Il “patteggiamento” in sede penale costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice tributario.

Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 22548 dell’8 settembre 2008.

La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento con il quale l’ufficio aveva recuperato a tassazione l’imposta evasa a mezzo di fatture per operazioni inesistenti.

Il contribuente impugnava la sentenza di secondo grado, contestando, fra l’altro, il richiamo operato dai giudici di appello alla pronuncia di “patteggiamento” (che, se non può considerarsi una vera e propria sentenza di condanna, presume la responsabilità dell’imputato).

Prima di proseguire, è opportuno precisare che il Dlgs 74/2000 ha confermato il principio della piena e reciproca autonomia (cosiddetto regime del “doppio binario”) tra il procedimento penale, da un lato, e il processo tributario e il procedimento amministrativo di accertamento, dall’altro, escludendo qualsiasi rapporto di pregiudizialità.

In altri termini, l’attività di accertamento degli uffici e i processi in seno alle Commissioni tributarie proseguiranno il loro cammino anche nelle ipotesi in cui sia in corso un procedimento penale avente a oggetto i medesimi fatti.

Il “doppio binario” presenta il duplice vantaggio di evitare un’eccessiva dilatazione dei tempi delle decisioni e di rispettare le differenze, sul piano probatorio, tra l’ambito penale e quello amministrativo.

In mancanza di una normativa derogatoria, troveranno applicazione le disposizioni ordinarie relative all’efficacia del giudicato penale e, in particolare, l’articolo 654 Cpp (che prevede un’efficacia vincolante delle sentenze penali di condanna o di assoluzione in altri giudizi civili o amministrativi).

Più specificatamente, in base alla norma sopra citata, per quanto qui d’interesse, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione ha efficacia di giudicato nei confronti dell’imputato e della parte civile qualora i fatti materiali posti alla base della pretesa tributaria siano stati ritenuti rilevanti dal giudice penale ai fini della sua decisione e sempre che l’accertamento dei fatti operato dallo stesso giudice penale non si ponga in contrasto con norme di prova tributaria (si ricorda che, ai sensi dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, non sono ammessi nel processo tributario il giuramento e la prova testimoniale).

E’ utile sottolineare, infine, che, ricorrendo le condizioni di cui al citato articolo 654, il giudicato penale fa sempre stato nei confronti del contribuente – imputato, anche quando il Fisco non abbia partecipato al processo penale, mentre nei confronti dell’Erario il giudicato penale farà stato solo se quest’ultimo si sia costituito parte civile (cfr circolare ministeriale 154/2000).

Tanto precisato, la Cassazione, con la sentenza in esame ha rigettato il ricorso presentato dalla società contribuente, rilevando che la sentenza di patteggiamento, emessa ai sensi dell’articolo 444 Cpc, costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, “ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputata avrebbe ammesso una sua responsabilità insussistente e il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione”.

In proposito, va ricordato, per completezza espositiva, che la Suprema corte, in altre occasioni (nell’affermare che, in virtù dell’articolo 654 Cpp, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente), ha riconosciuto, comunque, al giudice tributario la possibilità di avvalersi delle risultanze emergenti dal processo penale, procedendo a un’autonoma valutazione, secondo la lex probatoria vigente nel giudizio tributario, degli elementi probatori acquisiti nel processo penale.

In altre parole, il giudice tributario, se da una parte non può estendere automaticamente gli effetti di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, con riguardo all’azione accertatrice del singolo ufficio tributario, dall’altra è legittimato, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, a verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui il compendio probatorio è destinato a operare (ex pluribus, Cassazione, sentenze 9109/2002, 19505/2003, 10269/2005,1416/2007).


Fonte: Agenzia Entrate

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