La lotta all’evasione potrebbe passare anche attraverso la possibilità (o l’obbligo) per i Comuni di pubblicare i redditi dichiarati dai cittadini, al fine di realizzare una sorta di “controllo sociale della fedeltà fiscale”, per spingere tutti a presentare dichiarazioni il più possibile vicine alla propria realtà economica.
La notizia suscita un certo interesse, anche alla luce di quanto avvenne nel 2008, allorquando l’Agenzia pubblicò sul proprio sito Internet le dichiarazioni relative all’anno 2005, provocando in quel frangente numerose proteste ed il rilievo del Garante della privacy, che decise di chiedere formalmente specifiche delucidazioni all'Agenzia delle Entrate, invitandola a sospendere, nel frattempo, la diffusione dei dati. A seguito delle polemiche che ne seguirono, vennero modificate le disposizioni che consentono la diffusione dei dati delle dichiarazioni.

La legge attuale, dopo aver precisato che non si considera violazione del segreto d'ufficio la comunicazione dei dati contenuti nelle dichiarazioni dei redditi (art. 68, D.P.R. n. 600/1973), prevede che l’elenco nominativo dei contribuenti che hanno presentato la dichiarazione e quello dei soggetti che esercitano imprese commerciali, arti e professioni, siano depositati, con riferimento a ciascun ambito territoriale, per la durata di un anno, presso gli Uffici delle Entrate ed i Comuni interessati. In tale periodo è ammessa la visione e l'estrazione di copia degli elenchi nei modi e con i limiti stabiliti dalla disciplina in materia di accesso ai documenti amministrativi. Non si tratta, quindi, dei dati contenuti nelle dichiarazioni ma esclusivamente dell’elenco dei soggetti che hanno presentato le dichiarazioni stesse e di quelli che esercitano attività professionali o d’impresa (art. 69 dello stesso D.P.R. n. 600/1973).

Inoltre, il Ministro dell’Economia e delle finanze dispone annualmente la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti il cui reddito imponibile è stato “accertato” dagli Uffici delle Entrate. Negli elenchi deve essere specificato se gli accertamenti sono definitivi o in contestazione e devono essere indicati, in caso di rettifica, anche gli imponibili dichiarati dai contribuenti. In tali elenchi sono compresi tutti i contribuenti che non hanno presentato la dichiarazione dei redditi, nonché i contribuenti nei cui confronti sia stato accertato un maggior reddito imponibile superiore a 5.164,57 euro e al 20% del reddito dichiarato, o in ogni caso un maggior reddito imponibile superiore a 25.822,84 euro . Anche in questo caso, quindi, non si tratta degli elenchi delle dichiarazioni presentate da tutti i contribuenti, essendo la previsione di legge limitata a coloro che hanno subito accertamenti.

Da quanto sopra emerge, dunque, che ai fini della pubblicazione via internet dei redditi dichiarati dai singoli contribuenti è necessario un espresso intervento legislativo, che eventualmente tenga conto delle norme in materia di privacy, considerato che i dati fiscali, pur non “sensibili”, sono certamente dati personali e che taluni dati contenuti nelle dichiarazioni sono dati “sensibili”, secondo il vigente codice in materia di privacy.

La norma, ove venisse approvata, non mancherà certamente di provocare polemiche, per cui appare utile riflettere circa la sua utilità ai fini antievasivi; è infatti, ovvio che, ove una tale utilità mancasse, non sarebbe politicamente conveniente proporne l’approvazione.

La questione è molto complessa, perché una efficace strategia contro l’evasione fiscale non si costruisce in un batter di decreto e richiede, invece, un esame molto approfondito e, soprattutto, tecnico. “Non è urlando «pace!» che la si ottiene”, diceva qualche anno orsono Napoleone. Così è per la lotta all’evasione.

Ciò che in questa sede può evidenziarsi è che una strategia antievasiva funzionale dovrebbe prevedere anche disposizioni non strettamente fiscali, finalizzate a rendere più complicata la vita degli evasori (è noto, oramai, che gli accertamenti da soli non sono sufficienti a combattere il fenomeno). Una di queste potrebbe anche essere la pubblicazione dei redditi dichiarati da ciascun contribuente, allo scopo di rendere pubblici i “vizi privati”, cioè di far sapere a tutti il reddito dichiarato, rispetto al tenore di vita esibito.

E’, infatti, ormai maturata nella gran parte dell’opinione pubblica la convinzione che l’evasione fiscale sia riprovevole, se non altro perché essa, al pari della corruzione, peggiora la qualità dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione per diminuzione delle uscite, vanifica la redistribuzione del reddito, crea fenomeni di sperequazione sociale, falsa la concorrenza tra soggetti economici.

E’, però, pure certo che previsioni a spot, prive di una strategia complessiva e lungimirante, sono destinate alla sterilità e, quindi, al loro fallimento nel breve volgere di qualche stagione: un bravo “centrale”, da solo, non sistema una difesa sgangherata.

In pratica, bisognerà individuare idee nuove, come a esempio questa sulla pubblicazione dei redditi dichiarati. Tali soluzioni, tuttavia, non vanno mai progettate in modo isolato, ma debbono piuttosto inserirsi in un’architettura di sistema organica, fatta di norme fiscali (e non solo fiscali) capaci nel loro insieme di canalizzare il potenziale evasore verso un adempimento totale che deve essere (ma soprattutto apparire a lui) ineludibile e conveniente al tempo stesso.

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