La presentazione dell’istanza di definizione ex articolo 9 della legge 289 del 2002 (condono tombale) preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso dell’Irap dichiarata e versata, ma reputata non dovuta per mancanza del presupposto impositivo, con riferimento alle annualità di imposta definite mediante la richiamata agevolazione. In questi termini, si è pronunciata la Corte di cassazione (sezione tributaria, sentenza n. 3682 depositata il 16 febbraio 2007), accogliendo il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate e cassando senza rinvio la sentenza impugnata, stante l’improseguibilità della controversia in conseguenza della cessazione della materia del contendere per intervenuto condono.

Fatto
La controversia origina da un diniego del rimborso chiesto dal contribuente relativamente all’Irap 1998 e 1999, a suo parere non dovuta per mancanza del presupposto previsto dalla legge, svolgendo egli la propria attività professionale in assenza assoluta di autonoma organizzazione. Il giudice di prime cure accoglieva il ricorso e la decisione era confermata in appello, sede in cui la Commissione tributaria regionale, fra l’altro, aveva ritenuto non ostativa alla prosecuzione del giudizio la circostanza che il contribuente avesse presentato istanza di condono “tombale”, ai sensi dell’articolo 9 della legge 289 del 2002.
Avverso tale errato convincimento ricorre l’Agenzia delle entrate che contesta le conclusioni del giudice di merito, sia con riferimento alla ritenuta sussistenza dei requisiti per l’applicazione dell’imposta regionale, che con riguardo agli effetti della presentazione della dichiarazione integrativa sulla controversia pendente.

Diritto
Il giudice di legittimità, nella sentenza in commento, esplicita un orientamento niente affatto originale, seppure in altri pronunciamenti (non diversi, nella sostanza, dal caso in esame) esso abbia riguardato "altre normative di definizione dei carichi fiscali". Pertanto, in armonia con precedenti interventi (sentenze n. 195 e 15635/2004 – n. 3163/1997 – n. 3273/1996), la Suprema corte osserva che il condono "pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti e che non si intersecano fra loro: o coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo, ove del caso, i rimborsi di somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto sulla linea del procedimento ordinario".

A tale convincimento la Cassazione perviene rilevando alcune incongruenze nella motivazione della sentenza impugnata, a cominciare dal rilievo sulla “tempistica” (accesso al condono successivo all’instaurazione del contenzioso), ritenuto manifestamente irrilevante, posto che non avrebbe potuto essere diversamente, stante che la legge 289/2002 è entrata in vigore successivamente alla presentazione del ricorso originario. Ma i giudici di piazza Cavour reputano egualmente errata l’affermazione che "l’utilizzo della sanatoria non preclude ex lege istanze di rimborso di imposte inapplicabili per assenza di presupposto impositivo", considerato che il condono ha, tra l’altro, proprio lo scopo di definire transattivamente la controversia sull’esistenza di tale presupposto.

Infine, analogamente irrilevante, per la evidente diversità della questione, è l’ultimo periodo dell’articolo 9, legge 289/2002, il quale dispone che "la dichiarazione integrativa non costituisce titolo per il rimborso di ritenute, acconti e crediti d’imposta precedentemente non dichiarati, ne’ per il riconoscimento di esenzioni ed agevolazioni non richieste in precedenza, ovvero di detrazioni d’imposta diverse da quelle originariamente dichiarate". Nel merito, la Cassazione, anche richiamandosi a un recente intervento della Corte costituzionale (ordinanza n. 340 del 27 luglio 2005) in tema di legittimità del condono introdotto con la legge 289/2002, interpreta la norma ritenendo che la presentazione del condono non impone al contribuente la rinuncia al credito esposto in dichiarazione, nè preclude all’Amministrazione di rimborsarlo, se lo ritiene fondato, o di accertarne la rimborsabilità.

Commento
Alle ineccepibili conclusioni della Cassazione era già pervenuta l’Agenzia delle entrate, con le istruzioni diramate agli uffici con riguardo al condono ex legge 289/2002 e ai suoi effetti sulle molteplici controversie instaurate in materia di Irap (circolari n. 7/E del 5 febbraio 2003 e n. 18/E del 25 marzo 2003). In tali interventi, infatti, l’Amministrazione aveva sostenuto che, se il contribuente ha presentato dichiarazione integrativa e liquidato le relative imposte, il rapporto tributario sottostante deve considerarsi esaurito.

Il disposto normativo degli articoli 7 (definizione automatica per gli anni pregressi) e 9 (definizione automatica) della legge 289/2002 confortano l’assunto dell’Agenzia, trattandosi di istanze di condono che rendono definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalle dichiarazioni presentate dai contribuenti, "anche con riferimento alla spettanza di deduzioni ed agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni".

Ulteriore conferma verso la correttezza di tali conclusioni si ricava dalla sentenza della Cassazione n. 15569 dell’11 dicembre 2000, secondo cui l’adesione da parte del contribuente a una definizione automatica comporta che i periodi di imposta coperti da condono non possono più essere modificati "proprio a causa della scelta fatta dallo stesso contribuente di avvalersi del condono, rinunciando implicitamente ad ogni pretesa che, direttamente o indirettamente, trovi fondamento in fatti relativi agli anni condonati".
Quindi, il contribuente deve scegliere fra due trattamenti distinti: definizione agevolata o rimborso, senza possibilità di percorrere entrambe le strade.

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