La risposta all'interpello del contribuente, da parte dell'Amministrazione finanziaria (articolo 11, legge 212/2000), e la circostanza che il contribuente si sia conformato alle indicazioni della stessa Amministrazione (articolo 10 della stessa legge), non valgono a integrare un titolo per la restituzione dell'Iva versata indebitamente, autonomo e ulteriore rispetto a quello legale, fondato sulla previsione dell'articolo 2, comma 3, lettera d), del Dpr 633/1972.
È questo il rilevante principio di diritto statuito dalla sentenza n. 20526 del 6 settembre, emessa dalla Corte di cassazione.

In sede di interpello, l'ufficio aveva risposto al contribuente ritenendo assoggettabile a Iva una cessione di campioni gratuiti di modico valore. La risposta era stata fornita il 3 agosto 2000 e poi confermata il 2 marzo 2001.
A tale risposta il contribuente si era adeguato, provvedendo al relativo versamento.
Con successiva risoluzione (n. 83/2003), l'Amministrazione finanziaria aveva cambiato orientamento ritenendo non assoggettabile a Iva la cessione ai sensi dell'articolo 2, comma 3, lettera d), del Dpr 633/1972.
Di conseguenza, il contribuente aveva presentato una nuova istanza di interpello, in risposta alla quale l'ufficio aveva confermato la risoluzione n. 83/2003. La risposta all'interpello era stata fornita l'8 novembre 2004.

Il successivo 31 marzo 2006 il contribuente aveva presentato istanza di rimborso, ai sensi dell'articolo 21 del Dlgs 546/1992, per l'Iva indebitamente versata per gli anni dal 1998 al 2004. La richiesta era stata respinta dall'ufficio sul presupposto che era da ritenere proposta oltre il termine biennale di decadenza previsto dall'articolo 21 del Dlgs 546/1992.

Contro gli avvisi di diniego del rimborso, il contribuente aveva proposto ricorso sostenendo che il termine biennale di decadenza dovesse decorrere dalla data dell'ultimo parere reso sul caso concreto dall'Amministrazione finanziaria, ossia dall'8 novembre 2004, anche in considerazione del legittimo affidamento del contribuente, che si era determinato ad assolvere l'Iva non dovuta esclusivamente in conseguenza dei precedenti, erronei, pareri espressi dall'Agenzia delle Entrate.

In entrambi i gradi del giudizio di merito, il ricorso aveva esito favorevole al contribuente.

Tuttavia, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate, ritenendone fondati i motivi.
In particolare, muovendo dall'insegnamento della Corte di giustizia secondo cui i termini di decadenza e di prescrizione dell'esercizio dei diritti al rimborso in materia di Iva sono rimessi ai legislatori nazionali nel rispetto del principio di ragionevolezza, e il termine di decadenza di due anni è da ritenersi ragionevole, la Corte si sofferma sul disposto di cui all'articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992, secondo cui la domanda di restituzione di un'imposta non dovuta, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione.
Si tratta allora di stabilire - si domanda la Corte - se il parere reso dall'Amministrazione, in difformità ad altro parere precedente che abbia indotto il contribuente ad assolvere l'imposta non dovuta, possa configurare, o meno, un "presupposto per la restituzione", successivo e autonomo rispetto al mero indebito versamento dell'imposta.

La risposta negativa al quesito discende dal consolidato orientamento giurisprudenziale in materia di efficacia giuridica delle circolari e risoluzioni.
In particolare, così come già stabilito per l'emanazione di circolari e risoluzioni, anche la risposta resa dall'ufficio all'istanza di interpello, inoltrata dal contribuente ex articolo 11 della legge 212/2000, non è idonea a fondare un diritto al rimborso dell'imposta indebitamente versata, trattandosi di una mera promessa amministrativa o di un pre-atto amministrativo, di per sé, dunque, non suscettibile di fondare l'insorgenza di posizioni soggettive, che possono, semmai, scaturire dall'atto successivamente emesso in conformità a tali risposte.
Infatti, ai sensi del comma 3 dell'articolo 11, la risposta all'interpello vincola l'Amministrazione finanziaria ma non il contribuente, il quale, trattandosi di un mero parere emesso nell'esercizio dell'attività consultiva degli uffici finanziari, resta perfettamente libero di disattenderlo.
Sicché tale atto (al pari di circolari e risoluzioni) non vale a costituire un presupposto per la restituzione autonomo, ai sensi dell'articolo 21, comma 2, del Dlgs 546/1992.

Per quanto riguarda poi l'invocato principio della tutela del legittimo affidamento, la Corte di cassazione lo ritiene inconferente al caso in esame perché l'articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente limita gli effetti della tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull'obbligazione tributaria, che resta dovuta.
La Corte conclude, perciò, che, in assenza di un "presupposto per la restituzione" posteriore al pagamento, idoneo a spostare la decorrenza del termine biennale di decadenza, stabilito dall'articolo 21, comma 2, Dlgs 546/1992, il termine in parola non può che essere fatto decorrere dalla data del versamento dell'Iva. Per cui, essendo pacifico che i pagamenti indebiti d'imposta siano avvenuti dal 1998 al gennaio 2004, l'istanza di rimborso proposta solo il 31 marzo 2006 è da ritenersi senz'altro tardiva.

La sentenza rinvia il caso a giudice di altra sezione della Commissione tributaria regionale, il quale, oltre ad attenersi al principio di diritto sopra richiamato, provvederà all'esame delle questioni relative al dedotto obbligo risarcitorio dell'Amministrazione finanziaria ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile ovvero indennitario per indebito arricchimento ai danni della medesima, ai sensi dell'articolo 2041 del codice civile, proposte dal contribuente nei gradi di merito, ritenute assorbite dall'impugnata sentenza.


Fonte: Agenzia Entrate

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