Il fatto

A seguito di una verifica condotta nei confronti di una casa di riposo per l'accoglimento di anziani benestanti, l'agenzia delle Entrate emetteva un atto di cancellazione della fondazione dall'Anagrafe unica delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale essendo emersa, nel corso dell'attività istruttoria, la mancanza della condizione del perseguimento esclusivo delle finalità di solidarietà sociale, espressamente prevista all'articolo 10, comma 1, lettera b) del Dlgs 460/1997.

La constatazione dell'ufficio traeva origine dal fatto che i fruitori dei servizi socio-assistenziali erogati dalla casa di cura erano tenuti al pagamento di una quota per il loro mantenimento, talvolta di valore cospicuo, senza alcun ausilio pubblico e che gli utili realizzati dalla fondazione non erano in alcun modo impiegati per l'abbattimento del costo delle rette: da ciò discendeva, secondo le Entrate, che coloro i quali usufruivano dell'ospitalità della struttura erano persone abbienti. Questa conclusione faceva cadere il fine solidaristico dell'ente, unitamente al fatto che i profitti non erano usati a favore degli ospiti: in altri termini, a parere della parte resistente, il fine di solidarietà sociale si intende realizzato solo se perseguito nei confronti di persone che versano in condizione di svantaggio economico. Avverso il provvedimento di cancellazione, la fondazione presentava ricorso, respinto in primo grado dinanzi alla Commissione provinciale di Bologna, ma accolto in sede di appello.

La sentenza

A parere dei giudici di legittimità, la tesi avanzata dall'Amministrazione fiscale è in contrasto con il tenore letterale delle disposizioni contenute nel Dlgs 460/1997, recante norme sul "Riordino della disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale".

In primo luogo, l'articolo 1, comma 2, lettera a), precisa che il perseguimento delle finalità di solidarietà sociale si realizza allorquando le cessioni di beni o le prestazioni di servizi sono dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di "condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali e familiari". Pertanto, le attività di una Onlus si possono considerare rientranti tra quelle previste dalla norma anche a prescindere dalla sussistenza di una situazione di svantaggio di natura esclusivamente economica: questo è solo uno degli aspetti, alternativi tra di loro, previsti dal legislatore.

Inoltre, il dato di fatto per cui le prestazioni vengano fornite dietro il pagamento di un corrispettivo interamente gravante sull'ospite della struttura, non esclude di per sé il fine sociale dell'organizzazione, a condizione del permanere delle prescrizioni di legge espressamente previste dall'articolo 10 del Dlgs 460 (sia di natura formale che sostanziale), oltre al divieto assoluto di distribuzione dei profitti.

In merito alla realizzazione di utili o di un avanzo di gestione, essa non fa venir meno de plano la condizione di attività a scopo sociale svolta dall'ente. Infatti, allorquando il legislatore dispone il divieto assoluto di distribuzione, anche in via indiretta, degli utili o dell'avanzo di gestione e l'obbligo di impiegare gli stessi nella realizzazione delle attività istituzionali o di quelle a esse direttamente connesse (cfr articolo 10, comma 1, lett. d) ed e), Dlgs 460/1997), implicitamente prevede la legittima eventualità che la fondazione possa realizzare un risultato positivo della gestione.

L'aspetto fondamentale della controversia, sulla base del quale la Corte di cassazione ha poi deciso in favore del contribuente accertato, non è il perseguimento di un utile o di un avanzo di gestione da parte dell'organizzazione non lucrativa, bensì l'indebito utilizzo dello stesso per finalità estranee al fine solidaristico: l'onere della prova ricadeva sull'ufficio finanziario, attore in senso sostanziale nel giudizio.


Fonte: Agenzia Entrate

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