L'accertamento viziato da irregolarità procedurali commesse deve considerarsi sanato qualora lo stesso soggetto controllato manifesti, anche solamente in maniera implicita, la volontà di collaborare con l'ufficio procedente per chiarire la propria posizione. In tali casi, pertanto, sono pienamente utilizzabili, ai fini del controllo tributario, le risultanze scaturenti dall'accertamento "viziato".

L'importante principio è stato affermato dalla sezione tributaria della Suprema corte di cassazione con la sentenza n. 17210 del 23 luglio 2009.

La vicenda

Un contribuente impugnava dinanzi la competente Commissione tributaria provinciale due avvisi di accertamento dell'ente impositore con i quali venivano richiesti maggiori importi a titolo di Iciap per distinte annualità, asserendo che gli stessi avvisi dovevano considerarsi illegittimi in quanto, nel procedervi, l'amministrazione non aveva ottemperato alle prescrizioni procedurali a quest'ultima imposte dall'articolo 4, comma 5, del Dl 66/1989.

Sia i giudici tributari di primo grado sia la Commissione tributaria regionale davano ragione al contribuente, annullando gli avvisi in contestazione poiché l'amministrazione aveva effettuato un accesso presso l'immobile del contribuente senza prima averlo invitato a esibire atti o documenti e senza averlo previamente avvisato, con cinque giorni di anticipo, dell'accesso stesso.

Avverso tali pronunce, l'amministrazione ha proposto ricorso di ultima istanza dinanzi la Suprema corte di cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione di norme nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. A giudizio dell'ufficio, infatti, i magistrati tributari sarebbero incorsi in errore laddove non hanno considerato che la disposizione controversa non pone alcun obbligo a carico dell'amministrazione, riconoscendogli esclusivamente determinate facoltà, e soprattutto laddove non hanno dato il giusto rilievo alla circostanza che l'accertamento ispettivo è avvenuto alla presenza del contribuente che si è adoperato in un prolungato contraddittorio con i rappresentanti dell'ufficio al fine di chiarire la propria posizione debitoria.

La pronuncia della Cassazione

Con la sentenza n. 17210 del 23 luglio, i giudici di piazza Cavour hanno dato ragione all'amministrazione affermando che l'accertamento viziato da irregolarità procedurali debba considerarsi valido ove lo stesso soggetto controllato manifesti, anche non espressamente, ma con comportamenti concludenti, la volontà di collaborare con l'ufficio procedente per chiarire la propria posizione.

Le disposizioni dell'articolo 4 del Dl 66/1989, ha precisato la Corte, sono volte a consentire all'ufficio di effettuare un doveroso controllo sulla dichiarazione del contribuente, eseguendo un accesso diretto presso l'immobile dove egli svolge la propria attività. L'amministrazione ha la facoltà di chiedere al contribuente l'esibizione di atti e documenti e, in difetto di risposta, può, previa autorizzazione del sindaco e con preavviso di almeno 5 giorni, eseguire un'ispezione diretta presso l'immobile del soggetto sottoposto a verifica. La procedura descritta, hanno chiarito i giudici, è improntata al principio di leale collaborazione tra amministrazione e cittadino cosicché, se l'amministrazione non osserva gli adempimenti propedeutici all'ispezione, il contribuente può legittimamente rifiutare la verifica senza che ciò abbia alcun conseguenza negativa sulla sua posizione ai fini dell'accertamento stesso.

Allorché, però, hanno sottolineato i giudici, affermando un importante principio di diritto che va ben al di là della questione contingente legata all'ormai abolita Iciap, dovendosi applicare lo stesso all'intera attività accertativa svolta dai vari uffici dell'amministrazione finanziaria, il contribuente consente l'accesso, "l'inosservanza della procedura rimane priva di conseguenze e non intacca il risultato della verifica, avendo il contribuente manifestato comunque la volontà di collaborazione, nonostante la relativa inosservanza… Ne consegue, alla luce delle considerazioni sopra svolte, che il contribuente, avendo comunque consentito l'accesso, non può poi contestare i risultati sotto il profilo dell'inosservanza delle prescrizioni procedurali cui egli, attraverso il suo comportamento concludente, ha di fatto rinunciato".

Dunque, in tali ipotesi, sono pienamente utilizzabili, ai fini del controllo tributario, le risultanze scaturenti dall'accertamento "viziato".

La pronuncia in commento risulta di estremo rilievo in quanto è l'ultimo arresto della Suprema corte nell'annoso dibattito dottrinale e giurisprudenziale concernente la validità o meno dell'attività accertativa svolta senza l'osservanza di tutte le prescrizioni di carattere meramente procedurali.

Secondo un primo orientamento, infatti, il consenso del contribuente non può mai essere fatto valere per sanare un errore o un'inadempienza dell'amministrazione procedente, anche se meramente procedurale e non sostanziale. In questo senso, alcune pronunce di legittimità hanno stabilito che non può essere dato alcun rilievo alla mancata contestazione della legittimità di una perquisizione da parte del soggetto che l'ha subita perché l'assenza di opposizione non equivale certamente a consenso.

Per diverso orientamento, invece, nel quale si inserisce la pronuncia appena esaminata, l'assenso e la partecipazione o collaborazione del cittadino sottoposto a verifica supera qualsiasi questione sulla regolarità procedurale dell'attività accertativa, in quanto la partecipazione del contribuente alle operazioni di verifica, compiuta senza muovere alcuna contestazione all'operato dei funzionari del fisco, equivale ad accettazione del loro operato e dei risultati da questo scaturenti.

Fonte: Agenzia Entrate

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