Dal 16 maggio 2007 i Direttori regionali dell’Agenzia delle Dogane provvedono alla risoluzione delle controversie doganali senza sentire il collegio dei periti e le loro decisioni assumono carattere definitivo. Il nuovo modus operandi ha abolito in sostanza il secondo grado di giudizio davanti al Ministro dell’Economia e delle Finanze.

Con la dichiarazione doganale il contribuente manifesta la volontà di dare una destinazione alla merce giunta in dogana, o in altri luoghi autorizzati, e fornisce tutti gli elementi necessari alla liquidazione dei tributi: qualità, quantità, valore, origine.

Dall’accertamento di eventuali inesattezze, irregolarità o omissioni dei dati forniti - oppure a seguito di successivi controlli - sorge una controversia doganale.

La controversia doganale - procedimento di carattere amministrativo, disciplinato dagli artt. 65 e seguenti del DPR 23.1.1973, n. 43 - svolge la funzione di tentare la composizione del contrasto sorto tra l’amministrazione doganale e l’operatore in sede amministrativa attraverso il contraddittorio allo scopo di evitare il ricorso alla giustizia tributaria.

La contestazione può riguardare:

la qualificazione, il valore o l’origine delle merci dichiarate

il regime di tara o il trattamento degli imballaggi.

Visita di controllo o controvisita

Quando la contestazione insorge nel corso dell’accertamento, il dichiarante può chiedere che si proceda alla visita di controllo o controvisita, che può essere anche esercitata dalla stessa amministrazione doganale.

La normativa comunitaria (art. 241 del Reg. CE n. 2454/1993) dispone l’assistenza alla visita delle merci del soggetto interessato, perché fornisca la necessaria collaborazione all’autorità doganale per facilitarne il compito.

La normativa nazionale privilegia il contraddittorio, disponendo che durante la visita di controllo la parte sia presente per potersi contrapporre alle pretese della dogana e contribuire in posizione paritaria alla formazione del provvedimento (art. 73 del R.D. n. 65/1896).

Qualora la parte non richieda questo rimedio o non ne accetti il risultato, può chiedere l’intervento di un perito incluso nell’apposito elenco tenuto dalle Camere di Commercio, sostenendone le spese.

Se non si fa ricorso a questo rimedio, peraltro poco utilizzato, bisogna procedere immediatamente alla redazione del verbale di controversia.

L’opposizione

Sulla contestazione decide il Direttore dell’ufficio doganale con provvedimento adeguatamente motivato da notificare senza ritardo all’interessato con l’indicazione dei presupposti di fatto e di diritto sulla cui base è stato emanato.

Il rimedio assume la natura di opposizione, che, a differenza del ricorso amministrativo, rappresenta la rimostranza da parte del soggetto interessato, rivolta alla medesima autorità che ha emanato il provvedimento ritenuto lesivo, al fine di ottenere il riesame della questione. L’ufficio decide in via autonoma.

L’opposizione non ha carattere generale, ma costituisce una forma di garanzia prevista espressamente dalle disposizioni, quale rimedio giuridico di impugnativa di un atto già formato.

Il verbale di controversia

Se l’operatore non si ritiene soddisfatto del provvedimento adottato dal Direttore dell’ufficio doganale, può chiedere, nel termine perentorio di dieci giorni dalla notifica, di procedere alla redazione del verbale di controversia secondo le prescritte modalità, da compilare sull’apposito modulario.

Successivamente, affinché la controversia possa ritenersi instaurata, il dichiarante, nel termine di 30 giorni dalla redazione del verbale, a pena di decadenza, può chiedere la decisione al Direttore dell’Agenzia Regionale delle Dogane (ex Compartimento doganale), che rappresenta un unico grado di giudizio.

Il Direttore ha 4 mesi dalla presentazione dell’istanza per emettere la propria decisione, che è un provvedimento definitivo e preclude la possibilità di promuovere altro ricorso gerarchico.

Vigente la precedente normativa, il Compartimento doganale decideva:

in primo grado sulla controversia dopo aver sentito il parere del Collegio compartimentale dei periti doganali

in seconda istanza era competente il Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il nuovo assetto giuridico

Dal 16 maggio 2007 i Direttori regionali dell’Agenzia delle Dogane provvedono alla risoluzione delle controversie doganali senza sentire il collegio dei periti (soppressi per contenere la spesa pubblica).

Le loro decisioni assumono carattere definitivo, quindi non suscettibili di ricorso gerarchico (art. 16 – comma 4 – del D.L.vo n. 165/2001), essendo le Agenzie fiscali divenute strutture di vertice dell’amministrazione.

Un ulteriore gravame può essere proposto solo in via giurisdizionale davanti agli organi della giustizia tributaria, le Commissioni tributarie provinciali (competenti a pronunciarsi, in particolare, sugli avvisi di accertamento e su quelli di liquidazione dei tributi di ogni genere e specie e sui provvedimenti di irrogazione delle sanzioni).

Il nuovo modus operandi ha abolito in sostanza il secondo grado di giudizio davanti al Ministro dell’Economia e delle Finanze, essendo stato riconosciuto ai Direttori regionali il ruolo di struttura di vertice, secondo il nuovo organigramma dell’Agenzia delle Dogane.

Ciononostante la procedura delle controversie doganali rimane una procedura complessa e dispendiosa, nel corso della quale taluni termini, connessi a diversi adempimenti, hanno carattere ordinatorio, non tassativo (che non ammette alcuna dilazione). Ciò provoca lungaggini e situazioni gravose per gli operatori interessati (i termini posti a carico del contribuente sono perentori, quelli posti a carico dell’amministrazione sono ordinatori o indicativi).

Inoltre, come conseguenza dell’insorgere della controversia, l’accertamento, pur da considerare non definitivo, obbliga a contabilizzare i diritti doganali a carico del contribuente, recando danno solo a quest’ultimo.

Ancora, con la soppressione dei collegi dei periti viene eliminato l’unico organo terzo, che interveniva nelle controversie doganali, attualmente decise soltanto dallo stesso soggetto, autore del provvedimento impugnato con l’assurdo giuridico che il giudice diventa giudice di se stesso, pur non mettendo assolutamente in dubbio l’imparzialità dell’amministrazione doganale.

Alla luce della normativa comunitaria, sembra opportuno sottolineare che è a carico dell’ufficio, nel corso del procedimento incardinato davanti alla Commissione tributaria provinciale, sospendere in tutto o in parte l’esecuzione di una decisione contestata, se soltanto uno dei presupposti, quali il rischio di causare un danno grave e irreparabile (periculum in mora) oppure l’apparenza dell’ammissibilità e fondatezza del ricorso (fumus boni iuris), si possa considerare verificato.

La sospensione del provvedimento inerente le risorse proprie è subordinata alla costituzione di idonea garanzia.

Casi particolari

Non si possono non rilevare comportamenti contraddittori e paradossali rispetto ad alcuni casi:

controversie sorte con merce giacente in dogana non ancora svincolata

controversie sorte con merce già sdoganata e lasciata alla libera disponibilità del proprietario.

Nel primo caso, la dogana nel corso dell’accertamento comunica alla parte di procedere alla rettifica della dichiarazione, per aver riconosciuto la voce doganale delle merci diversa da quella dichiarata, che le fa rientrare tra quelle soggette ad autorizzazione. La dogana procede poi al sequestro.

Se l’operatore accetta la rettifica, è tenuto al pagamento della sanzione. Nello stesso tempo, inoltra istanza al Ministero del Commercio Internazionale per ottenere il dissequestro per la rispedizione all’estero dei prodotti oppure per la loro immissione in libera pratica, previo rilascio della prescritta autorizzazione.

Se la parte invece non si ritiene soddisfatta, instaura la controversia doganale e le merci, non potendo essere immesse in consumo, rimangono bloccate in dogana fino alla risoluzione della controversia, i cui tempi non sono assolutamente brevi. Intanto i prodotti possono divenire non più usabili, perché non rispondenti alle esigenze di mercato e quindi invendibili. Di fronte a questa situazione, l’operatore è quasi costretto ad accettare la rettifica effettuata dalla dogana, perché lo obbliga a subire una soluzione peggiore del male e a rinunciare ai propri diritti di difesa.

Nel secondo caso le merci, essendo state svincolate, non sono più nella disponibilità dell’importatore. Ciò si verifica normalmente a seguito della revisione dell’accertamento, che può essere avviata entro tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale, a pena di decadenza.

Se la parte accetta l’esito della revisione, è tenuta soltanto al pagamento della sanzione, non potendo subire il sequestro delle merci, che non sono più nella sua disponibilità.

Se invece non accetta il risultato della revisione, instaura la controversia doganale e rinvia il pagamento della sanzione al momento dell’esito della decisione, nel caso risultasse soccombente.

Dal confronto delle due ipotesi rappresentate appare evidente che la violazione “tentata” dei divieti economici è punito in modo più grave e dannoso per l’operatore rispetto alla violazione “consumata”. Ed è questa una situazione assurda e non rispondente ai principi generali dell’ordinamento.

Quali rimedi e quali iniziative?

Il primo tentativo dovrebbe essere quello di armonizzare e raccordare le disposizioni doganali - amministrative con i principi del processo tributario.

Bisognerebbe poi ridurre i termini di risoluzione delle controversie e porre l’amministrazione doganale e l’operatore economico – sullo stesso piano (termini ordinatori per l’amministrazione doganale, perentori per l’operatore).

Inoltre con la soppressione dei collegi dei periti doganali sono venuti meno:

i principi del “giusto procedimento”

le specifiche conoscenze merceologiche nei diversi settori dell’industria, del commercio e dell’agricoltura.

L’equilibrio del contraddittorio viene così pregiudicato, perché vengono a mancare le garanzie di difesa e la necessità che il giudizio debba svolgersi con l’intervento ad un organo estraneo a entrambe le parti.

Infine, un suggerimento di carattere pratico va rivolto agli operatori perché ricorrano con maggiore frequenza all’istituto delle informazioni vincolanti, nel caso in cui sorgano perplessità in materia di tariffa doganale o d’origine su taluni prodotti prima di procedere all’espletamento delle formalità doganali.

Fonte: Newsmercati

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