Nel caso di permuta immobiliare tra due società, in cui uno dei due trasferimenti ha “effetti deviati” in favore di un Comune, si applica l’ordinaria disciplina prevista, in tema di imposta sul valore aggiunto, per le permute. Di conseguenza, saranno assoggettate a Iva, nella misura ordinaria, entrambe le cessioni immobiliari.

E’ la precisazione contenuta nella risoluzione n. 373/E del 14 dicembre 2007, con la quale l’agenzia delle Entrate ha, in pratica, evidenziato che la figura del terzo beneficiario non assume, ai fini fiscali, alcuna rilevanza.

Il documento di prassi affronta l’ipotesi in cui due società inseriscono in un atto di permuta immobiliare, una previsione ex articolo 1411 del Codice civile (contratto a favore di terzi), a favore di un Comune. La norma dispone che è valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse. Salvo patto contrario il terzo acquista il diritto contro il promettente per effetto della stipulazione.

Sul presupposto che il Comune potesse vantare un diritto sull’immobile in conseguenza della stipulazione, la società istante aveva erroneamente ritenuto applicabili all’operazione le agevolazioni previste dal Dpr 633/1972 per le cessioni nei confronti di enti pubblici. In particolare, la società istante aveva chiesto l’applicazione dell’articolo 10, comma 1, n. 12, Testo unico sull’Iva, con conseguente esenzione dall’imposta per la cessione avente come terzo beneficiario il Comune.

La risoluzione rammenta la posizione consolidata della giurisprudenza della Corte di cassazione, la quale ha evidenziato che, nel contratto a favore di terzi, parte contrattuale è lo stipulante, mentre il terzo beneficiario non è parte né in senso sostanziale né in senso formale. Egli, infatti, si limita a ricevere gli effetti di un rapporto già validamente costituito e operante, mentre non è concepibile che discendano per il terzo obbligazioni verso il promettente (cfr, tra le altre, le sentenze 3115/1995 e 1150/2005).

Anche ai fini fiscali, ciò che rileva è il rapporto sinallagmatico esistente tra il promittente e lo stipulante, vale a dire la sussistenza di un nesso di interdipendenza tra le obbligazioni assunte dalle parti contraenti, a prescindere dalla circostanza che dalla cessione nessun arricchimento patrimoniale è espressamente ravvisabile in capo allo stipulante.

Tale nesso di interdipendenza non viene infranto dalla deviazione degli effetti a favore del terzo, il quale acquista i diritti che a lui si riferiscono, ma non diventa parte contrattuale.

La permuta immobiliare, precisa il documento di prassi, deve essere esaminata ai fini Iva sulla base del ricordato rapporto contrattuale tra promettente e stipulante, quali parti contraenti, e solo all’interno degli elementi soggettivi e oggettivi relativi a tale rapporto devono essere cercati il presupposto soggettivo e quello oggettivo necessari per l’applicazione dell’imposta, nonché tutti gli elementi utili alle modalità di applicazione del tributo.

Nel caso in esame - così come in altri analoghi - ricorrendo per entrambe le cessioni i suddetti presupposti, ciascuna cessione oggetto di permuta è assoggettata a imposta sul valore aggiunto separatamente. Va ricordato, infatti, che, per la normativa Iva, nelle permute ciascun trasferimento genera un’autonoma imposizione, la cui base imponibile è data dal valore normale dei beni permutati (articolo 13, comma 2, lettera d), Dpr 633/1972).

L’agenzia delle Entrate ha, infine, rammentato che alla permuta si applica il principio di alternatività Iva - Registro, in base all’articolo 40 del Tur, a norma del quale "per gli atti relativi a cessioni di beni e prestazioni di servizi soggetti all’imposta sul valore aggiunto, l’imposta si applica in misura fissa".

Fonte: Agenzia Entrate - Marzia Impellizzeri e Alessandro Passacantilli

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