Il contribuente che emette fatture per operazioni inesistenti è tenuto al versamento dell'imposta indicata in fattura e a presentare la dichiarazione annuale Iva.
E' questo, in sintesi, il principio affermato dalla Cassazione, con la sentenza n. 39177 del 24 settembre 2008, depositata il successivo 20 ottobre.
La vicenda
Con sentenza pronunciata dal tribunale e confermata in appello, il rappresentante legale di una società commerciale era stato giudicato colpevole del reato di omessa dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, di cui all'articolo 5 del Dlgs 74/2000. Nello specifico, era stato rilevato che la società aveva emesso fatture per vendite di merci di cui non aveva la disponibilità (le fatture erano state emesse con indicazione di Iva a debito nei confronti di numerose società che, a loro volta, avevano detratto l'imposta assolta sugli acquisti fittizi).
Il rappresentante legale della società, ricorrendo in Cassazione, denunciava l'erroneità della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti, sostenendo, in particolare, che le fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti non erano soggette a Iva.
La decisone della Suprema corte
Nel dichiarare l'inammissibilità del ricorso, la Cassazione ha confermato la correttezza dei giudizi di merito, ribadendo che, secondo la normativa tributaria, l'imposta sul valore aggiunto è dovuta anche in relazione a fatture emesse per operazioni inesistenti.
Le argomentazioni della Corte si fondano, principalmente, sull'inequivocabile dato normativo rappresentato dall'articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972, secondo cui "se viene emessa fattura per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative sono indicate in misura superiore a quella reale, l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura".
In proposito, i giudici di legittimità hanno evidenziato come anche in base alla disciplina comunitaria relativa al sistema comune dell'imposta sul valore aggiunto e, precisamente, secondo il disposto dell'articolo 203 della direttiva del Consiglio 2006/112/Ce, "L'Iva è dovuta da chiunque indichi tale imposta in fattura".
La società emittente fatture per operazioni inesistenti era, quindi, tenuta al versamento dell'Iva in esse indicata, indipendentemente dall'effettivo incasso dell'imposta; così come era obbligata alla presentazione della relativa dichiarazione annuale Iva.
La pronuncia è in linea con il costante orientamento, in materia, della giurisprudenza di legittimità, in base al quale il citato articolo 21, comma 7, del Dpr 633/1972 va interpretato nel senso che "il corrispondente tributo, viene, in realtà, ad essere considerato "fuori conto", e la relativa obbligazione, conseguentemente, "isolata" da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione (tra Iva "a valle" ed Iva "a monte") che presiede alla detrazione d'imposta…" (cfr Cassazione, sentenze 21952/2007, 4247/2007, 1950/2007, 7289/2001).
Per la Suprema corte, pertanto, l'Iva a debito indicata nella fattura emessa per un'operazione mai posta in essere impone il pagamento della corrispondente imposta da parte del soggetto passivo Iva (di colui, cioè, che emette la fattura) conformemente al principio di cartolarità o formalità dell'imposta sul valore aggiunto, secondo cui per il solo fatto della sua emissione, la fattura è titolo di credito. E' evidente, infatti, che se il legislatore non avesse dettato la disposizione contenuta nell'articolo 21, comma 7, che non ha natura sanzionatoria, il soggetto che avesse emesso fatture per operazione inesistenti e a cui fosse stato richiesto del pagamento della corrispondente imposta, avrebbe potuto agevolmente contestare il fondamento della pretesa, la sussistenza del debito d'imposta, proprio sulla base della carenza del normale presupposto impositivo, e cioè della effettuazione dell'operazione (cfr sul punto Cassazione, sentenza 7289/2001).
Giova ribadire, infine, che, secondo il citato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la fattura relativa all'operazione inesistente non consente al "falso" acquirente la detrazione dell'imposta assolta sull'acquisto, secondo il tipico meccanismo di funzionamento dell'Iva. In quanto fondata su un'operazione fraudolenta, l'eventuale detrazione dell'imposta assolta dall'acquirente, se operata, sarebbe, difatti, illegittima considerato che la disciplina Iva prevede la detrazione dell'imposta effettivamente assolta o dovuta sugli acquisti (cfr Cassazione sentenze 7289/2001, 14337/2002).
Fonte: Agenzia Entrate
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