Con la sentenza n. 1910 del 30 gennaio 2007, la sezione tributaria della Corte di cassazione affronta la valutazione della deducibilità dal reddito di impresa, ai sensi dell’articolo 70 del Dpr 22 dicembre 1986 (articolo 105 nuovo Tuir), degli accantonamenti effettuati in vista della possibile erogazione dell’indennità suppletiva di clientela agli agenti di commercio, in adempimento degli obblighi imposti dai contratti collettivi del settore.

Il giudizio delle Commissioni di merito
La fattispecie posta al vaglio della Corte trae origine da alcuni avvisi di accertamento emessi dagli uffici dell’Agenzia delle entrate, con cui si recuperava a tassazione una parte degli accantonamenti ai fondi per indennità destinate agli agenti di commercio, dedotti dal reddito d’impresa.
I giudici di entrambi i gradi di merito, fermamente convinti dell’incertezza insita nel meccanismo di erogazione dell’indennità in esame e della sua conseguente indeducibilità negli esercizi precedenti all’effettiva elargizione, hanno valutato in maniera negativa i rilievi proposti dalla società contribuente.

In particolare, la Commissione provinciale ha valutato l’indennità come una posta "legata ad eventi futuri ed incerti e dunque deducibile solo nell’anno di imposta in cui tali eventi si sarebbero verificati". Tale argomentazione è stata poi confermata dalla Ctr, che ha sottolineato come la corresponsione dell’indennità suppletiva di clientela rappresenti "un’evenienza del tutto teorica, eventuale ed imprevedibile".
Proprio questo tipo di qualificazione non consente la deduzione, neppure sotto forma di accantonamento, prima del verificarsi dell’interruzione del rapporto, nell’unica ipotesi in cui sorge il diritto per gli agenti alla corresponsione di tale indennizzo (iniziativa del proponente e fatti non imputabili al rappresentante).

La tesi difensiva del contribuente
A parere della società ricorrente, la qualificazione dell’indennità oggetto della controversia non può prescindere dall’elemento che dà origine e legittima l’esistenza della stessa, cioè dal fatto che questo particolare tipo di indennità sia esplicitamente regolata dal contratto collettivo nazionale del settore. Tale previsione influenza la certezza dell’erogazione e l’obbligo di accantonamento di quanto in futuro avrebbe dovuto corrispondersi, in quanto il contratto collettivo degli agenti rappresenta per il settore "disciplina collettiva avente natura imperativa".
Inoltre, a conclusione del rapporto d’agenzia, l’eventuale non debenza di quanto accantonato, sarebbe stato comunque soggetta a tassazione, determinando per l’impresa una sopravvenienza attiva.

La sentenza n. 1910 del 28 novembre 2006 (depositata il 30 gennaio 2007)
Nella argomentazioni della pronuncia in esame, i giudici di piazza Cavour hanno precisato che il trattamento di fine rapporto degli agenti di commercio si compone di due elementi. Il primo, da corrispondere in tutti i casi di scioglimento del rapporto di agenzia, segue le regole di deducibilità ordinarie dei fondi di Tfr, previsti per le altre categorie di lavoratori dipendenti. Il secondo, riconosciuto soltanto nei casi di risoluzione anticipata del contratto per fatto non imputabile all’agente, prende il nome di indennità suppletiva e non può essere assimilato al precedente.

Con particolare riferimento a questa seconda componente del Tfr di un agente di commercio, la Corte ha affermato che "la possibilità che si pervenga allo scioglimento anticipato del rapporto resta appunto sempre una possibilità", indipendentemente dalla maggior o minor frequenza con la quale possa verificarsi tale eventualità.
Ai fini della legislazione fiscale, tale caratteristica manifesta l’assenza dei requisiti di certezza e determinabilità oggettiva, necessari per la deducibilità delle componenti negative del reddito, ai sensi dell’articolo 75 del Testo unico delle imposte sui redditi del 1986 (articolo 109 nuovo Tuir).

Per i giudici, "l’accantonamento operato dal datore di lavoro – ancorché giustificabile sotto il profilo civilistico in quanto rientrante nel prudente apprezzamento dell’imprenditore – non assume rilevanza a fini fiscali difettando quel requisito imprescindibile che presuppone la normativa di settore".

La Cassazione, riprendendo uno stralcio della precedente sentenza n. 7690 dell’11 dicembre 2002 (depositata il 16 maggio 2003), puntualizza che l’indennità suppletiva di clientela, in corso del rapporto di lavoro, rappresenta "un costo meramente eventuale sia nell’an che nel quantum con la conseguenza che tale indennità non è accantonabile fiscalmente e, quindi, non è deducibile dal reddito d’impresa".

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