Uno dei punti deboli della lotta all'evasione è rappresentato dalla cosiddetta "evasione da riscossione", che incide non solo sul gettito, ma anche sulla credibilità dell'intero sistema di accertamento.
Già con la circolare n. 7/E del 21 febbraio 2005, l'Agenzia delle entrate, del resto, aveva sottolineato la necessità di procedere al potenziamento degli strumenti del recupero coattivo (ipoteca e sequestro conservativo).
In base all'articolo 22 del Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472, infatti, in presenza di violazioni tributarie formalmente contestate e di fondato timore di perdere la garanzia del credito erariale, gli uffici possono chiedere al presidente della Commissione tributaria provinciale l'adozione di misure cautelari (iscrizione di ipoteca e sequestro conservativo).
L'applicabilità di tali istituti è, però, subordinata all'esistenza dei seguenti presupposti:
- il fumus boni iuris, ovvero l'esistenza di un atto o documento dal quale risultino (ragionevolmente) constatate violazioni alle norme tributarie
- il periculum in mora, ossia il fondato pericolo di perdere la garanzia del credito, poiché il contribuente non offre garanzie idonee per il soddisfacimento della pretesa tributaria. Ai fini della concessione del sequestro conservativo e della sua convalida, il requisito del periculum in mora potrà, del resto, desumersi sia da elementi oggettivi, riguardanti la consistenza patrimoniale del debitore, sia da elementi soggettivi, inerenti al comportamento del medesimo e tali da rendere verosimile l'eventuale depauperamento del suo patrimonio (Cassazione, sentenze n. 643/1980, n. 2672/1983, n. 902/1990, n. 6460/1996, n. 2139/1998, n. 6042/1998).
L'ufficio deve quindi effettuare una valutazione di merito, verificando sia la sostenibilità della pretesa che la mancanza di garanzie idonee e sufficienti per il soddisfacimento della pretesa.
Tra i parametri da tenere presenti per procedere alla richiesta delle misure cautelari, ci sono, in particolare (vedi anche circolare n. 66 del 6 luglio 2001), l'entità del credito, gli indici di solvibilità e il rapporto di indebitamento.
Qualora sussistano, tuttavia, evidenti ragioni di opportunità, correlate alla pericolosità e alla solvibilità del trasgressore, sarà possibile comunque derogare a tali limiti (come, ad esempio, il caso in cui siano contestate operazioni inesistenti o sussistano pregresse situazioni di insolvenza del medesimo contribuente).
L'ufficio, una volta verificati i presupposti, avvia il procedimento cautelare, con istanza rivolta al presidente della Commissione tributaria provinciale.
L'istanza, secondo quanto prescritto dagli articoli 137 e seguenti del Codice di procedura civile, nelle forme previste per gli atti tributari (articolo 60 del Dpr 29 settembre 1973, n. 600), ovvero, infine, per posta (ai sensi della legge 28 novembre 1982, n. 890), va notificata alle parti interessate (che, a loro volta, hanno venti giorni di tempo per depositare memorie e documenti difensivi) e deve poi essere depositata presso la Commissione tributaria competente.
Un esempio operativo
Immaginiamo quindi il seguente iter:
- perviene all'ufficio un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza
- l'ufficio provvede a emettere avvisi di accertamento (per importi elevati) per gli anni oggetto del pvc
- una volta divenuti definitivi (per mancata impugnazione), l'ufficio provvede all'iscrizione a ruolo (imposte più sanzioni).
A carico del contribuente oggetto di accertamento, viene inoltre instaurato anche un parallelo procedimento penale per la constatazione di illeciti, di cui al Dlgs n. 74/2000.
Dai dati presenti in Anagrafe tributaria emerge che il contribuente, per gli anni oggetto di accertamento, non ha mai presentato alcuna dichiarazione e risulta, pertanto, essere un evasore totale.
Risultano infine, anche altre precedenti cartelle per ruoli erariali, sulle quali il concessionario ha già intrapreso delle procedure esecutive che si sono però concluse con esito negativo.
Cosa fare allora per cercare di salvaguardare il credito erariale?
Il caso sopra prospettato rappresenta il classico esempio di quando ricorrere all'istituto delle misure cautelari.
Sussistono, infatti, senza dubbio, i presupposti richiesti dall'articolo 22 del Dlgs 18 dicembre 1997, n. 472, per la concessione delle misure cautelari (fumus boni iuris e periculum in mora), vista:
- l'entità degli importi da recuperare a tassazione, oltretutto già divenuti definitivi in quanto non impugnati
- la constatazione di illeciti penali
- la natura di evasore totale del contribuente
- la sussistenza di precedenti specifici che attestano l'insolvenza del predetto soggetto a fronte dell'emissione delle cartelle emesse dal concessionario.
Se, dunque, il contribuente non ha proprietà immobiliari, la sola alternativa sarà quella di accertare se sussistano eventuali conti correnti su cui rivalersi.
Riscontrata, peraltro, l'esistenza di conti correnti, nel fondato timore che, nelle more degli sviluppi della pratica, si disperdano i (pochi) beni del contribuente, che costituiscono garanzia dell'adempimento delle sue obbligazioni, l'ufficio farà bene a proporre istanza di misure cautelari sui rinvenuti conti correnti, chiedendo alla competente Commissione tributaria di essere autorizzato a procedere al sequestro conservativo dei conti correnti e delle eventuali destinazioni dei relativi fondi.
Questa la prassi "ordinaria".
Ma cosa succederebbe nel caso in cui anche tali conti si rivelassero inconsistenti o, comunque, già "svuotati"?
Cosa succede, in sostanza, nel caso in cui, pur essendo stati autorizzati dalla Commissione a procedere a iscrizione di ipoteca e sequestro conservativo e avendo, quindi, l'ufficio delegato la competente Avvocatura agli adempimenti necessari per procedere ai sequestri autorizzati, l'istituto bancario presso cui si trovano i conti, non risultando più beni da sottoporre a misura cautelare, renda dichiarazione negativa, rendendo pertanto vani i tentativi dell'Amministrazione di garantire il credito dovuto?
Una tale evenienza accadrà, ad esempio, laddove le provviste contenute nei conti correnti siano già state "deviate" su altri conti intestati a soggetti compiacenti.
L'azione dell'ufficio sarà, del resto, sicuramente agevolata nel caso in cui tali soggetti siano stati già trovati dall'Autorità giudiziaria e rinviati a giudizio, per aver ricevuto, in qualità di meri interposti, assegni costituenti porzione del profitto dei reati già imputati al soggetto oggetto di accertamento, quale parte di redditi imponibili mai dichiarati.
Visto che tali proventi, al fine di ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, vengono (artatamente) depositati sui conti correnti intestati a soggetti terzi, e considerato, dunque, che, in sostanza, i proventi ricevuti dal soggetto accertato a seguito delle prestazioni svolte quale evasore totale vengono deviati proprio su tali conti, le relative somme potranno senza dubbio essere considerate riconducibili al debitore dell'Erario, in quanto fittiziamente intestate a terze persone.
In tal caso, quindi, ben potrà l'ufficio richiedere alla stessa Commissione l'autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei conti correnti fittiziamente intestati ai terzi compiacenti.
Sequestro penale e conservativo
Infine un'ultima annotazione.
Essendoci nell'ipotesi sopra ipotizzata già un procedimento penale in corso, sarà probabile che sia già stato disposto dal Pubblico ministero un sequestro penale.
Pur essendoci già tale sequestro penale, si ritiene, però, che sia comunque opportuno procedere a sequestro conservativo per la garanzia del credito erariale.
Come infatti recentemente ribadito dalla Cassazione (sentenza n. 436/21491 del 21 giugno 2006), il sequestro preventivo penale ben può concorrere con la misura cautelare del sequestro conservativo disposto a garanzia delle somme vantate dalla parte civile, poiché le due misure hanno distinte finalità proprie e modalità di esecuzione diverse; sicché è ammissibile la coesistenza dei due tipi di sequestro sugli stessi beni (Cassazione, 17 giugno 1996, n. 560; 13 giugno 1995, n. 1432; 17 marzo 1994, n. 886). Non sarebbe possibile, del resto, domandare alla Procura di chiedere il sequestro conservativo per conto dell'Agenzia.
Tale impedimento è stato, infatti, ribadito ancora dalla Suprema corte, con sentenza n. 795/38710 del 4 ottobre 2004, secondo cui "Il pubblico ministero può chiedere il sequestro conservativo (anche in conversione del sequestro probatorio) esclusivamente a garanzia di crediti statali endoprocessuali indicati dall'art. 316, comma 1, del codice di procedura penale e non delle obbligazioni pecuniarie nascenti da reati tributari (tributi evasi, soprattasse, interessi di mora)".
Questo comporta che, un domani, nel caso in cui i soggetti imputati venissero condannati, la Procura si rivarrebbe sui conti sequestrati esclusivamente per le pene pecuniarie, le spese di giudizio e le spese di sua competenza, e non già anche sul credito erariale, che quindi rimarrebbe definitivamente privo di tutela.
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