La rinuncia posta in essere dal chiamato - succeduto ex articolo 479 del codice civile nel diritto spettante al suo dante causa (trasmittente) – con il fine di acquisire un vantaggio in tema di imposte sulle successioni, ipotecarie e catastali, non potrà essere opposta all’Amministrazione finanziaria, in quanto, sulla base degli orientamenti espressi dalla Corte di cassazione, si configura un “abuso del diritto”. In sintesi, è quanto affermato dall’agenzia delle Entrare con la risoluzione n. 234/E del 24 agosto.

Il caso

Nell’ambito di una successione, una delle chiamate all’eredità (le due figlie), prima di entrare in possesso dei beni ereditari, decede a distanza di poco tempo dal genitore.

L’interpellante chiede:

a) in primo luogo, di conoscere se nella dichiarazione di successione della madre possa indicarsi quale unica erede, considerato che la sorella è deceduta prima di aver accettato l’eredità della madre

b) in via subordinata - nell’ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria intenda confermare, quale soggetto passivo di imposta, il chiamato che non ha accettato l’eredità (la sorella deceduta) – se possa essere considerata unica erede della madre nel caso in cui rinunci all’eredità della medesima, in nome e per conto della sorella deceduta, di cui è l’unica erede.

La soluzione

L’Agenzia, nel ripercorrere le norme di riferimento, ha ricordato, preliminarmente, che sulla base delle disposizioni contenute negli articoli 28, commi 2 e 5, e 7, comma 4, del Dlgs 346/1990, soggetto obbligato alla presentazione della dichiarazione di successione è il chiamato che non dia prova di aver rinunciato all’eredità.

A fini tributari, lo status di “delato” assume caratteristiche peculiari, in quanto la delazione determina per se stessa l’acquisto dell’eredità, differenziandosi, così, dalla disciplina civilistica.

Di conseguenza, il presupposto del tributo successorio va individuato nell’apertura della successione, che coincide con la morte, a prescindere dall’accettazione formale dell’eredità.

L’Amministrazione, richiamando un precedente documento di prassi (risoluzione n. 351040 del 16 marzo 1992), ha affermato che chi acquisisce il patrimonio relitto da plurimi decessi dei propri danti causa e temporalmente successivi deve presentare, oltre alla dichiarazione di successione dell’ultimo de cuius, anche le precedenti, nel caso in cui non abbiano provveduto o non abbiano potuto provvedervi i precedenti chiamati.

In tal modo, il chiamato che abbia o meno manifestato la volontà di accettare l’eredità è soggetto all’obbligo di presentare la dichiarazione di successione e di corrispondere l’imposta dovuta, sottoponendosi, così, a più tassazioni per effetto del meccanismo successorio.

L’interpellante sarebbe, quindi, tenuta, quindi, secondo i tecnici dell’Entrate, alla presentazione di due dichiarazioni di successioni: quella relativa alla successione del proprio genitore, indicando in essa, quali chiamati, se stessa e l’altra defunta, e quella relativa alla successione della sorella.

Con riferimento, poi, all’ulteriore quesito concernente le conseguenze fiscali dell’eventuale rinuncia all’eredità della madre, in nome e per conto della sorella, l’Agenzia ha messo in evidenza la disposizione codicistica prevista dall’articolo 479, comma 1, in base alla quale “Se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata il diritto di accettarla si trasmette agli eredi”.

Per effetto di tale disposizione, il diritto di accettare non si estingue, quindi, per la morte del chiamato prima dell’accettazione, ma si trasmette ai suoi successori a titolo universale. Tale trasmissione determina, pertanto, il subingresso degli eredi, non soltanto nel diritto di acquistare l’eredità, ma anche nell’intera posizione giuridica del chiamato. Invero, il trasmissario (ex articolo 479 cc), accettata l’eredità del trasmittente, potrà accettare l’eredità dell’originario de cuius ovvero rinunciare alla stessa.

Secondo l’Agenzia, quindi, sebbene lo strumento giuridico della rinunzia, utilizzato dall’istante, non contrasterebbe con alcuna disposizione specifica, non va trascurata la circostanza che l’esercizio del relativo diritto non produrrebbe, in sostanza, alcun mutamento nella devoluzione ereditaria: la stessa istante diverrebbe erede universale della propria madre.

L’unico scopo della rinuncia sarebbe quella di acquisire un vantaggio in tema di imposte sulle successioni, ipotecarie e catastali, collegato alle differenze di aliquote e franchigie fra le devoluzioni in linea retta e quelle in linea collaterale.

Pertanto, seguendo gli orientamenti più recenti della Corte di cassazione (cfr sentenza n. 30057 del 23 dicembre 2008), nel caso di specie si verificherebbe un “abuso del diritto”.

Conseguentemente, ferma restando la liceità della scelta operata dall’interpellante, la rinunzia all’eredità che s’intende porre in essere, nei termini dalla stessa delineati, non potrà essere opposta all’Amministrazione finanziaria.


Fonte: Agenzia Entrate

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