Nell’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro dipendente, sono assoggettate a ritenuta d’acconto e a tassazione separata le somme percepite dal lavoratore a seguito della transazione della controversia avente a oggetto il risarcimento del danno per illegittimo licenziamento.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con sentenza n. 26385 del 30 dicembre.

La vicenda
Un ex dirigente industriale ha presentato istanza di rimborso della somma versata a titolo di Irpef, a tassazione separata, sull’indennità definita a seguito di conciliazione intervenuta in merito alla controversia instaurata nei confronti del proprio datore di lavoro, per essere stato licenziato senza preavviso.
La sentenza di primo grado, che ha accolto il ricorso del contribuente riconoscendo la natura risarcitoria dell’indennità, è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia. I giudici di secondo grado, infatti, hanno accolto l’appello dell’ufficio, ponendo in evidenza che non era mai stata prodotta copia dell’atto di transazione al fine di consentire un’adeguata verifica della natura delle somme percepite e, inoltre, sostenendo la natura compensativa dell’erogazione.

Con la sentenza 26385/2010, la Cassazione ha respinto il ricorso del contribuente e ha affermato “… il principio secondo cui l’indennità prevista dal contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali per l’ipotesi di licenziamento ingiustificato o di recesso per giusta causa è assoggettata a tassazione separata e a ritenuta d’acconto, atteso che, secondo la disciplina dettata dal D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 6 e 16, tutte le indennità conseguite dal lavoratore a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, e quindi tutte le indennità aventi causa o che traggano comunque origine dal rapporto di lavoro, comprese le indennità per la risoluzione del rapporto per illegittimo comportamento del datore di lavoro, costituiscono redditi da lavoro dipendente ed è, comunque, onere del contribuente dimostrare che l’indennità si riferisce (in tutto o in parte) a voci di risarcimento puro, esenti da tassazione, e non è sufficiente che sia precisato che esso ha carattere risarcitorio, perché costituisce risarcimento anche il ristoro di emolumenti non percepiti, tassabili ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2 (Cass. n. 360 del 2009; n. 3632 del 2006 e n. 18369 del 2005)…”.

La sentenza della Corte
Tre i punti rilevanti della sentenza: le modalità di tassazione dell’indennità supplementare, la sua natura di reddito di lavoro dipendente e l’onere della prova a carico del contribuente per escludere l’assoggettabilità a Irpef di tali somme.

Per l’individuazione della disciplina applicabile a fattispecie nelle quali l’erogazione delle somme al lavoratore è stata precedente all’introduzione delle modifiche apportate all’articolo 16, comma 1, lettera a), del Tuir, dall’articolo 32 del decreto legge 41/1995, i giudici di legittimità hanno precisato che “… con l’aggiunta de qua il legislatore non ha esteso la nozione di reddito sostitutivo, comunque imponibile, già contenuta nell’art. 6 dello stesso DPR ma ha solo assoggettato la specifica voce reddituale indicata nell’art. 32, costituente già reddito imponibile, al regime di tassazione separata: l’art. 32, infatti, ha operato l'aggiunta in questione all’art. 16 (‘tassazione separata’) del TUIR (DPR n. 917/1986) e non al secondo comma dell’art. 6 del medesimo DPR contenente la nozione di reddito sostitutivo” (Cassazione 16014/2004).

L’aggiunta normativa impone, quindi, di verificare l’efficacia temporale della stessa, atteso che il contribuente ha ritenuto che sarebbe stata erroneamente attribuita efficacia retroattiva all’articolo 32 del Dl 41/1995, con il quale è stato modificato l’articolo 16 del Tuir, nel senso che è stata assoggettata a tassazione separata e a ritenuta l’indennità percepita nel 1994, prima del 24 febbraio 1995 (data di entrata in vigore del citato decreto 41/1995).

A tale riguardo, la Corte ha ribadito “… l’orientamento consolidato secondo cui, in relazione all’ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro dipendente, le somme percepite dal lavoratore a titolo di transazione della controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno per illegittimo licenziamento, sono imponibili ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2, e art. 48, e soggette a tassazione a tassazione separata ai sensi del D.P.R. medesimo, art. 16, comma 1, lett. i), indipendentemente dalle modifiche apportate allo stesso art. 16, lett. a), dal Dl 23 febbraio 1995, n. 41, art. 32, convertito in L. 22 marzo 1995, n. 85 (Cass. nn. 19199/2006, 10185/2003, 11501/2003, 9950/2000)…”
La Cassazione, infatti, ha chiarito che “… l’imponibilità delle somme percepite dal lavoratore dipendente in base alla transazione, con la quale si regoli la cessazione del rapporto di lavoro e che abbia natura risarcitoria del danno da lucro cessante, non è stata introdotta dall’art. 32.1 DL 23 febbraio 1995, n. 41,…, che si limita a modificare taluni aspetti del regime della quantità del contenuto dell’imposta (regime della tassazione separata), ma dagli art. 6.2 e 48 DPR 22 dicembre 1986, n. 917… Si deduce che le modifiche apportate all’art. 16 DPR 22 dicembre 1986, n. 1917, dall’art. 32 DL 23 febbraio 1995, n. 41, convertito in L. 22 marzo 1995, n. 85, non presentano alcun carattere innovativo sull’imponibilità delle indennità per ingiustificato licenziamento…, sia perché esse non investono l’an della prestazione patrimoniale coattiva, ma solo la quantità del contenuto dell’imposta, cioè l’aliquota specifica prevista per l’imposizione separata, sia perché esse indicano in seno alla lettera a) dell’art. 16 DPR 22 dicembre 1986, n. 917, come oggetto di tassazione separata, … proventi, indicati anch’essi come oggetto di tassazione separata alla lettera i) dello stesso articolo…”(Cassazione, sentenze 10185/2003 e 11501/2003), prima ancora delle modifiche introdotte col citato decreto 41/1995.

Oltre che individuare nella tassazione separata la modalità del prelievo, la Corte ha riconosciuto natura reddituale e non risarcitoria all’erogazione percepita dal dirigente.
In particolare, con riferimento alla natura dell’indennità supplementare, la Corte “… ha affermato che, al fine di poter negare l’assoggettabilità ad Irpef di una erogazione economica effettuata a favore del prestatore di lavoro da parte del datore di lavoro, è necessario accertare che l’erogazione stessa non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro, e se ciò non viene positivamente escluso, che l’erogazione stessa, in base all’interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà né in redditi sostituiti, né nel risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione o all'interruzione del rapporto di lavoro (Cass. nn. 16014/2004, 11501/2003, 11687/2002)…” (Cassazione 26385/2010).

Ne consegue che l’indennità prevista dal contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali per l’ipotesi di licenziamento ingiustificato o di recesso per giusta causa “… in quanto derivante in modo pieno ed esclusivo dalla cessazione del rapporto di lavoro, quindi a questo collegata, è in ogni caso assoggettabile ad imposizione, a prescindere dalla situazione concreta che ne abbia determinato la adozione …” (Cassazione 23789/2010). Ma con una possibilità di esenzione.

E’ noto, infatti, che l’indennità per ingiustificato licenziamento, prevista dalla contrattazione collettiva in favore dei dirigenti d’azienda, e liquidata secondo parametri parzialmente discrezionali (nella forbice tra minimi e massimi), può riferirsi sia a voci di risarcimento soggette a tassazione che a voci che ne sono esenti. In proposito, la Cassazione non esclude che l’erogazione a titolo di indennità supplementare possa risultare esente da tassazione, ma a condizione che il contribuente dimostri che la predetta indennità si riferisce (in tutto o in parte) a voci di risarcimento puro (Cassazione, n. 1349/2010), non potendo ritenersi “sufficiente che sia precisato che esso ha carattere risarcitorio, perchè costituisce risarcimento anche il ristoro di emolumenti non percepiti, tassabili ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 2 (Cassazione, sentenza n. 18369 del 2005)…” (Cassazione 3632/2006). Tale prova non è stata fornita nella fattispecie esaminata dalla Corte con la sentenza 26385 del 2010. I giudici di secondo grado, infatti, hanno dato atto che nel giudizio di merito “la parte ricorrente non ha mai esibito … la copia dell’atto di transazione a suo tempo sottoscritta con il datore di lavoro per consentire al giudice tributario di verificare se vi erano elementi atti a meglio chiarire la natura delle somme percepite, né appare fondata la pretesa dello stesso ricorrente di veder addossare alla controparte l’onere di tale prova”.


Fonte: Agenzia Entrate

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