E' sufficiente che un terreno abbia una "potenzialità edificatoria" affinché la plusvalenza derivante dalla sua vendita sia considerato reddito imponibile, e questo a prescindere dal fatto che lo stesso terreno risulti qualificato come "area agricola". Così ha deciso la Commissione tributaria di I grado di Trento, che ha applicato l'articolo 81 (oggi, 67), primo comma, lettera b), del Tuir, per risolvere il contenzioso scaturito dal ricorso di un contribuente di Cavalese contro l'accertamento di una plusvalenza non dichiarata nel 2001 di 254 milioni di lire.

Nel 1994 aveva ricevuto in donazione un terreno dal valore dichiarato di poco più di 1 milione di lire, e sette anni dopo, nel febbraio 2001 lo avevo rivenduto a 255 milioni di lire. Che quel terreno di 810 mq fosse stato venduto a un prezzo molto elevato, anomalo per una superficie destinata alla coltivazione, il contribuente non poteva negarlo. Tuttavia, di fronte all'avviso di accertamento dell'ufficio delle Entrate di Cavalese, non riconosceva l'obbligo di dichiarazione ai fini Irpef, tra i "redditi diversi", della plusvalenza che aveva conseguito.

Secondo il suo convincimento, non aveva - propriamente - venduto né tantomeno ceduto il terreno ma aveva compiuto soltanto un'operazione, nei confronti di una società alberghiera, avente a oggetto un terreno agricolo "non edificabile". E dunque, aveva compiuto un'operazione secondo l'articolo 2 del Dpr 633/72, in base al quale "non sono considerate cessioni di beni le cessioni che hanno per oggetto terreni non suscettibili di utilizzazione edificatoria". Aveva compiuto un'operazione fuori campo Iva.

E se si trattava di un'operazione fuori campo Iva doveva trattarsi anche di un'operazione fuori campo Irpef. Questa è stata la particolare deduzione che il contribuente ha elaborato per giustificare l'omessa dichiarazione della plusvalenza. Un ragionamento che facendo attrito con la norma tributaria ha innescato il contenzioso.

"Per l'applicazione della norma di cui al già citato art. 81/1 lettera b del TUIR è sufficiente che i terreni abbiano potenzialità edificatoria e che sussistano tutti i presupposti impositivi, perché il legislatore li ha volutamente ricondotti all'idoneità in astratto delle aree a comprendere opere edificatorie, a prescindere dalla natura del terreno". Questo il punto centrale della sentenza n. 100 dell'8/10/2007 della Commissione tributaria di I grado di Trento, che ha risolto a favore dell'ufficio di Cavalese un caso di tassazione di "plusvalenze da cessione di immobile", peraltro, già trattato in modo analogo dalla Ctr Lombardia con la sentenza n. 80 del 9/1/2007 e dalla Ctr Lazio con la sentenza n. 129 del 22/1/2007.

I giudici di Trento hanno spiegato come non potesse effettuarsi un collegamento tra la disciplina riguardante l'applicazione dell'Iva (articolo 2, comma 3, lettera c), del Dpr 633/72) e quella sulle imposte dirette, trattandosi di settori di imposizione diversi.

E in particolare, la Commissione tributaria ha considerato infondato il ragionamento sostenuto dal contribuente secondo cui sarebbe proprio l'articolo 81, comma 1, lettera b), del Tuir, a indicare come prevalente l'idea della "qualificazione" piuttosto che della "potenzialità" di un terreno. In altri termini, il contribuente sosteneva che se un terreno è qualificato come agricolo, tale deve essere considerato anche al momento della sua vendita. E dunque, tale deve essere considerato anche sul piano fiscale, certamente ai fini Iva ma altrettanto ai fini Irpef.

Ora, sarebbe lecito porgli questa domanda: se un terreno è qualificato dal catasto come agricolo e tale deve rimanere al momento della sua cessione, come è possibile riuscire a venderlo a un prezzo superiore a quello medio praticato per i terreni appartenenti alla stessa tipologia catastale? Forse, proprio perché quel terreno è potenzialmente edificabile. Tanto "edificabile" da essere stato ceduto a una società alberghiera la quale, "potenzialmente", e anzi con ogni probabilità, potrà e vorrà costruire. E questo il venditore, oggi, lo sa. Perché sul Prg del Comune il suo terreno è "area agricola di interesse secondario e non già di interesse primario con vincolo di protezione paesaggistica".

Un concetto, quello di "interesse secondario", che equivale, a un pari livello di astrazione, al concetto di "potenzialità edificatoria". Prima o poi su quel terreno, che non ha un interesse primario per l'agricoltura, il proprietario, soprattutto se è una società commerciale, edificherà. Ed è per questo che il contribuente ha venduto il suo terreno soltanto a condizione di incassare un corrispettivo più elevato di quello medio del mercato; un corrispettivo che gli ha procurato una consistente plusvalenza. Come riportano gli stessi giudici nella sentenza, il prezzo di vendita "è ben superiore al valore proprio di un terreno agricolo che, tenendo presente anche la realtà morfologica del territorio del Comune dov'è ubicato, dovrebbe essere pari più o meno al valore catastale…Una tale rivalutazione e la conseguente plusvalenza scaturente dall'alienazione del bene ricade nelle previsioni di cui all'art. 7 della Finanziaria 2002 (legge 448/2001) che…assoggetta tutte le tipologie di terreni, sia edificabili che agricoli, al medesimo carico impositivo, nel campo delle imposte dirette".

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