Il parere n. 15, deliberato dal Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive il 22 marzo scorso, offre lo spunto per richiamare i vincoli procedurali imposti tassativamente dalla normativa in materia d’interpello antielusivo e per una disamina della normativa afferente la deducibilità dei costi relativi a operazioni intercorse con società ubicate in territori a fiscalità privilegiata.

Nel caso in esame, il primo dei vincoli è stato ritenuto dal Comitato assorbente e dirimente la possibilità di una valutazione di merito dal momento che l’onere probatorio imposto dal legislatore regolamentare (decreto ministeriale n. 194 del 13 giugno 1997) è assolto dal contribuente interpellante solo in modo parziale.

Il Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive rende, infatti, il proprio parere relativamente a un interpello formulato al fine di consentire il superamento della presunzione di elusività prefigurata per situazioni analoghe dal comma 10 dell’articolo 110 del Tuir.

L’articolo 110, comma 10, prevede l’indeducibilità, dal reddito d’impresa del soggetto residente, dei costi e dei componenti negativi relativi a operazioni intercorse con imprese domiciliate in Stati o territori non appartenenti all’Unione europea con regime fiscale privilegiato.

Con decreto ministeriale del 23 gennaio 2002, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 29 del 4 febbraio 2002, è stato individuato, tra gli Stati e territori avente regime fiscale privilegiato, anche lo stato delle Filippine.

La preclusione prevista dal comma 10 dell’articolo citato può essere superata, ai sensi del successivo comma 11, nel caso in cui la società residente in Italia dimostri la non virtualità della struttura estera nonché la effettività delle prestazioni rese, ossia fornisca la prova, nel corso del procedimento di accertamento, che le imprese estere svolgono principalmente un’attività commerciale effettiva, ovvero che le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che le stesse hanno avuto concreta esecuzione.

Ai fini della disapplicazione, l’articolo 11, comma 13, della legge n. 413/91 - più volte emendato, per effetto di interventi legislativi successivi, fino alla sua formulazione attuale, che risale al 2001 (articolo 9, comma 16, legge n. 448 del 28 dicembre 2001) - prevede, in sede di accertamento, che le prove "non devono essere fornite qualora il contribuente abbia preventivamente richiesto, secondo le disposizioni dell'art. 21 della presente legge, di conoscere l'avviso dell'Amministrazione finanziaria, in merito alla norma ed al relativo trattamento tributario dell'operazione che intende porre in essere e l'abbia realizzata nei termini proposti tenendo conto delle eventuali prescrizioni dell'Amministrazione", esibendo tutti gli elementi conoscitivi utili ai fini della corretta qualificazione tributaria della fattispecie prospettata.

Da quanto premesso consegue che l’Amministrazione - come peraltro evidenziato dall’Agenzia delle entrate nella risoluzione n. 46/E del 16 marzo 2004 - non è chiamata a rendere una risposta all’interpello in base a una verifica a posteriori, ma a una valutazione preventiva dell’operazione prospettata, verificando che la società estera svolge prevalentemente un’attività commerciale effettiva o, in alternativa, che l’operazione posta in essere risponde a un effettivo interesse economico, lasciando comunque impregiudicato l’onere del contribuente di indicare separatamente in dichiarazione i costi sostenuti nei paesi off-shore e di dimostrare in sede accertativa che le operazioni abbiano avuto concreta esecuzione.

Propone interpello una Spa che ha per oggetto la fabbricazione e la commercializzazione anche all’estero di macchine per la lavorazione del legno e che intrattiene rapporti commerciali con una società ubicata in Quezon City Philippines. Quest’ultima fornisce servizi di intermediazione per la vendita a fronte di una provvigione che viene concordata di volta in volta con la Spa e il cui ammontare solitamente coincide con lo sconto commerciale che abitualmente la società italiana applicherebbe ai propri clienti. Riferisce l’istante che solitamente le commissioni passive a favore della società estera vengono compensate e con fatture emesse nei suoi confronti per la vendita di macchinari o, sempre su richiesta della società delle Filippine, con fatture emesse dalla Spa nei confronti di clienti finali, i quali pagano tramite l’intermediario stesso che trattiene la sua provvigione per liquidare il saldo a favore della Spa.

Al fine di giustificare la ricorrenza dei requisiti prescritti dall’articolo 110, comma 11, del Tuir, in presenza dei quali non dovrebbe applicarsi la regola dell’indeducibilità dei costi sostenuti in conseguenza di tale particolare tipologia di operazioni come previsto nel precedente comma 10 dello stesso articolo, l’interpellante ancora le proprie asserzioni a taluni elementi circostanziali e documentali adducendoli come parametri di liceità della disapplicazione della disposizione recata dall’appena citato comma 10.

Infatti, l’effettivo esercizio dell’attività da parte dell’impresa estera fornitrice è giustificata con l’allegazione di un report fornito da un sito internet di informazioni commerciali, mentre la rispondenza delle operazioni poste in essere a un effettivo interesse economico è ricondotta all’interposizione dell’intermediario filippino nell’effettuazione delle transazioni commerciali nei confronti di clienti residenti nelle stesse Filippine.

La dimostrazione della concreta esecuzione delle operazioni è invece documentata attraverso le copie delle dichiarazioni doganali, delle fatture commerciali e della documentazione attestante i “pagamenti canalizzati attraverso il sistema bancario”.

L’insieme degli elementi di fatto forniti, sebbene supportato da motivazioni argomentative astrattamente condivisibili, non appare tuttavia dotato di un grado di esaustività tale da consentire il superamento della presunzione di elusività prefigurata dall’articolo 110, comma 10, dal momento che la scelta di avvalersi della società estera sembrerebbe, in assenza di elementi confortanti dell’esistenza di un’unità organizzativa imprenditoriale come prevista dall’articolo 2195 del Codice civile (in materia d’esercizio in via prevalente di un’attività commerciale effettiva, con la circolare 26 gennaio 2001, n. 9/E, l’Amministrazione finanziaria ha precisato che attività commerciale si intendono quelle indicate dall’articolo 2195 cc, ossia: attività industriali dirette alla produzione di beni o servizi; attività intermediarie alla circolazione dei beni; attività di trasporto per terra, per acqua e per aria; attività bancarie e assicurative; altre attività ausiliarie delle precedenti), orientata al conseguimento di meri benefici fiscali e dunque attrarrebbe la fattispecie inconfutabilmente nell’impianto interdittivo dell’articolo 110, comma 10, del Tuir. D’altra parte, come evidenziato nella circolare n 46/E/2004 (e ancora prima nelle circolari n. 18/E del 12 febbraio 2002 e n. 29/E del 25 maggio 2003), l’impresa italiana intenzionata a richiedere la disapplicazione della norma sull’indeducibilità dei costi deve esibire documenti idonei a dimostrare tale circostanza in quanto i presupposti probatori indicati dalla norma sono alternativi, con la conseguenza che il contribuente può limitarsi a fornire elementi sufficienti a dimostrare la sussistenza anche di uno solo di essi. La dimostrazione che il fornitore estero svolga prevalentemente un’attività commerciale effettiva o, in alternativa, che l’operazione posta in essere risponda ad un effettivo interesse economico lascia comunque impregiudicato l’onere del contribuente di indicare separatamente in dichiarazione i costi sostenuti in Paesi a fiscalità privilegiata e di dimostrare in sede di controllo che le operazioni hanno avuto concreta esecuzione.

La stessa circolare n. 29/2003 propone un elenco di documenti atti a giustificare la condizione richiesta per la disapplicazione, prevista dal comma 10 dell’articolo 110 del Tuir. Essi sono:

il bilancio

l’atto costitutivo

un prospetto descrittivo dell’attività esercitata

i contratti di locazione degli immobili adibiti a sede degli uffici e dell’attività

la copia delle fatture delle utenze elettriche e telefoniche relative agli uffici e agli altri immobili utilizzati

i contratti di lavoro dei dipendenti che indicano il luogo di prestazione dell’attività lavorativa e le mansioni svolte

i conti correnti bancari aperti presso istituti locali

estratti conto bancari che diano evidenza delle movimentazioni finanziarie relative alle attività esercitate

copia dei contratti di assicurazione relative ai dipendenti e agli uffici

autorizzazioni sanitarie e amministrative relative all’attività e all’uso dei locali.

L’elencazione è meramente esemplificativa e non esaustiva, come precisato anche nella risoluzione n. 46/E del 16 marzo 2004.

Nel caso in esame, l’interpellante non ha fornito la rappresentazione di elementi dai quali sia possibile ricavare con sufficiente grado di attendibilità e argomentabilità la giustificazione economica dell’operazione, giacché questa essenzialmente si riduce alla mera affermazione dell’utilità (o forse necessità) del ruolo di intermediazione svolto dalla società filippina senza alcuna giustificazione probatoria dell’effettivo interesse economico.

L’esimente evocata reca come unica dote circostanziale la mera affermazione della generica convenienza nell’effettuare le transazioni commerciali, anziché direttamente nei confronti dei clienti filippini, attraverso l’intermediazione. Sul punto, la risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 127/E del 6 giugno 2003 contiene alcune indicazioni di viatico, dal momento che vi si legge che la effettività dell’operazione può essere dimostrata esibendo la documentazione doganale di importazione ed ogni altro elemento di prova documentale imposto dalla normativa o dalla prassi di settore (ad esempio: contratto di fornitura o ordine di acquisto; fattura del fornitore; eventuale autofattura della società residente per l’estrazione della merce dal deposito IVA; documentazione attestante il pagamento del bene acquistato).

Le rilevate carenze inducono, dunque, il Comitato a non ritenere di poter sollevare la società istante dall’onere di provare, in sede di accertamento, la sussistenza dei presupposti richiesti dall’articolo 110, comma 11, del Tuir, al fine di ammettere in deduzione le componenti negative di reddito correlate con le operazioni indicate nell’istanza.

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