata in partecipazione a favore di società che svolgono attività di agenzia di viaggi e turismo, desidera avere chiarimenti in merito all'interpretazione dell'articolo 109, lettera b, del Tuir.
Il disegno ha l'obbiettivo di conferire, mediante il contratto di associazione in partecipazione, a una costituenda società, in qualità di associato, una quota di utili derivanti dalla gestione di un punto vendita che la società proponente aprirebbe per la distribuzione dei propri prodotti verso il corrispettivo di un apporto costituito dalle prestazioni d'opera e di servizi necessari al buon andamento dell'esercizio.

Le volontà delle parti contraenti sono espressamente manifestate nella bozza del contratto allegato all'interpello, nella quale, tra l'altro, si legge che l'istante associata si obbliga a versare (quale corrispettivo a fondo perduto e senza vincolo di restituzione) 70mila euro al fine di consolidare e accrescere le esperienze e i successi commerciali già acquisiti e che l'associante si impegna invece ad attribuire all'associata il 95% degli utili derivanti dalla gestione del punto vendita, determinati sulla base del saldo contabile tra i costi e ricavi di gestione come risultanti dal rendiconto annuale dell'attività economica.

Il contribuente formula, appellandosi alla normativa primaria e alla prassi dell'Amministrazione che più volte si è espressa in materia, la propria esegesi della fattispecie.
L'istante premette che il contratto di associazione in partecipazione in esame dovrebbe essere inquadrato nella categoria dei contratti misti (ossia quelli caratterizzati dall'apporto di servizi e capitale) in quanto, a fronte dell'attribuzione di una quota di utili, l'associata si obbliga a prestare la propria opera nel punto vendita dell'associante e a corrispondere una somma di denaro (condizione necessaria, unitamente alla prestazione dei servizi, per partecipare agli utili dell'associante) che, sebbene non venga qualificata in sede contrattuale come apporto ma come corrispettivo, costituisce pur sempre un apporto di capitale.
A lume di ciò, consegue che al contratto in esame risulterebbero applicabili le previsioni dettate dagli articoli 59, comma 1, e 109, comma 9, lettera b), del Tuir, in base alle quali le remunerazioni percepite in relazione a un contratto di associazione in partecipazione con apporto misto sono tassabili in misura pari al 49,72% del loro ammontare in capo alla società associata, mentre le stesse risultano integralmente indeducibili in capo alla società associante.

La soluzione interpretativa prende in considerazione, in particolare, il contenuto del vincolo sinallagmatico tra le parti contraenti dal quale consegue il peculiare regime di deducibilità ai fini della determinazione del reddito imponibile per il quale, considerando assiomatico che si tratti di contratto misto, l'articolo 109 stabilisce l'indeducibilità in capo all'associante di ogni tipo di remunerazione dovuta all'associato in relazione ai contratti stessi.
Nel rispetto della cogenza normativa, dunque, l'istante esprime l'avviso che il versamento di 70mila euro all'associante possa essere portato in deduzione nella determinazione del reddito della società associata, mediante ammortamento di durata corrispondente alla durata del contratto.

Diversi sarebbero, sempre percorrendo le asserzioni del contribuente, le implicazioni relativamente all'applicazione dell'Iva, la quale non avrebbe motivo di essere presa in considerazione per assenza dei presupposti applicativi essendo tanto l'imponibilità della cessione di denaro che la successiva erogazione degli utili all'associato espressamente escluse dalla disciplina del tributo (articolo 2, Dpr 633/1972), così come chiarito nella risoluzione 62/2005 concernente un caso analogo, con la quale l'agenzia delle Entrate ha affermato che la base imponibile per l'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto è costituita dal valore normale dei beni al momento della cessione, mentre la successiva erogazione dell'utile all'associato non assume rilevanza ai fini del tributo.

Il parere dell'Agenzia
Le Entrate, nel rispondere al quesito, non mancano di precisare l'esatto contenuto della normativa civilistica nell'ottica di fugare nell'istante abbagli dialettici derivanti dalla forzatura della interpretazione letterale cui possa far seguito una qualificazione ultronea degli addebiti fiscali.
L'Agenzia richiama la qualificazione giuridica del contratto di associazione in partecipazione precisando che esso è il contratto con il quale una parte (l'associante) attribuisce a un'altra (l'associato) il diritto a una partecipazione agli utili della propria impresa o di uno o più affari determinati, dietro il corrispettivo di un apporto da parte dell'associato.
Tale apporto, secondo la giurisprudenza prevalente, potrà avere un contenuto finanziario ma potrà anche consistere nell'apporto di lavoro, o nell'apporto misto capitale/lavoro.

La disciplina è contenuta nell'articolo 2549 cc e seguenti, dalla quale si desume facilmente che l'associazione in partecipazione non è un contratto di società, dato che l'attività di impresa è esclusivamente demandata all'associante, che ne assume i relativi diritti e obblighi. La determinazione della natura e dell'oggetto dell'apporto è rimessa alla volontà delle parti e può consistere in una somma di denaro, nella cessione di beni mobili o immobili o nella prestazione di un'opera o di un servizio.
Con l'apporto reso, l'associato partecipa al rischio dell'attività di impresa o dell'affare posto in essere dall'associante; l'articolo 2553 del Codice civile stabilisce infatti che l'associato partecipa agli utili e alle perdite, ma le perdite che colpiscono l'associato non possono superare il valore del suo apporto.

Il contratto prevede, dunque, una partecipazione, da parte dell'associato, al rischio della gestione dell'impresa (o degli affari dedotti in contratto). Quale contrappeso esso prevede degli obblighi di rendicontazione in capo all'associante e dei diritti di ingerenza nella gestione in capo all'associato.
Il compenso spettante all'associato può essere sull'intero utile sociale o su una o più specifiche operazioni. La problematicità fiscale risiede nella misura della deducibilità in quanto l'apporto di capitale ovvero di capitale e lavoro (contratti misti) rientra nella previsione dell'articolo 109, comma 9, lettera b, del Tuir il quale, come si è detto, ha stabilito l'indeducibilità in capo all'associante di ogni tipo di remunerazione dovuta all'associato in relazione ai contratti stessi.

Tali compensi, per chi li percepisce, sono assoggettati a tassazione con le stesse modalità previste per gli utili spettanti in relazione alla partecipazione in società.
In particolare, nel caso di apporto di opere e servizi, quanto corrisposto dall'associante è deducibile, ex articolo 95, nell'esercizio di competenza, indipendentemente dall'imputazione a conto economico.
Viceversa, nel caso di apporto di capitale, all'associante è vietato dedurre qualsiasi remunerazione relativa a contratti di associazione in partecipazione in cui l'apporto sia costituito da capitale o da capitale e lavoro. Per quanto riguarda l'associato, occorre distinguere:

associato soggetto Ires - stesso regime di tassazione dei dividendi
associato soggetto Ire, imprenditore - gli utili percepiti concorrono alla formazione del reddito limitatamente al 49,72% dell'ammontare
associato soggetto Ire, non imprenditore - il reddito è considerato di capitale; se l'apporto è qualificato concorre a formare il reddito per il 49,72%, se è non qualificato deve essere assoggettato a ritenuta di imposta del 12,50 per cento.
Tornando al caso di specie, l'Agenzia ribadisce che la corretta disciplina fiscale impone la preventiva individuazione della la natura dell'apporto reso dall'associato che, inequivocabilmente, si concretizza di fatto in un apporto di opere e servizi, ossia nello svolgimento delle prestazioni necessarie per la gestione operativa del punto vendita.
Tale qualificazione non viene contraddetta dalla previsione in capo alla società associata del versamento di un importo pari a 70mila euro a titolo di corrispettivo e di rimborso degli investimenti effettuati dall'associante o da altre aziende del gruppo.
Il versamento di tali somme non trova, infatti, sostiene l'Amministrazione, il proprio sinallagma nell'utile che l'associante attribuirà all'associato per effetto del contratto concluso, ma rappresenta il corrispettivo per gli investimenti che sia la società associante che altre imprese del gruppo hanno sostenuto per il proprio rilancio imprenditoriale e di cui indirettamente beneficia anche la società istante nella gestione operativa del punto vendita.

La conclusione, dunque, cui giunge l'Agenzia è che la fattispecie contrattuale presenta un'articolazione complessa nella quale è evidente che l'associato oltre che acquisire il diritto alla partecipazione agli utili derivanti dalla gestione del punto vendita nel quale apporta la propria opera, beneficia altresì della possibilità di avvalersi del sistema distributivo dell'associante; beneficio che viene remunerato dall'associato che effettua il versamento, prima dell'inizio dell'attività e senza possibilità di rimborso, del predetto corrispettivo.
Tale qualificazione giuridica porta a escludere che il versamento abbia natura di apporto di capitale e mette a nudo l'effettivo contenuto di onere non rimborsabile che l'associato deve assolvere per poter beneficiare delle competenze professionali e del successo commerciale della società associante.

Le conseguenze fiscali della tesi dell'Agenzia diventano lapalissiane: l'importo diviene per la società associata una spesa di natura pluriennale che può essere portata in deduzione ai sensi dell'articolo 108, comma 3, del Tuir nel limite della quota imputabile a ciascun esercizio.
Tale importo, poi, in quanto corrispettivo dei servizi resi dall'associante deve, come peraltro rilevato anche in sede contrattuale, essere assoggettato all'imposta sul valore aggiunto secondo le regole ordinarie.
La remunerazione corrisposta in relazione a tale contratto potrà essere portata in deduzione dalla società associante ai sensi dell'articolo 95, comma 6, del Tuir, mentre concorrerà integralmente alla formazione del reddito di impresa del soggetto percettore.

Relativamente al trattamento da riservare ai fini dell'Iva, viene precisato che i contratti di associazione in partecipazione formano oggetto di espressa previsione (articolo 5 del Dpr 633/1972) al fine di escludere dall'applicazione del tributo le prestazioni di lavoro effettuate dagli associati se rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo.
Viceversa, nel caso in cui la prestazione di lavoro venga resa da un soggetto che esercita un'altra attività di lavoro autonomo, l'imposta sul valore aggiunto risulta, invece, sempre applicabile.

Nell'ipotesi di contratti di associazione in partecipazione con apporto di opere e servizi, l'Amministrazione, rilevando che le prestazioni di servizio oggetto dell'interpello sono rese nel territorio dello Stato e nell'esercizio dell'impresa, afferma che la corresponsione dell'utile, che costituisce il corrispettivo della prestazione d'opera e servizi resa dalla società associata, deve essere assoggettata all'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'articolo 3 del Dpr 633/1972.


Fonte: Agenzia Entrate

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