Con la sentenza 25374 del 17 ottobre 2008, la Corte di cassazione ha deciso su una controversia in merito alla quale aveva avanzato in via pregiudiziale un'ordinanza alla Corte di giustizia europea, ritenendo che la decisione della causa presupponesse la risoluzione di questioni d'interpretazione del diritto comunitario (vedi La Cassazione chiede lumi sull'abuso di diritto di Marcello Chiorazzi, su Fiscooggi del 24/11/2006).

A seguito di una verifica fiscale condotta per il periodo d'imposta 1987 nei confronti della società X Spa, la Guardia di finanza aveva paventato l'ipotesi di condotta abusiva, posta in essere dalla verificata unitamente a una società di leasing facente parte dello stesso gruppo societario, la Y Sas, finalizzata alla contrazione della base imponibile ai fini Iva.

Più nel dettaglio, la società X stipulava con terzi dei contratti di assicurazione su autoveicoli per responsabilità diversa da quella civile e, nel contempo, garantiva con fideiussione illimitata l'adempimento degli obblighi assunti dal terzo utilizzatore nei confronti di Y, con cui quest'ultimo aveva contratto un leasing finanziario sulla stessa vettura assicurata.

Il corrispettivo pagato dall'utilizzatore a X per i servizi assicurativi e di garanzia, fatturato in esenzione Iva ai sensi dell'articolo 10 del Dpr 633/1972, aveva come effetto pattuito quello di ridurre il corrispettivo globale della locazione finanziaria, di modo che i canoni di leasing complessivamente dovuti ammontassero a poco più del costo d'acquisto dell'autovettura. Il ricavo di Y era integrato da una provvigione a titolo di intermediazione corrisposta dalla stessa X Spa sulla base di un'apposita convezione.

A parere dell'organo verificatore, l'originaria operazione di leasing era stata scomposta in maniera innaturale in un'operazione di leasing finanziario, gestita da Y, e in una di finanziamento e di garanzia, affidata a X, facente parte del medesimo gruppo societario della prima: l'effetto era il conseguimento di un vantaggio fiscale rappresentato dalla compressione della base imponibile Iva dovuta al regime di esenzione previsto per le prestazioni finanziarie.

La tesi dell'Amministrazione finanziaria si fondava sul dato di fatto per cui l'operazione considerata nel suo complesso era da considerarsi unitaria, e ciò quand'anche i negozi giuridici posti in essere dai soggetti interessati fossero formalmente distinti, in quanto inscindibilmente connessi: pertanto, il frazionamento aveva un carattere meramente artificioso, non avendo alcun valido motivo economico se non quello del risparmio d'imposta.

Sia in primo che in secondo grado il giudice di merito aveva rigettato le tesi dell'ufficio finanziario motivando la decisione, in primo luogo, sulla base del principio per cui l'Amministrazione finanziaria non avrebbe potuto disattendere la disciplina contrattuale basandosi esclusivamente sugli effetti economici concreti dell'operazione (così la Ctp di Modena); inoltre, solo in casi eccezionali e tassativamente previsti dalla normativa tributaria, il Fisco avrebbe potuto disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in determinate operazioni, ma solo se le stesse fossero state poste in essere senza valide ragioni economiche e all'esclusivo scopo di realizzare fraudolentemente un risparmio d'imposta (così la Ctr di Bologna).

L'Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso in Cassazione.

Le questioni pregiudiziali

Come accennato sopra, la Corte di cassazione ha rimesso la decisione della controversia previo rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea ai sensi dell'articolo 234 del trattato Ce.

In merito ai quesiti posti, la Corte di giustizia rispondeva - con la nota sentenza Halifax - che l'esistenza della pratica abusiva può essere riconosciuta quando il perseguimento del vantaggio fiscale costituisce lo scopo essenziale, ancorché non unico, dell'operazione o delle operazioni valutate. Inoltre, spetta al giudice nazionale valutare se, in presenza di più prestazioni, le stesse debbano essere considerate come un'operazione unica.

In tal senso, l'unicità dell'operazione si realizza quando le prestazioni non sono tra di loro indipendenti, e ciò accade nel caso sia ravvisabile un nesso di accessorietà tra le stesse: in altri termini, più operazioni, apparentemente e formalmente indipendenti, possono essere considerate accessorie l'una all'altra quando la prestazione medesima non costituisce per il consumatore un fine a sé stante, bensì il mezzo per fruire delle migliori condizioni del servizio principale offerto dal prestatore.

E' compito del giudice nazionale valutare, altresì, la sussistenza di un'operazione unica al di là della struttura contrattuale: tale analisi deve essere compiuta attraverso la ricerca di indizi rivelatori di una pratica abusiva.

Alla luce delle direttive tracciate dalla Corte di giustizia, la Suprema corte ha accolto la tesi dell'ufficio, ritenendo il complesso negoziale posto in essere dalla società accertata quale forma di abuso del diritto, i cui effetti sono inopponibili all'Amministrazione fiscale: il carattere di unicità e accessorietà è stato individuato nell'innaturale frazionamento dell'intera operazione, circostanza che i giudici di primo e secondo grado avevano invece considerato come legittimo esercizio della libertà negoziale.

La nozione di abuso e l'inquadramento nell'ordinamento nazionale

La Corte ha compiuto un importante sforzo interpretativo per fornire una nozione unitaria del principio (di derivazione comunitaria) dell'abuso del diritto, che possa rappresentare un giusto equilibrio tra le esigenze di gettito erariale e la tutela della libertà contrattuale degli operatori economici, fornendo al contempo importanti precisazioni.

In primo luogo, pur consapevoli del vuoto normativo interno in materia di abuso del diritto, i giudici supremi ritengono legittima la sua applicazione nell'ambito dell'ordinamento nazionale anche al di fuori dei tributi "armonizzati" o "comunitari" quali, ad esempio, l'Iva o i diritti doganali, in virtù della derivazione comunitaria del principio stesso. Sull'argomento, la Corte richiama il principio generale per cui gli Stati membri sono vincolati al rispetto dei diritti e dei principi fondamentali dell'ordinamento comunitario. L'esistenza di un principio generale di divieto dell'esercizio di pratiche abusive deve trascendere non solo l'area dei tributi "armonizzati", ma addirittura l'intera materia tributaria, comportandone l'applicazione anche nell'ambito dell'imposizione diretta, seppur la competenza a legiferare in materia sia del singolo Stato membro nell'ambito della propria autonomia legislativa.

A parere dei giudici della Suprema corte, appare di notevole rilievo il fatto che in diversi ordinamenti, anche estranei all'Unione europea, il principio del contrasto a pratiche abusive venga oramai riconosciuto e tutelato, tanto da definire il "contrasto all'abuso del diritto in materia fiscale come vera e propria espressione di civiltà giuridica".

In tal senso, la sentenza in commento richiama l'esperienza della Svizzera, la cui Corte suprema ha riconosciuto il divieto dell'abuso del diritto in ambito fiscale ("look through clause"), della Francia, degli Stati Uniti d'America e dell'Irlanda.

Di particolare rilievo appare l'esempio della Germania, la cui legge federale fiscale prevede espressamente l'inopponibilità all'Amministrazione finanziaria delle "forme giuridiche abusive": la norma in oggetto è stata resa ancor più rigorosa attraverso le modifiche introdotte dalla Finanziaria 2008, che definisce l'abuso di forme giuridiche come l'impiego di forme "non usuali", ponendo a carico del contribuente l'onere di dimostrare la valida giustificazione economica del suo comportamento.

La Corte ha fornito importanti spunti di riflessione in merito a uno degli aspetti più controversi che connotano l'abuso del diritto, ossia l'inquadramento dello stesso nell'ambito della libertà contrattuale degli operatori economici, specie se operanti nell'ambito della Comunità europea, in cui vige il pieno riconoscimento dei diritti fondamentali, quali quello della libera circolazione dei capitali e di servizi e quello di stabilimento.

A riguardo, se da un lato la libertà di scegliere le forme contrattuali o i modelli organizzativi meno onerosi dal lato fiscale trova pieno riconoscimento e tutela nell'ordinamento comunitario, dall'altro non può essere in alcun modo consentito o garantito l'esercizio abusivo di tali libertà e diritti.

Quindi "le pratiche abusive, consistenti nell'impiego di una forma giuridica o di un regolamento contrattuale al principale scopo di realizzare un risparmio d'imposta, qualunque sia il tributo in questione consistono, inevitabilmente, in un abuso di diritti fondamentali garantiti dall'ordinamento comunitario e, pertanto, assumono rilievo normativo primario in tale ordinamento".

La sentenza pone anche l'accento sul ruolo primario che grava sull'Amministrazione finanziaria in tema di applicazione del principio. Seppur spetti al giudice nazionale valutare se si è in presenza di una pratica abusiva, e ciò anche d'ufficio trattandosi dell'applicazione di un principio generale del diritto comunitario, incombe pur sempre sull'Amministrazione finanziaria l'onere di individuare l'impiego abusivo di una certa forma giuridica.

L'abuso del diritto, infatti, costituisce un mezzo di contrasto all'elusione fiscale, e ha il carattere di uno strumento di accertamento semplificato che gli uffici fiscali devono utilizzare al pari di altri meccanismi presuntivi: la figura dell'abuso si affianca, pertanto, ai fenomeni di frode e della simulazione, costituendo un terzo genere a sé stante.

Al contempo, la Suprema corte ammonisce gli uffici impositori sui casi di uso inappropriato del principio dell'abuso.

Ciò significa che, nel caso di contestazione da parte degli uffici di fenomeni di abuso del diritto, non sarebbe assolutamente consentito limitarsi a una semplice e generica affermazione, in quanto l'Amministrazione deve sempre individuare e precisare, sulla base di indizi certi e obiettivi, gli aspetti e le particolarità che fanno ritenere l'operazione controllata priva di un reale contenuto economico diverso dal risparmio d'imposta: d'altra parte si tratta di applicare la medesima regola contenuta nell'articolo 37-bis del Dpr 600/1973.

I giudici ribadiscono quello che è un postulato fondamentale nella materia che ci occupa, ossia che l'impiego di forme contrattuali e organizzative che garantiscano un minor carico fiscale agli operatori economici costituisce esercizio della libertà d'impresa e di iniziativa economica.

Pertanto, l'approccio dell'Amministrazione deve essere necessariamente "pragmatico", in quanto la realtà economica e finanziaria in cui i soggetti economici si trovano a operare, così dinamica e mutevole, costituisce terreno fertile per il proliferare e l'evolversi di nuove forme di strumenti giuridici, anche non strettamente "legate ad una logica di profitto della singola impresa".

Il collegio giudicante ritiene che l'attività di un'impresa sia spinta anche da obiettivi ed esigenze diverse dall'immediata realizzazione del profitto, soprattutto nel caso in cui operi in contesti più ampi e complessi, quali i gruppi d'impresa.

Affinché sia possibile ravvisare un fenomeno di abuso è necessario, pertanto, allargare gli orizzonti dell'indagine, fermo restando che il soggetto che ha utilizzato forme negoziali "inusuali" sia sempre posto in grado di dimostrare l'esistenza "di seri (e non meramente ipotetici o marginali) contenuti economici".


Fonte: Agenzia Entrate

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