Nell'ordinanza 16983 del 4 agosto, la Cassazione torna a occuparsi della motivazione della cartella di pagamento, e afferma che la stessa non è necessaria allorquando la pretesa impositiva scaturisca - ai sensi dell'articolo 36/bis del Dpr 600/1973, per le imposte dirette e 54/bis del Dpr 633/1972, in materia di Iva - direttamente dalla liquidazione della dichiarazione presentata dal contribuente.

La vicenda nasce dal ricorso in Cassazione proposto dall'Agenzia contro una sentenza della Ctr Lazio che, nel respingere l'appello dell'Erario, aveva ritenuto illegittima la cartella di pagamento - emessa a seguito del controllo automatizzato effettuato ai sensi dei richiamati articoli 36/bis e 54/bis - in quanto priva di motivazione.

L'Amministrazione ricorrente lamenta la violazione dell'articolo 7 della legge 212/2000 (statuto dei diritti del contribuente) che prescrive la chiarezza e la motivazione degli atti tributari secondo la disciplina normativa contenuta nella legge 241/1990.
In particolare, secondo l'Ufficio finanziario il giudice di appello ha erroneamente ritenuto la cartella illegittima per difetto di motivazione e non ha considerato che l'atto impositivo in questione era stato adottato ai sensi del richiamato articolo 36-bis, ossia non a seguito di rettifica della dichiarazione della contribuente ma, al contrario, sulla base degli elementi indicati nella dichiarazione stessa.
La Corte suprema accoglie il ricorso sulla base di un orientamento oramai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr, Cassazione 26671/2009 e 14414/2005), secondo cui, in materia di riscossione delle imposte sul reddito, la cartella di pagamento emessa ai sensi dell'articolo 36-bis, in via generale, deve essere motivata in quanto la stessa rappresenta l'atto con il quale il contribuente viene a conoscenza per la prima volta della pretesa fiscale.

Tuttavia, la motivazione non è necessaria nelle ipotesi di mera liquidazione dell'imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo nella propria dichiarazione (nonché qualora vengano richiesti interessi e sovrattasse per ritardato od omesso pagamento), trattandosi di fattispecie per le quali il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con la conseguenza che l'onere di motivazione può considerarsi assolto dall'Ufficio mediante il semplice rinvio alla dichiarazione.

In buona sostanza, secondo l'interpretazione dei giudici di legittimità, solo quando l'attività di liquidazione delle imposte, effettuata ai sensi dei citati articoli 36-bis e 54-bis, "…non si sovrapponga alla dichiarazione del contribuente, ma si risolva in una rettifica dei risultati della dichiarazione stessa, così da comportare una pretesa ulteriore da parte dell'amministrazione finanziaria, si è in presenza di un'attività impositiva vera e propria, con la conseguenza che la relativa cartella esattoriale va motivata come l'avviso di accertamento, ossia deve contenere tutte le indicazioni idonee a consentire al contribuente di apprestare un'efficace difesa".
Di contro, tale obbligo non sussiste allorquando, come nel caso di specie "…la liquidazione avvenga sulla base degli elementi fomiti dalla stessa dichiarazione della contribuente, provenienza che poneva evidentemente l'Ufficio nella condizione di formulare la propria richiesta in forza del semplice richiamo alla dichiarazione, senza necessità di indicare i fatti costitutivi dell'obbligazione fiscale".

Considerazioni finali
La sentenza in commento si inserisce nel solco di una giurisprudenza di legittimità, che ha da tempo stabilito, con orientamento pressoché unanime e consolidato, che anche la cartella di pagamento, come ogni altro atto impositivo, deve recare una chiara motivazione del perché vengono chieste determinate somme al soggetto passivo del tributo, con l'eccezione della pretesa impositiva scaturente dalla liquidazione ex articolo 36-bis del DPR n. 600 del 1973 (cfr., Cassazione, sentenza n. 10033 del 2011; n. 17396 del 2010).

Nello specifico, il citato articolo 36-bis, comma 1, testualmente dispone che "Avvalendosi di procedure automatizzate, l'amministrazione finanziaria procede, entro l'inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all'anno successivo, alla liquidazione delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti, nonché dei rimborsi spettanti in base alle dichiarazioni presentate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta".

Al riguardo, è opportuno ricordare che, in tema di applicazione delle procedure di controllo automatico previste dal citato articolo 36-bis, la Consulta, con l'ordinanza 430/1988, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 36-bis per violazione degli articoli 3, 24, 53 e 113 della Costituzione, in quanto consentirebbe all'Amministrazione finanziaria di rideterminare maggiori redditi imponibili senza le cautele procedimentali (rectius, l'obbligo di motivazione), previste per gli avvisi di accertamento d'ufficio o in rettifica.

In proposito, la Corte costituzionale ha evidenziato che la procedura di liquidazione, prevista dall'articolo 36-bis, è operata sulla base delle dichiarazioni presentate mediante un mero riscontro cartolare, nei casi eccezionali e tassativamente indicati dalla legge, vertenti su errori materiali e di calcolo immediatamente rilevabili (senza la necessità quindi di alcuna istruttoria), che l'Amministrazione finanziaria ha il potere/dovere di correggere anche a vantaggio del contribuente stesso.

In altri termini, la mancanza di ogni valutazione giuridica rende razionale la disposizione, senza pregiudicare il diritto di difesa del contribuente, in quanto differenzia tale eccezionale ipotesi da quella ordinaria, che necessita di un atto di accertamento contenente un'esplicita motivazione.

Tale procedura è applicabile - nei casi tassativamente previsti dalla norma - laddove venga rilevato un errore materiale o di calcolo manifestamente evidente, ovvero risultino vizi di forma nella compilazione della dichiarazione o, ancora, emergano indicazioni oggettivamente contraddittorie.

Si tratta, come è evidente, di vizi e irregolarità intrinseci alla dichiarazione del contribuente, rilevabili "ictu oculi" a seguito di un mero riscontro cartolare delle dichiarazioni presentate, senza necessità di alcuna istruttoria e correggibili dall'Amministrazione anche a vantaggio del contribuente.
Tale principio non vale, "allorché sia, invece, necessaria un'indagine interpretativa della documentazione allegata, ovvero una valutazione giuridica della norma applicata,…occorrendo in tali casi un atto d'accertamento esplicitamente motivato, il quale soltanto è idoneo a rendere edotto il contribuente del processo logico-giuridico seguito dall'Amministrazione nella diversa determinazione dell'imponibile" (cfr Cassazione, sentenza 9224/2011).


Fonte: Agenzia Entrate

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