Con la sentenza n. 22980 del 12 novembre scorso la Corte di Cassazione ha stabilito che sulle somme investite dal contribuente scatta il prelievo fiscale sugli interessi solo quando questi vengono effettivamente percepiti.Con la sentenza n. 22980 del 12 novembre scorso la Corte di Cassazione ha stabilito che sulle somme investite dal contribuente scatta il prelievo fiscale sugli interessi solo quando questi vengono effettivamente percepiti.

I giudici di legittimità hanno respinto il ricorso presentato dall'Amministrazione finanziaria che aveva emesso un avviso di accertamento Irpef nei confronti di una contribuente che aveva affidato del denaro ad un promotore finanziario, il quale non aveva mai riconsegnato la somma, e neanche gli interessi, alla donna.

La vicenda presa in esame dagli “Ermellini” nasce a seguito di un ricorso alla CTP con il quale gli eredi della donna poi deceduta impugnavano l’avviso di accertamento, relativo a maggiorazione delle imposte sul reddito per l’anno1995, fatto notificare dall’ufficio delle imposte, e con il quale l’amministrazione comunicava di avere ripreso a tassazione gli interessi maturati sulle somme affidate a un promotore finanziario, con un’imposta da pagare in misura maggiore, a fronte di quanto dichiarato dalle contribuenti. I ricorrenti sostenevano che tale avviso era da annullare, in quanto i presupposti della pretesa tributaria erano carenti.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso e annullava l’atto; la Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello dell’amministrazione finanziaria sostenendo che gli interessi in realtà non erano stati percepiti dagli eredi della contribuente trattandosi di truffa.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre in Cassazione sostenendo in particolare che i giudici di merito non avevano considerato che gli interessi dovevano valutarsi come se già percepiti “essendosene stata prevista e concordata la capitalizzazione, a nulla rilevando ai fini fiscali che essi materialmente non sono stati percepiti materialmente dal creditore, a favore del quale venivano capitalizzati giusta apposita clausola contrattuale”.

La sentenza della Cassazione Secondo gli “Ermellini” il ricorso dell’Agenzia delle Entrate è infondato.

Gli importi percepiti o percepibili dalle contribuenti, a titolo di interessi e prelievi, in esecuzione di un mandato ad investire somme di denaro conferito a quell’operatore finanziario, non sono qualificabili come redditi di capitale, assoggettabili a tassazione ai sensi del D.P.R. 917/86, dal momento che assume rilievo la circostanza che “ il mandatario si fosse indebitamente appropriato del capitale investito, ancorchè il relativo procedimento penale fosse ancora pendente. Infatti i comportamenti penalmente rilevanti che uno dei contraenti abbia perpetrato in danno dell’altro ai fini della stipulazione di un contratto o nell’ambito del suo svolgimento, risolvendosi in una causa di annullamento e di risoluzione per inadempimento, vanificano di per sè stessi il sinallagma contrattuale, senza che questo debba restare in vita fino all’esperimento delle correlative azioni costitutive”.

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito , ai sensi dell’articolo 42 del DPR 917/86, che gli interessi possono entrare a far parte del reddito imponibile soltanto se messi nella disponibilità concreta ed effettiva del creditore. Con la sentenza n.22772 del 23 ottobre 2006 la Cassazione ha affermato che se il contribuente venga indotto ad investire il proprio capitale in un'operazione economica gestita da una società fiduciaria con modalità fraudolente e quindi fin dall'origine destinata a risultare negativa ed in perdita, le somme versate all'investitore in corso di rapporto a titolo di prelievi automatici garantiti non costituiscono reddito, ma solo il rimborso (parziale) dei danni patiti come vittima di un illecito. Sempre la Corte di Cassazione con la sentenza n.8870 del 14 aprile 2006 ha affermato che l'Amministrazione finanziaria che intenda sostenere l'imponibilità di somme dovute a titolo di interessi maturati in dipendenza delle conclusione di un contratto di riporto di titoli di Stato, deve dimostrare ai fini della tassazione di cui al DPR 917/86 che in materia di redditi di capitale deve essere provata l'effettiva percezione da parte del contribuente. La particolarità della fattispecie, ovvero la riqualificazione dell'operazione in contratto di mutuo non esime l'Erario dall'assolvimento di tale onere probatorio che deve essere, conseguentemente, oggetto di adeguata valutazione del giudice di merito.

Le conclusioni Per i giudici di legittimità occorre per le motivazioni suesposte il ricorso dell’Agenzia delle Entrate deve essere respinto decidendo , però, per la compensazione delle spese di giudizio per la particolarità della questione giuridica trattata.

(Sentenza Cassazione civile 12/11/2010, n. 22980)


Fonte: IPSOA

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