A seguito di plurime violazioni dell’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000, è legittimo il sequestro preventivo nei confronti dell’unico socio di una società per azioni ammessa al concordato preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente dei beni mobili e immobili nella sua disponibilità.
Lo ha affermato la Corte di cassazione, con la sentenza 34110/2014.

Il fatto
Nel novembre 2013, il Gip del tribunale di La Spezia ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni del signor X per il valore di 795.322 euro, in relazione a plurime violazioni dell’articolo 10-bis del Dlgs 74/2000. In qualità di sostituto d’imposta, infatti, il legale rappresentante di una società per azioni aveva omesso di versare, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale del sostituto (il 30 settembre), le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai lavoratori dipendenti, per importi superiori a 50mila euro per ciascuno degli anni di imposta 2010 e 2011.

Con ordinanza, il tribunale del riesame ha erroneamente disposto il dissequestro, rilevando che i beni personali del ricorrente erano stati già messi a disposizione della procedura per tutelare le ragioni dei creditori, compreso l’erario, in relazione al debito di imposta oggetto del procedimento. In ogni caso, essi non potevano ritenersi confiscabili, se non con violazione del principio della par condicio creditorum. Né sussisteva il periculum in mora.

Il pubblico ministero ha impugnato il provvedimento per cassazione, denunziando la violazione dell’articolo 1, comma 143, legge 244/2007, e degli articoli 322-ter del codice penale e 321, comma 2, del codice di procedura penale.
In particolare, dopo avere sottolineato la natura sanzionatoria della confisca per equivalente, il ricorrente, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, ha sostenuto che:

l’ammissione alla procedura di concordato preventivo non aveva alcuna rilevanza ai fini della confisca
appariva improprio il richiamo al principio della par condicio creditorum, trattandosi di istituti che operano su piani del tutto diversi (sul piano sanzionatorio, la confisca; su quello di tutela dei creditori, il concordato)
l’assoggettabilità a confisca dei beni personali rendeva attuale anche il periculum in mora.

La Corte ha annullato il provvedimento impugnato e ha affermato che il sequestro risulta correttamente disposto “ex art. 1, c. 143, l. n. 244/07, in base al quale ‘nei casi di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11, si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni di cui all'art. 322-ter c.p.’ ”.

Osservazioni
La Cassazione è stata chiamata a verificare se l’omologazione del concordato preventivo debba essere ritenuta ostativa al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente. I giudici di piazza Cavour, rispondendo negativamente al quesito, hanno richiamato il proprio orientamento consolidato sul punto, secondo il quale, in tema di reati tributari, la presentazione di una proposta di concordato preventivo e la sua omologazione da parte del tribunale non fa venir meno la responsabilità dell’amministratore della società che non ha versato quanto dovuto all’erario. Proprio sulla base di tale responsabilità, è legittimo il provvedimento di sequestro dei beni mobili e immobili nella disponibilità dell’unico socio dell’ente, ammesso al concordato preventivo (Cassazione, sentenze 39101/2013 e 13996/2012) appena tre giorni dopo l’emissione del citato provvedimento.

La presentazione di una proposta concordataria, la sua approvazione e omologazione non elidono la responsabilità penale del socio unico che non ha versato quanto dovuto.
Ciò in quanto il concordato preventivo, domandato dalla società rappresentata, non ha nessun effetto ostativo rispetto alla misura cautelare reale sia in relazione allo “spossessamento attenuato”, sia in materia di controllo sull’accordo tra creditori e richiedente il concordato. La società debitrice ammessa alla procedura, infatti, subisce uno “spossessamento attenuato”, in quanto, oltre alla proprietà, conserva anche l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato (Cassazione, sentenze 13996/2012 e 4728/2008).
Del resto, il concordato preventivo è suscettibile di risoluzione per inadempimento e può anche essere successivamente revocato, con travolgimento di qualsiasi ipotesi di accordo iniziale con i creditori (ad esempio, nel caso di accertamento della dissimulazione di parte dell’attivo, di omessa denuncia dolosa di uno o più crediti o di esposizione di passività inesistenti). Senza poter opporre, a garanzia dell’adempimento, l’intervenuta omologazione da parte del tribunale e, quindi, nella fattispecie al vaglio della Corte, con evidente pregiudizio a danno dell’erario.

I giudici di legittimità, inoltre, hanno chiarito che “nel perimetro di controllo (di legittimità anche sostanziale) demandato al Tribunale non rientra il potere-dovere di accertare la fattibilità dell’accordo intervenuto tra il debitore proponente ed i creditori” (Cassazione, sentenze 18987/2011 e 13996/2012), in quanto essi, se informati, sin dall’inizio e durante le fasi successive, in modo veritiero e trasparente sulla situazione aziendale e sulle ragioni di sostegno del piano concordatario, ben possono accordare a quest’ultimo preferenza, rispetto alla liquidazione concorsuale.
Il concordato, infatti, è la procedura attraverso la quale l’imprenditore ricerca un accordo con i suoi creditori per non essere dichiarato fallito e per superare la crisi o lo stato di insolvenza in cui versa l’impresa.

Chiarito che non sussiste alcuna interazione tra la sentenza di omologazione del concordato e il sequestro preventivo disposto sui beni del socio unico, il giudice del rinvio dovrà procedere a nuovo esame, tenendo conto dei principi di diritto enunciati.


Fonte: Agenzia Entrate

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