Il principio di immanenza di una norma generale anti-abuso nell’ambito dell’Iva, sancito nel caso Halifax, deciso dalla Corte di giustizia con la sentenza del 21 febbraio 2006, caso C-255/02, è “legge” cogente in Italia, "senza la necessità di una norma positiva che sancisca tale potere, sia nell’ordinamento comunitario che nazionale". Di qui la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di farvi ricorso per disconoscere comportamenti abusivi posti in essere dai contribuenti. Questa è la fondamentale direttiva contenuta nella circolare n. 67/E del 13 dicembre scorso.

Considerata la delicatezza della questione, occorre attentamente focalizzare le peculiarità della “nuova” norma anti-abuso generale in materia di Iva.

Peculiarità che emergono chiaramente dal dispositivo della sentenza, secondo cui sarà da ritenersi abusivo (rectius: elusivo) un comportamento posto in essere dai contribuenti che presenti tutti i seguenti requisiti:

operazioni come quelle oggetto del procedimento principale costituiscono cessioni di beni o prestazioni di servizi e un’attività economica ai sensi della sesta direttiva Cee, poiché "soddisfano i criteri oggettivi sui quali sono fondate le dette nozioni, per quanto siano effettuate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, senza altro obiettivo economico"

"la sesta direttiva dev’essere interpretata come contraria al diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA assolta a monte allorché le operazioni che fondano tale diritto integrano un comportamento abusivo; perché possa parlarsi di comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della sesta direttiva e della legislazione nazionale che la traspone, procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Non solo. Deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale"

"ove si constati un comportamento abusivo, le operazioni implicate devono essere ridefinite in maniera da ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato".

Come si può agevolmente notare, le indicazioni che emergono dal predetto dispositivo sono svariate e suggeriscono alcune considerazioni.

Intanto, si precisa a chiare lettere che una cessione di beni o una prestazione di servizi o l’esercizio di un’attività economica rimangono tali anche se effettuate esclusivamente per motivi fiscali.

Questa condizione è di fondamentale importanza al fine di evitare un inopinato disconoscimento di attività economiche, cessioni di beni o prestazioni di servizi ai fini Iva.

Il che comporta il divieto dell’Amministrazione finanziaria di procedere in tal senso.

Tuttavia, ciò non comporta che il Fisco nulla possa fare in presenza di attività economiche, cessioni di beni e prestazioni di servizi che integrino un disegno elusivo più generale.

Ed è proprio questo il caso affrontato dalla Corte di giustizia, in cui l’istituto bancario Halifax, notoriamente operante in regime di esenzione Iva, e quindi impossibilitato – in tutto o in buona parte – a detrarre l’imposta assolta sugli acquisti, ha posto in essere un complicato marchingegno giuridico con lo scopo “essenziale” di precostituirsi le condizioni, in capo a una società partecipata non bancaria, di detrarsi l’Iva.

Insomma, di fronte a un’imposta sul valore aggiunto sugli acquisti che sarebbe stata non detraibile, l’istituto bancario Halifax si è inventato un regime fiscale di favore, non in linea con la finalità ultima del meccanismo dell’esenzione nell’Iva, che vuole che in questo specifico caso l’imprenditore costituisca un vero e proprio soggetto inciso dal tributo, al pari di un consumatore finale.

Da quanto appena detto è possibile desumere già alcune indicazioni circa l’ambito di operatività della “nuova” disposizione generale anti-abuso.

Essa è suscettibile di operare ogni qualvolta il regime generale di neutralità del tributo (basato sul congiunto operare di detrazione e rivalsa, volto a porre a carico del consumatore finale l’imposta) entri in contatto con eccezioni allo stesso regime (è questo proprio il caso dell’esenzione) o con altri regimi speciali (si pensi, a titolo di esempio, all’agricoltura).

È principalmente in questi casi che i rischi di abuso sono elevati.

Allorché il regime generale assicura, viceversa, la neutralità dell’imposta nella filiera produttiva fino ad arrivare al consumo, l’Iva o viene versata o viene evasa, ma difficilmente potrà essere elusa.

Ciò posto in linea generale, occorre esaminare più da vicino i requisiti di applicabilità del menzionato principio di diritto nell’ordinamento tributario italiano, anche alla luce delle direttive contenute nel paragrafo 4 della circolare n. 67/E.

Intanto, il documento riconosce espressamente una similitudine del principio di diritto con la disposizione normativa contenuta nell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973, il cui ambito di applicazione riguarda le imposte dirette.

Di qui la questione se risultino applicabili le garanzie procedurali previste dall’articolo 37-bis anche nel comparto Iva. In un’ottica cautelativa, la risposta potrebbe essere affermativa.

È poi correttamente specificato che l’“abuso” del diritto non è un tertium genus da aggiungere all’elusione e all’evasione, ma si identifica con l’elusione fiscale.

Quindi, si precisa la diretta e immediata cogenza del principio di diritto statuito dalla sentenza Halifax nel nostro ordinamento tributario.

Passando all’esame dei requisiti caratterizzanti la condotta elusiva, il primo è quello di "procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni".

Tale requisito è simile a quello dell’aggiramento di obblighi o divieti previsto dal menzionato articolo 37-bis.

Trattasi del punto più delicato nell’applicazione del principio di diritto antiabuso, perché si richiede all’Amministrazione finanziaria, prima, e ai giudici, in un secondo momento, di valutare se e in che misura, nonostante il rispetto formale delle disposizioni normative vigenti, di fatto ne sia tradita la sottostante ratio legis. Il che è compito alquanto arduo.

A tal fine, la circolare in esame, riprendendo un passo della sentenza, ricorda che "l’amministrazione ed il Giudice dovranno tenere conto della circostanza che costituisce principio fondamentale della sesta direttiva e della normativa nazionale che la trasfonde, quello della “neutralità fiscale”: consentire la detrazione al soggetto quando, nell’ambito delle sue “normali” operazioni commerciali, ciò non gli sarebbe stato consentito costituisce una espressa violazione di tale principio e costituisce quindi un comportamento abusivo".

Insomma – per rimanere al caso trattato dalla Corte – se alle banche ordinariamente non compete, in tutto o in buona parte, la detrazione d’imposta, queste non potranno precostituirsi le condizioni, operando tramite società controllate formalmente esercitanti attività non bancarie, per detrarsi integralmente l’Iva sugli acquisti.

Tuttavia, se si analizza più da vicino il caso Halifax, ci si rende conto che l’Iva sugli acquisti non era definitivamente detratta dalla società partecipata, ma era riversata alla banca tramite la fatturazione della locazione dei call-center; il che comportava definitivamente che il risparmio d’imposta conseguito consisteva in un mero differimento dell’indetraibilità, seppure in un arco temporale consistente.

Ancora, in casi simili a quello esaminato dalla Corte, dovrà previamente valutarsi – seguendo la massima secondo cui “l’elusione inizia laddove finisce l’interpretazione” – se la detrazione sia impedita dal diretto operare delle specifiche disposizioni normative in materia di rettifica della detrazione contenute nell’articolo 19-bis2 del Dpr 633/1972.

Solo una volta appurato che la detrazione non è rettificabile, si dovrà valutare se possa trovare applicazione il principio di diritto anti-abuso statuito dalla Corte, domandandosi se la non operabilità della rettifica della detrazione nel caso concreto sia da interpretare come implicito riconoscimento del pieno esplicarsi della detrazione o, al contrario, come elusione dell’indetraibilità che sarebbe derivata nel “normale” svolgimento dell’attività d’impresa.

A tal fine, la macchinosità delle operazioni poste in essere potrebbe rappresentare un buon indizio dell’intento elusivo perseguito dal contribuente. Viceversa, in presenza di singole cessioni di beni o prestazioni di servizi, sarà più difficile configurare comportamenti elusivi.

Conferma di quanto appena detto si rinviene dall’analisi del secondo requisito previsto dal dispositivo della sentenza Halifax, cioè che "deve altresì risultare da un insieme di elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale".

Allo scopo di evitare fraintendimenti, intanto le operazioni devono essenzialmente e non esclusivamente perseguire lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale. In altri termini, non è richiesta l’esclusività dello scopo del risparmio d’imposta.

In secondo luogo, trattasi di “operazioni” e non di “singola operazione” volta a perseguire il predetto scopo, il che è in linea con quanto detto sopra.

Ancora, se si mette in relazione questo requisito con l’ultimo, consistente nel potere di "ristabilire la situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che quel comportamento hanno fondato", si comprende come la sostanziale mancanza di valide ragioni economiche debba essere valutata in un’ottica “comparatistica” e non “finalistica” o teleologica.

Mi spiego.

Se nel caso Halifax fosse stata data rilevanza all’ottica finalistica, i giudici avrebbero dovuto prendere atto della circostanza che la banca ha perseguito la validissima ragione economica di costruire i call-center per l’esercizio della sua attività.

Viceversa, ciò che la Corte ha evidenziato è che il “percorso” tortuoso seguito non ha intrinseche sostanziali ragioni economiche se paragonato a quello diretto e lineare che avrebbe richiesto che fosse stata la banca inglese a costruire direttamente i call-center.

Quindi l’Amministrazione finanziaria, lungi dal valutare finalisticamente le ragioni economiche perseguite dal contribuente (nel caso in esame, l’acquisto dei call-center), dovrà concentrarsi sulla valutazione delle valide ragioni economiche che hanno imposto al contribuente di seguire “quel” preciso e tortuoso percorso, anziché quello più lineare (nel caso in esame, l’acquisto dei call-center mediante la serie di atti e negozi giuridici stipulati con le società partecipate, anziché l’acquisto diretto dei call-center).

La circolare individua in chiusura, a titolo puramente esemplificativo, tre “possibili” fattispecie di abuso, il cui vaglio andrà in ogni caso effettuato sulla scorta dei menzionati requisiti ritraibili dal principio di diritto sancito dalla Corte.

Fonte: Agenzia Entrate - Michele Andriola

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