Secondo la Corte di Cassazione la somma iscritta nella riserva non distribuibile di cui all’art. 2426 n. 4, riserva venuta meno a seguito di fusione per incorporazione, rappresenta null’altro che una differenza tra il costo della partecipazione ed il valore del patrimonio netto della partecipata. Tale valore, non costituendo realizzo ai sensi e per gli effetti dell’art. 54, comma 2-bis, del D.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 (T.U.I.R.) è soggetto al regime di neutralità fiscale previsto in tema di fusione.Con la sentenza n. 22849 del 10 novembre 2010, la Corte di Cassazione, Sez. Tributaria, si è pronunciata sul ricorso presentato congiuntamente dall’Agenzia delle Entrate e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso la sentenza n. 162/2004 della Commissione Tributaria Regionale, sezione distaccata di Brescia, depositata il giorno 15 novembre 2004 con la quale veniva accolto il ricorso della società N.V.E. Spa su di un accertamento per IRPEG e ILOR relativo all’anno 1996. Secondo quanto sostenuto dai giudici della CTR, il confluire della riserva non distribuibile stanziata in applicazione del metodo del patrimonio netto (art. 2426 n.4 c.c.) nel patrimonio della società incorporante, non rappresenta un “realizzo” ai sensi e per gli effetti dell’art. 54, comma 2-bis, del D.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (T.U.I.R.).

Il metodo del patrimonio netto


L’art. 2426 c.c., disciplinante i criteri di valutazione da applicarsi in sede di redazione del bilancio, prevede al n. 4, che “le immobilizzazioni consistenti in partecipazioni in imprese controllate o collegate possono essere valutate … per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato nonché quelle necessarie per il rispetto della clausola generale e dei principi stabiliti per la redazione del bilancio dagli artt. 2423 e 2423-bis.”

La dottrina specialistica si è espressa sull’opportunità del ricorso al metodo del patrimonio netto in luogo del criterio del costo di acquisto, quando la partecipazione posseduta sia tale da consentire all’investitore di influire sul processo decisionale e sulla politica di gestione della partecipata.

In tal caso, infatti, la società controllante è corresponsabile in ordine alla redditività del suo investimento-partecipazione e, quindi, si ritiene appropriato includere nel suo risultato di gestione la quota di competenza degli utili o delle perdite della partecipata [Principio contabile n. 21 redatto dall’Organismo Italiano di Contabilità].

Tale metodo contabile consente, inoltre, la rettifica del valore della partecipazione detenuta in funzione dei risultati economici della società partecipata (utili o perdite realizzati con terzi); ciò a prescindere dal fatto che gli utili vengano o meno distribuiti e che le perdite vengano o meno portate a riduzione del capitale.

La riserva ex art. 2426, primo comma, n.4 e la sua eliminazione a seguito di fusione per incorporazione

Nel caso di specie, la N.V.E. Spa, avendo valutato la propria partecipazione nella G.R. Srl secondo il metodo del c.d. patrimonio netto, aveva altresì contabilizzato le relative plusvalenze mediante l’iscrizione in bilancio della riserva non distribuibile ex art. 2426 n.4. A seguito della fusione per incorporazione della società G.R. nella società N.V.E. Spa, tale riserva era confluita in una riserva straordinaria della società incorporante.

L’Amministrazione Finanziaria, nel proporre ricorso per Cassazione, affermava che l’iscrizione nello stato patrimoniale della società N.V.E. Spa di una riserva straordinaria di importo pari all’originario patrimonio dell’incorporata avesse dato luogo ad una forma di realizzo - assimilabile ad una cessione a titolo oneroso - della riserva non distribuibile stanziata ex art. 2426 n.4 con conseguente applicabilità dell’art. 54, comma 2-bis, del T.U.I.R. Secondo la ricorrente, nel caso di specie, la riserva straordinaria non poteva essere assimilata a un avanzo di fusione in senso tecnico e, pertanto, non era possibile fare applicazione dell’art. 123 vecchio T.U.I.R. (ora 172 T.U.I.R.).

L’annullamento della riserva non distribuibile ex art.2426 n.4 rappresenta una conseguenza necessaria della fusione per incorporazione e non costituisce “realizzo”.

Secondo la Suprema Corte, invece, l’annullamento della riserva non distribuibile ex art. 2426 n.4 a seguito di fusione per incorporazione rappresenta una conseguenza necessaria della fusione al pari dell’annullamento delle azioni (o delle quote) della società incorporata. Ne consegue che, da un punto di vista fiscale, tale fattispecie rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 172 del TUIR (ex art. 123 del vecchio TUIR) secondo il quale:

- la fusione tra più società non costituisce realizzo né distribuzione delle plusvalenze e minusvalenze delle società fuse;

- nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione o incorporante non si tiene conto dell'avanzo o disavanzo iscritto in bilancio per effetto del rapporto di cambio delle azioni o quote o dell'annullamento delle azioni o quote di alcuna delle società fuse possedute da altre.

I maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'eventuale imputazione del disavanzo derivante dall'annullamento o dal concambio di una partecipazione, con riferimento ad elementi patrimoniali della società incorporata o fusa, non sono imponibili nei confronti dell'incorporante o della società risultante dalla fusione.

Osserva la Suprema Corte che la riserva non distribuibile stanziata in applicazione del metodo del patrimonio netto costituisce “null'altro che una differenza tra il costo della partecipazione e il valore del patrimonio netto della partecipata (benché calcolata prima della fusione)”.

Pertanto tale plusvalenza, non rappresentando un guadagno della società incorporante, “non può non rientrare tra le differenze di fusione, con soggezione al previsto regime di neutralità fiscale”.


Fonte: IPSOA

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