Il giudice penale può non ridurre la pena e non concedere attenuanti generiche all’imputato di frode fiscale, motivando l’esercizio del suo potere discrezionale sulla base dell’indicazione di elementi ritenuti decisivi e rilevanti che assorbono tutti gli altri, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti.
Lo ha precisato la Cassazione con la sentenza 28899 dell’8 luglio 2013.

I fatti
Con sentenza dell’8 novembre 2011, la Corte di appello di Palermo, esaminando la posizione del signor X, ne confermava la colpevolezza, in ordine al reato di frode fiscale (capo “A” di imputazione, articoli 81 cpv., 110 cp e 8, in relazione all’articolo 1, ultimo periodo, Dlgs74/2000), ritenendo provato il dolo (nonostante la difesa avesse assunto, nei motivi di appello, una situazione di buona fede da parte dell’imputato) ed enumerando i numerosi elementi relativi all’elemento psicologico già valutati dal Tribunale.

La Corte, essendo incontestata la materialità del reato e condividendo integralmente le argomentazioni del giudice di primo grado relative al dolo, escludeva che fosse stato un altro soggetto l’autore della falsificazione delle fatture e ribadiva invece l’attribuibilità del fatto al signor X.

Nel ricostruire la vicenda processuale, il giudice di appello ha sottolineato alcuni fondamentali passaggi, che conducevano a smentire per la tesi difensiva basata su un presunto scambio (o errore) di persona e a dimostrare l’attribuibilità dei reati al signor X, piuttosto che ad altro fantomatico soggetto.
In particolare ha ricordato che l’autotrasportatore, incaricato di portare in Italia le autovetture acquistate da una società appartenente a un soggetto sedicente (secondo la prospettazione difensiva), ha escluso di conoscere tale individuo, riconoscendo, invece, fotograficamente nelle sembianze dell’imputato il soggetto che, per conto della predetta società, ordinava e pagava il trasporto delle vetture in Italia (circostanza ammessa, oltretutto, dallo stesso imputato) e ancora, ne curava l’immatricolazione, una volta trasportate in Italia, recandosi presso le agenzie incaricate del disbrigo di tali pratiche e sostenendo i relativi costi.

Tali circostanze, unite ad altre significative della attribuibilità del fatto all’imputato, hanno condotto la Corte territoriale ad affermare che era l’imputato a occuparsi personalmente dell’acquisto delle vetture all’estero, a curare l’organizzazione, sia del trasporto, sia delle vendite delle auto in Italia, e a seguire l’iscrizione delle stesse al Pra.

Inoltre, la Corte d’appello, ritenendo assorbito il reato di truffa aggravata (capo B), articoli 81 cpv, 110, 640 comma 2 n. 1 e 61 n. 7 cp) nel reato di frode fiscale (cfr sentenza n. 1235/2010 delle sezioni unite), ha riconfermato quest’ultimo sotto il duplice profilo oggettivo e soggettivo e ha modificato il trattamento sanzionatorio a carico del signor X, rideterminando la pena di anni due, mesi nove di reclusione e 800 euro di multa originariamente inflittagli, nella misura di anni due di reclusione.

L’imputato ha proposto ricorso per cassazione deducendo, tra l’altro, difetto di motivazione della sentenza di secondo grado per carenza e/o illogicità manifesta in ordine al trattamento sanzionatorio, con specifico riferimento al mancato riconoscimento delle invocate circostanze attenuanti generiche.

I giudici di legittimità hanno affermato che “… il giudice distrettuale ha correttamente e motivatamente esercitato il proprio potere discrezionale, escludendo la concedibilità delle circostanze attenuanti generiche e, comunque, la possibilità di una attenuazione della pena…” proprio per il preminente ruolo assunto nella vicenda processuale dal signor X “… con riferimento alla sua particolare professionalità dimostrata nella ‘creazione degli artifizi che hanno consentito la perpetrazione della frode fiscale’…”, non essendo “… necessaria una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ai fini della valutazione della concedibilità - o meno - delle circostanze attenuanti generiche e del ridimensionamento della pena, bastando indicare gli elementi ritenuti decisivi e rilevanti che assorbono tutti gli altri…” (cfr Cassazione28899/2013).

Osservazioni
I giudici di piazza Cavour precisano che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 cp, quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio. Il giudice di merito, cioè, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’imputato, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli che ritiene rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego (cfr Cassazione 39588/2011), rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (cfr Cassazione 43729/2012 e 7632/2009).

La motivazione della sentenza impugnata, sottoposta al vaglio della Cassazione, quindi, non è censurabile laddove fa riferimento alla ricostruzione di fatti e al ruolo non marginale dell’imputato nella vicenda, sintomatici di un affinamento da parte dell’imputato stesso delle tecniche di frode fiscale e dell’intensità del dolo che ha sorretto l’azione delittuosa. Soprattutto dalla motivazione delle sentenze di merito è evidente che l’apporto dell’imputato è stato di fondamentale importanza per consentire l’operatività del meccanismo di frode fiscale posto in essere.

Motivazione salva sia se il giudice ha indicato solo gli elementi determinanti il diniego ma anche se, nell’esercizio del potere discrezionale che la legge gli riconosce, non ha preso in considerazione tutte le prospettazioni difensive, come lamentato dall’imputato. Non può ritenersi disatteso l’obbligo della motivazione da parte del giudice di appello anche in quest’ultima ipotesi se, a seguito di una valutazione complessiva, il giudice del fatto dà prevalenza alle considerazioni ritenute di maggior rilievo, disattendendo implicitamente le altre.

Proprio perché congrua e non contraddittoria, anche se fondata sui soli elementi preponderanti della decisione, la motivazione con cui la Corte territoriale ha escluso la possibilità di applicare un trattamento sanzionatorio più favorevole è, quindi, adeguata e immune da vizi e non può essere sindacata in Cassazione anche se in difetto di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati dalla difesa nell’interesse dell’imputato (cfr Cassazione 7707/2003).
Costituisce, infatti, principio consolidato di legittimità che l’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non può essere censurato in sede di legittimità proprio perché congruamente motivato (cfr Cassazione7632/2009 e 42314/2009).


Fonte: Agenzia Entrate

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