L’applicazione agli alberghi della tariffa TARSU maggiorata rispetto a quella delle abitazioni, integra una violazione dell’art. 68, D.Lgs. n. 507/1993. Con la recente sentenza n. 629/2/2010, depositata il 3 novembre scorso, la CTP di Lecce, attraverso una corretta applicazione della norma sottolinea come la volontà del legislatore sia quella di configurare una piena equiparazione tra le civili abitazioni e le attività alberghiere, ai fini della tassazione in esame.Con la recente sentenza n. 629/2/2010, la seconda sezione della Commissione tributaria provinciale di Lecce - attraverso una corretta applicazione della norma contenuta nell'art. 68, comma, 2, lettera c), D.Lgs. n. 507 del 1993 - ha fatto notare come la volontà del legislatore sia stata quella di configurare una piena equiparazione tra le civili abitazioni e le attività alberghiere, ai fini della tassazione in esame.

L’art. 68 cit. stabilisce, al comma 1, che per applicare la tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), i Comuni devono adottare apposito regolamento che deve contenere “a) la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la stessa misura tariffaria”.

Lo stesso articolo 68, al comma 2, stabilisce che l’articolazione delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto di alcuni gruppi di attività o di utilizzazione.

Alla lettera c) dello stesso comma 2, sono compresi in un’unica categoria i “locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri”.

A tal proposito, è stata citata dai Giudici anche la risoluzione n. 55/E del 1997 delle Finanze con la quale l’Amministrazione finanziaria ha sostenuto che ai fini dell'applicazione della Tarsu, nel formulare la classificazione delle categorie e nello stabilire le tariffe per ciascuna di esse, i Comuni devono tenere conto delle indicazioni fornite dall'art. 68, secondo comma, del D.Lgs. n. 507/1993.

Come correttamente hanno fatto notare i Giudici di prime cure, a tale principio risulta essersi conformato il Comune di Milano che con proprio Regolamento ha previsto all’art. 23, "determinazioni delle categorie" l'assimilazione degli alberghi alle abitazioni, come emerge dal comma 2.1: "agli effetti della commisurazione della tassa i locali e le aree scoperte tassabili sono così classificate: 1) abitazioni e locali annessi (cantine, solai e simili), affittacamere, alberghi, carceri, case di, cura private, collegi, locande, ospedali, pensioni, residence, ricoveri". Correttamente i Giudici leccesi hanno concluso che il diverso trattamento preteso dal Comune di Lecce sarebbe in netto contrasto con la norma di cui all'art. 68.

Chiarito quanto sopra esposto, i Giudici di merito hanno, quindi, ritenuto di dover dare adeguato rilievo al principio “per cui aree che presentino la stessa potenzialità di rifiuti, salve diverse risultanze in fatto riscontrabili per particolari attività o per particolari condizioni o modalità di svolgimento della medesima attività, debbano essere tassate con il medesimo criterio.

Nel caso delle attività alberghiere, appaiono sussistere aree aventi una diversa potenzialità produttiva di rifiuti: maggiore per le aree destinate a ristorazione, cucine ed altro, minore per le aree destinate alle unità abitative.

Tale valutazione conclusiva porta il Collegio a ritenere legittima la tassazione delle aree non destinate ad uso abitativo, disponendo la riliquidazione della tassa per quelle aree destinate ad unità abitative”.

Con tali condivisibili motivazioni la C.T.P. di Lecce, con la sentenza in commento, ha accolto il ricorso proposto dal contribuente e condannato il Comune alle spese processuali.

(Commissione tributaria provinciale Lecce, Sentenza, Sez. II, 03/11/2010, n. 629)


Fonte: IPSOA

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