La non imponibilità IVA delle cessioni di beni asseritamente destinati all’esportazione, subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario sulla destinazione del bene al di fuori del territorio comunitario e al possesso dei requisiti soggettivi e oggettivi previsti dalla norma, viene meno nell’ipotesi in cui si accerti che i beni non siano stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione sia ideologicamente falsa.
In questo caso l’obbligo del cedente di assolvere successivamente l’IVA su tali beni può essere escluso solo nella misura in cui risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli al fine di assicurarsi di non partecipare alla frode.

La sentenza della Cassazione n. 176/2015 e la nuova disciplina sulle lettere di intento

IL CASO
L’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione avverso una sentenza della Ctr che, confermando la pronuncia di primo grado, aveva annullato un avviso di accertamento Iva relativo all’anno 2002.
Per il giudice di appello doveva ritenersi sufficiente, ai fini della non imponibilità delle cc.dd. esportazioni “indirette”, la dichiarazione di intento rilasciata dall’esportatore abituale al fornitore il quale in tal modo prendeva atto della destinazione extracomunitaria della merce.
Col successivo ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate denunciava la sentenza di secondo grado sia sotto il profilo del vizio di motivazione (per aver omesso di valutare gli elementi proposti relativi al carattere fittizio delle operazioni e alla falsità delle dichiarazioni di intento del cessionario) sia in relazione alla violazione di legge (art. 8 del D.P.R. n. 633 del 1972 e art. 2697 c.c.) per non aver ribaltato sul contribuente l’onere di provare l’effettività dell’operazione dopo che l’Amministrazione ne aveva desunto il carattere fraudolento.


IL COMMENTO

1. LE ESPORTAZIONI “INDIRETTE”: DICHIARAZIONI DI INTENTO DISCIPLINA VECCHIA E NUOVA.
Ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c), costituiscono esportazioni indirette le cessioni effettuate, anche tramite commissionari, mediante consegna sul territorio dello Stato, di beni diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili, nonché le prestazioni di servizi rese a soggetti che, avendo effettuato operazioni oggettivamente non imponibili oltre una certa misura, si avvalgano della facoltà di acquistare beni e servizi o di importare beni senza pagamento dell’imposta (acquisiscono, si dice, lo status di esportatore abituale).
Sono esportatori abituali coloro, che, nell’anno precedente o nei dodici mesi precedenti, abbiano effettuato cessioni di beni o prestazioni di servizi oggettivamente non imponibili per un ammontare superiore al 10% del volume di affari, determinato a norma dell’art. 20 DPR 633/72. Vi concorrono le operazioni di cui agli artt. 8, 1° comma, lett. a) e b) ed 8-bis, 1°comma nonché 41 del DL 331/93.
Le cessioni e prestazioni verso questi soggetti, erano effettuate in regime di sospensione d’imposta a seguito di dichiarazione scritta degli acquirenti o committenti e sotto la loro responsabilità. L'articolo 1, comma 1, lettera c, del decreto legge n. 746/83 stabilisce che gli esportatori abituali, per avvalersi della suddetta facoltà, debbano consegnare o inviare ai propri cedenti o prestatori una dichiarazione d'intento, redatta in conformità del modello approvato con decreto ministeriale del 6.12.1986. Ne discende che eventuali violazioni inerenti lo status di esportatore abituale o l’utilizzo oltre i limiti del cd. plafond (l’ammontare di quanto si può acquistare in sospensione di imposta), in nessun caso poteva comportare addebiti nei confronti dei cedenti, né in ordine all’imposta, né in ordine alle sanzioni.(....)

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