Per beneficiare del regime tributario agevolativo, l’attività di formazione di una Onlus deve rivolgersi a soggetti appartenenti a fasce sociali deboli, per condizioni psico-fisiche particolarmente invalidanti, o per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, non essendo sufficiente che sia svolta nei confronti di una generica pluralità di persone.
In questi termini si è espressa la Cassazione nella sentenza n. 7311 del 28 marzo che, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, ha cassato con rinvio la sentenza di appello.

Le Organizzazioni non lucrative di utilità sociale sono state introdotte nel nostro ordinamento dall’articolo 10 del Dlgs 460/1997. L’iscrizione nell’Anagrafe delle Onlus, successiva al controllo dell’Agenzia delle Entrate sul possesso dei requisiti previsti dal citato articolo 10, consente all’organizzazione di beneficiare di un regime tributario agevolativo.
La mancanza anche di uno solo dei requisiti previsti, se iniziale, non consente di acquisire la qualifica di Onlus, se successiva, ne determina la perdita. Nel primo caso verrà adottato un provvedimento di diniego, nel secondo un provvedimento di cancellazione dall’Anagrafe (impugnabile innanzi al giudice tributario, come chiarito dalla Cassazione, sezioni unite 1625/2010).

I fatti di causa
La vicenda origina da un provvedimento di cancellazione dall’Anagrafe delle Onlus emesso da un ufficio finanziario e notificato a un’associazione in quanto la stessa - pur essendo previsto nello statuto che l’oggetto sociale era costituito dalla formazione a favore di persone appartenenti a fasce sociali deboli, in ragione di condizioni fisiche, economiche, sociali o familiari - in realtà svolgeva la sua attività nei confronti di soggetti che non rivestivano tale status.
In particolare, sulla base della documentazione prodotta, era emerso che l’associazione, negli anni 1998/1999, aveva effettuato attività di formazione, dietro corrispettivi specifici e, nel 2000, aveva svolto attività istituzionale sui progetti di formazione finanziati dalla pubblica amministrazione e dal Fondo sociale europeo (Fse).

Contro tale provvedimento, l’associazione proponeva ricorso innanzi alla competente Ctp, la quale, nel rigettarlo, riteneva che la prevalente attività non fosse rivolta a favore di soggetti svantaggiati, bensì verso soggetti appartenenti alla generalità della collettività (quali studenti di istituti tecnici, apprendisti del settore del turismo, elettricisti, studenti, insegnanti di scuola media, concorrenti per educatori negli asili nido, adulti, circoli di studio, eccetera), in palese violazione dell’articolo 10 del Dlgs 460/1997.

Il successivo appello, invece, veniva accolto dai giudici del gravame, nella considerazione che alla disposizione contenuta nell’articolo 10 doveva essere attribuita una portata più ampia con la conseguenza che, sulla base dello Statuto e della documentazione prodotta, l’associazione aveva le caratteristiche rispondenti a quelle richieste dalla normativa di riferimento.

Contro tale decisione, l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, lamentando la violazione ed erronea applicazione dell’articolo 10, comma 2, del Dlgs 460/1997.
Per l’Amministrazione ricorrente, infatti, l’espressione normativa “persone svantaggiate” – utilizzata dal legislatore nell’articolo 10, secondo cui l’attività della Onlus deve essere diretta ad arrecare benefici alle “…persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari” – deve essere interpretata in senso restrittivo, trattandosi di una disposizione di carattere eccezionale, in quanto concede agevolazioni tributarie.

La decisione della Corte suprema
Per i giudici di legittimità, il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Infatti, l’articolo 10, comma 1, lettera a), numeri da 1 a 11, del Dlgs 460/1997, distingue gli ambiti di operatività delle Onlus in due categorie.
La prima - che qui rileva e che ricomprende i settori dell’assistenza sanitaria (n. 2), dell’istruzione (n. 4), della formazione (n. 5), dello sport dilettantistico (n. 6), della promozione della cultura e dell’arte (n. 9) e della tutela dei diritti civili (n. 10) - è costituita da ambiti di operatività in relazione ai quali la finalità solidaristica è riconosciuta solo riguardo attività specificamente esercitate in favore di soggetti svantaggiati.
Con il comma 2, lettera a), del citato articolo, inoltre, “Si intende che vengono perseguite finalità di solidarietà sociale quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi relative alle attività statutarie nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione, della formazione, dello sport dilettantistico, della promozione della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili non sono rese nei confronti di soci, associati o partecipanti, nonchè degli altri soggetti indicati alla lettera a) del comma 6, ma dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari”.

Al riguardo, la Cassazione si allinea a una precedente pronuncia in cui “…ha già avuto modo di affermare che la nozione di ‘svantaggio’, inserita nella norma, individua categorie di persone in condizioni oggettive di disagio per situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti ovvero per situazioni di devianza, degrado, grave precarietà economico-familiare, emarginazione sociale e che tale individuazione risulta seguita anche nella prassi amministrativa (Circolare del 26/06/1998 n. 168), la quale prevede, in via esemplificativa, quali soggetti in situazioni di svantaggio rilevanti: i disabili fisici e psichici affetti da malattie comportanti menomazioni non temporanee; i tossicodipendenti; gli alcolisti; gli anziani non autosufficienti in condizioni di disagio economico; i minori abbandonati, orfani o in situazioni di disadattamento o devianza; i profughi; gli immigrati non abbienti” (Cassazione, sentenza n. 3789/2013).

In altri termini, per la Corte suprema, appare evidente che, dal tenore della norma, dalla ratio solidaristica a essa sottesa e in applicazione del principio di stretta interpretazione delle norme che concedono esenzioni fiscali, “…lo ‘svantaggio’ che la disposizione legislativa tende a colmare - incentivando, attraverso l’esenzione, l’opera della ONLUS - consista nella obiettiva condizione deteriore, rispetto alla generalità dei consociati, in cui si trovi, negli ambiti specifici individuati dalla norma, una particolare categoria di soggetti”.

Nel caso di specie, invece, conclude la Cassazione, i giudici di secondo grado non hanno correttamente motivato sui fatti dedotti dall’amministrazione ricorrente, secondo cui i beneficiari dell’attività della Onlus, lungi dall’essere persone “svantaggiate”, fossero, invero, una pluralità di persone prive di tale requisito, ossia “…gli studenti istituti tecnici e professionali Provincia di Lucca, apprendisti dei settori turismo Versilia e Garfagnana…elettricisti di Lucca…studenti ed insegnanti di scuola media…soggetti interessati al corso di educatore di asilo nido…adulti impegnati in un circolo di studio”.

Per completezza, si fa presente che lo “svantaggio sociale” non deve essere inteso solo in termini economici. Al riguardo, infatti, la Cassazione ha affermato che i beneficiari che fruiscono di prestazioni dietro il versamento di un corrispettivo ben possono manifestare disagi personali, psicologici, familiari, che necessitano dei servizi resi da una Onlus, fermo restando il divieto (legislativo e statutario) di distribuzione di utili e la necessità del carattere esclusivo del fine solidaristico (Cassazione, ordinanza n. 9688/2012).


Fonte: Agenzia Entrate

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