Per contestare un accertamento da studi di settore, il contemporaneo esercizio di due attività non esonera il contribuente dal provare – concretamente e non in astratto – l’effettiva incidenza sulla capacità reddituale, del minor tempo dedicato allo svolgimento della libera professione.

Così si è espressa la Cassazione con la pronuncia 19957 del 21 settembre, nella quale i giudici di legittimità, ancora una volta, fanno “tesoro” – in merito alla natura e all’applicazione degli studi di settore – delle argomentazioni formulate dalle sezioni unite nelle sentenze 26635, 26636, 26637 e 26638 del 18 dicembre 2009.

Il caso
Un ufficio finanziario, a seguito dell’esito negativo del contraddittorio instaurato con un contribuente, notifica a quest’ultimo – sulla base dei parametri di cui al Dpcm 29 gennaio 1996 – un avviso di accertamento per maggiori compensi non dichiarati, derivanti da attività professionale.

Il contribuente impugna, con successo, l’atto impositivo in Commissione tributaria provinciale sostenendo che, in qualità di ingegnere, esercitava in via principale attività di lavoro dipendente (come insegnante), per cui la professione autonoma aveva un rilievo marginale, con conseguente inapplicabilità dei parametri e, comunque, infondatezza dell’accertamento nel merito.

I giudici di appello – a seguito di ricorso proposto dall’ufficio – confermano la legittimità dell’operato dell’Amministrazione finanziaria, con sentenza che il contribuente impugna in Cassazione.

Nel ricorso il contribuente deduce, tra le altre, l’illegittimità dell’atto impositivo nella considerazione che il metodo di accertamento del reddito tramite parametri si applica esclusivamente all’attività di impresa e professionale, e non a quella di lavoro dipendente.
Nello specifico, il ricorrente afferma di svolgere sia l’attività di insegnante (lavoro dipendente) sia quella libero-professionale, come ingegnere (lavoro autonomo) – è quindi impossibilitato a dedicare all’attività professionale un tempo equivalente a quello di chi la esercita in via esclusiva – con la conseguenza dell’inattendibilità dell’accertamento in quanto basato su dati inverosimili.
In buona sostanza, il contribuente censura la sentenza d’appello laddove la stessa ha ritenuto legittimo l’utilizzo dei parametri senza considerare che questi, per un verso, sono inattendibili (in quanto fondati su medie ottenute con metodo statistico) e, dall’altro lato, che in sede di accertamento è necessario tenere presente la situazione concreta del contribuente.

La decisione della Cassazione
La Corte suprema rigetta il ricorso e ribadisce, in primis, un principio oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità secondo cui l’accertamento basato sui parametri – che costituiscono una presunzione semplice da valutarsi, da parte del giudice, in concorso con gli altri elementi di prova acquisiti in atti – conserva validità anche laddove il contribuente, pur invitato al contraddittorio, non ritenga di parteciparvi, e che il giudice può valutare la mancata partecipazione al contraddittorio nel quadro del thema probandum.

Passando poi al merito, la Cassazione precisa che il tempo dedicato dal contribuente alla libera professione non incide direttamente sulla determinazione dei ricavi, nè il contemporaneo esercizio di due attività costituisce, di per sé, un motivo sufficiente per disattendere le conclusioni dell’Amministrazione finanziaria.

Per i giudici di piazza Cavour, ciò che rileva “…è la prova, a carico del contribuente in forza della inversione di legge del relativo onere, che il tempo impiegato nello svolgimento della attività di lavoro dipendente incida sulla redditività della attività autonoma, non in astratto come intende il ricorrente, ma in concreto, con esposizioni di orari, tempi di esecuzione di ogni singola prestazione, impegno temporale complessivo della occupazione alternativa, impegni professionali rifiutati od impossibili per carenza di tempo disponibile”.
Onere probatorio che, nel caso di specie, è stato disatteso dal contribuente.

Brevi considerazioni finali
Ancora una volta, come è spesso accaduto negli ultimi mesi dopo le importanti pronunce rese nel dicembre 2009 (da ultimo, cfr sentenza 19754/2010), la Cassazione è chiamata a decidere sul corretto utilizzo, da parte dell’Amministrazione finanziaria, dell’accertamento da studi di settore, che resta pur sempre un prezioso strumento di emersione di redditi non dichiarati, con relativo recupero di imposte non versate.
E, anche in questa occasione, la Corte suprema precisa che se è vero che gli studi di settore costituiscono delle presunzioni semplici che impongono taluni precisi obblighi in capo agli uffici accertatori, è altrettanto vero che, una volta adempiuto a tali obblighi, spetterà poi al contribuente – qualora intenda resistere alla pretesa impositiva – supportare le proprie ragioni con idonee argomentazioni probatorie.


Fonte: Agenzia Entrate

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