La ratio della disposizione che proroga gli ordinari termini previsti per l'esercizio del potere di accertamento da parte dell'Amministrazione finanziaria non ha natura punitiva bensì consente una migliore organizzazione del lavoro degli uffici in vista dell'esame delle istanze di definizione, per evitare possibili ritardi e disservizi dell'ordinario disbrigo delle pratiche. Pertanto, non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 10 della legge 289/2002, sollevata in riferimento agli articoli 3, 24 e 97 della Costituzione.

A tali conclusioni è pervenuta la Corte costituzionale con la sentenza n. 356/2008.

La controversia

In due differenti giudizi, riguardanti l'impugnazione di avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi, dell'Irap e dell'Iva, le Commissioni tributarie provinciali di Frosinone (sentenza 120/2008) e di Cosenza (sentenza 124/2008) avevano sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 97 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 10 della legge 289/2002, norma che prevede la proroga di due anni dei termini di decadenza per la notificazione degli avvisi di accertamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, nei confronti dei contribuenti che non si erano avvalsi delle agevolazioni fiscali previste dagli articoli da 7 a 9 della stessa legge 289/2002.

Per i giudici, in primis, tale disposizione determinava la violazione dell'articolo 3 della Costituzione sulla base di due differenti ragioni:

la proroga dei termini per l'accertamento presenterebbe un carattere "punitivo" nei confronti del contribuente che sceglie, pur potendo, di non avvalersi del condono

il contribuente sottoposto ad amministrazione straordinaria, ai sensi del Dlgs 270/1999, non può accedere, anche volendo, al condono se l'Amministrazione finanziaria non ha provveduto a insinuare il proprio credito tributario nello stato passivo della procedura.

In sostanza, secondo la Ctp di Frosinone, il richiamato articolo 10 avrebbe determinato un'irragionevole disparità di trattamento (violando conseguentemente il principio di uguaglianza) "tra chi, avvalendosi del "condono", può accedere al meccanismo "premiale" previsto dalla legge n. 289 del 2002 e chi invece, non potendovi aderire per il fatto del terzo - cioè dell'amministrazione finanziaria che non ha insinuato il proprio credito tributario nello stato passivo della procedura subisce soltanto il meccanismo "punitivo" della proroga dei termini per l'accertamento". Per cui l'art. 10 aveva previsto un'irragionevole identica proroga dei termini decadenziali riguardo a situazioni differenti: da un lato, la situazione di chi sceglie di non avvalersi del condono, potendosene avvalere, e, dall'altro, quella di chi non si avvale del condono, non avendo la possibilità giuridica di avvalersene".

Entrambe le Ctp denunciavano, altresì, la violazione dell'articolo 24 della Costituzione perché la suddetta disposizione, omettendo di indicare che i termini (articolo 43 del Dpr 600/73) non erano prorogati per i contribuenti che non potevano accedere al beneficio del condono, assoggettava a un termine indefinito il cittadino all'azione di accertamento dell'Amministrazione finanziaria.

I giudici affermavano, inoltre, che in violazione dell'articolo 97 della Costituzione, venivano lesi i principi di efficienza e di buon andamento della Pubblica amministrazione, nonché il dovere di leale collaborazione nei confronti degli amministrati, perché la norma prevedeva un favor per l'Amministrazione finanziaria a danno del contribuente il quale, per i motivi più vari, non si era avvalso delle suddette agevolazioni fiscali.

Un ulteriore profilo d'illegittimità costituzionale riguardava inoltre la presunta violazione dell'articolo 111 della Costituzione (questione sollevata unicamente dalla Ctp di Frosinone).

Nei giudizi di legittimità costituzionale che si sono conseguentemente instaurati è intervenuto il presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto la declaratoria d'inammissibilità e infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici tributari.

La decisione della Corte costituzionale

Riuniti i giudizi di legittimità per l'identità della disposizione denunciata e l'analogia delle censure prospettate, la Corte costituzionale, con la sentenza 356/2008, ha dichiarato infondate (con riferimento agli articoli 3, 24 e 97) e inammissibile (riguardo all'articolo 111) le questioni di legittimità sollevate.

In relazione alla presunta violazione dell'articolo 3, la Consulta ha, infatti, evidenziato che la proroga disposta dalla norma censurata non ha la finalità di "punire" chi abbia scelto di non avvalersi del condono, "ma di ovviare al sensibile aggravio di lavoro e ai relativi rischi di disservizio e di mancato rispetto degli ordinari termini di prescrizione e di decadenza della pretesa fiscale, che prevedibilmente derivano agli uffici finanziari dalla necessità di eseguire le operazioni di verifica conseguenti alla presentazione delle richieste di condono dei contribuenti".

Il meccanismo di proroga è, in sostanza, finalizzato a tutelare il preminente interesse dell'Amministrazione finanziaria al regolare accertamento e riscossione delle imposte nei confronti del contribuente che non si avvalga dell'agevolazione. Questo indipendentemente dalla circostanza che quest'ultimo non si sia avvalso, per qualsiasi ragione (giuridica o di fatto), della stessa agevolazione (cfr Corte costituzionale, sentenza 375/2002 - con riferimento all'articolo 57, comma 2, legge 413/91, norma di analogo tenore - e "Condono, proroga dei termini sotto attacco", di Giovambattista Palumbo, su FISCOoggi del 21/08/2008 ).

Né può ritenersi violato l'articolo 3, con riguardo al contribuente sottoposto ad amministrazione straordinaria, in quanto "la legge n. 289 del 2002 e la correlativa prassi attuativa (circolare dell'Agenzia delle entrate n. 12/E del 21 febbraio 2003) non escludono che il commissario dell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza possa avvalersi delle disposizioni agevolative sopra citate, previa acquisizione del parere del comitato di sorveglianza e con l'autorizzazione dell'autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione".

La circostanza che l'Amministrazione finanziaria non abbia provveduto a insinuare il proprio credito tributario nello stato passivo della procedura non costituisce, infatti, un ostacolo alla possibilità per l'imprenditore sottoposto ad amministrazione straordinaria di aderire al condono.

Con riferimento alla sospetta violazione dell'articolo 97, la Consulta ha, invece, osservato che la norma censurata non determina alcuna violazione del principio d'imparzialità e di buon andamento che deve informare il modus agendi della PA.

La proroga prevista dall'articolo 10 infatti presenta l'innegabile vantaggio di mettere la Pubblica amministrazione in grado di far valere, nei confronti di tutti contribuenti e in condizioni di uguaglianza, le pretese del fisco e non comporta, quindi, alcuna lesione del principio di imparzialità, trovando la propria ragione nel tentativo di evitare i disservizi conseguenti all'aggravio di lavoro imposto dall'applicazione del condono.

Pertanto, oltre a non violare il principio di efficienza della PA, la norma può ritenersi ispirata proprio a quei valori costituzionali, insiti nell'articolo 97 della Costituzione, che i giudici avevano ritenuto violati dal legislatore.

Parimenti infondata è stata, inoltre, considerata la presunta violazione dell'articolo 24, non determinandosi alcuna lesione del diritto di difesa del contribuente, assoggettandolo a un termine indefinito all'azione accertativa dell'Amministrazione, poiché la disposizione denunciata fissa eccezionalmente una proroga limitata a un biennio dei termini previsti per la notificazione degli avvisi di accertamento relativi unicamente ad alcuni anni d'imposta e, perciò, non può mai comportare l'assoggettamento del contribuente all'azione di accertamento per un tempo indefinito.

Ulteriori considerazioni vanno fatte, infine, con riguardo al presunto contrasto dell'articolo 10 della legge 289/2002 con l'articolo 111 della Costituzione (principio del giusto processo), sollevata dalla Ctp di Frosinone.

La questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta manifestamente inammissibile, poiché il giudice tributario non aveva articolato alcuna censura specifica, essendosi limitato ad affermare, senza motivarla, l'illegittimità costituzionale della disposizione censurata. Ciò determina, secondo la Consulta, in base al consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte costituzionale, la declaratoria di manifesta inammissibilità della questione (cfr ordinanze nn. 72/2007, 311 e 414 del 2005).


Fonte: Agenzia Entrate

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