Con la sentenza 22 settembre 2006, n. 20540, la sezione tributaria della Corte di cassazione ha fornito alcuni chiarimenti in ordine alla portata applicativa della disciplina contenuta nell'articolo 6, comma quinto, del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, che differisce l'esigibilità dell'imposta sul valore aggiunto al momento del pagamento del corrispettivo per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte allo Stato, agli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, agli enti pubblici territoriali e ai consorzi tra essi costituiti alle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, agli istituti universitari, alle unità sanitarie locali, agli enti ospedalieri, agli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, agli enti pubblici di assistenza e beneficenza e a quelli di previdenza.

Tale disposizione costituisce una deroga, per le operazioni effettuate nei confronti dei soggetti sopra specificati, al criterio generale previsto dalla prima parte del citato comma quinto dell'articolo 6, in base al quale l'imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti (commi dal primo al quarto).

La vertenza esaminata dai giudici di legittimità trae origine da un atto impositivo emesso per il recupero dell'imposta sul valore aggiunto, relativa a forniture di beni eseguite in favore di una fondazione proprietaria di un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico.
In particolare, l'ufficio competente non riconosceva l'annotazione delle fatture in sospensione d'imposta nel relativo registro e il conseguente differimento dell'esigibilità dell'imposta sul valore aggiunto, ai sensi del citato articolo 6, comma quinto, Dpr n. 633 del 1972.

Nel ricorso presentato innanzi alla Commissione tributaria provinciale competente, la società contribuente sosteneva che l'ospedale destinatario delle prestazioni di servizi rientrava tra i soggetti (enti ospedalieri e enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico) indicati dalla norma.
L'Amministrazione finanziaria, invece, contestava la tesi della ricorrente sul presupposto che la disposizione fa riferimento soltanto agli enti ospedalieri pubblici e non anche a quelli di diritto privato.

Nei due gradi di merito, trovava accoglimento la tesi della società contribuente, con il conseguente annullamento dell'atto impositivo.
Nel ricorso per Cassazione, l'Amministrazione finanziaria evidenziava l'erroneità delle motivazioni contenute nella sentenza emessa dei giudici della Ctr, posto che la norma speciale prima riportata non si riferisce a ogni soggetto che svolge la propria attività nel settore sanitario (come sostenuto dalla società contribuente nei due giudizi di merito), ma solo ed esclusivamente ai soggetti che svolgono l'attività istituzionale in regime di diritto pubblico.

In altri termini, come sottolineato nella sentenza in commento, il fondamento di tale deroga è costituito dalla qualità soggettiva dei cessionari e non dall'oggetto del contratto di cessione, ovvero dalla sua causa o ragione economico-sociale. La norma derogatrice, sempre secondo quanto statuito dalla Cassazione, trova sostegno nell'opportunità di porre il cedente il più possibile al riparo dei ritardi e di altri impedimenti nell'esecuzione dei pagamenti, che la normativa contabile degli enti pubblici cessionari può talvolta comportare, onde evitare che il primo debba fatturare l'operazione e pagare l'imposta relativa, fin dal momento della consegna o spedizione, mentre l'incasso del corrispettivo potrebbe intervenire a notevole distanza di tempo, ad esempio, dopo il collaudo. In tale ultimo caso, il differimento della fatturazione al momento del pagamento avrebbe lo scopo di evitare il ricorso alla fatturazione in rettifica, posta in essere a seguito della riduzione del corrispettivo per l'esito del collaudo o per il rifiuto del bene da parte dell'Amministrazione. I privati, invece, non essendo soggetti a contabilità pubblica non avrebbero ragione di essere inclusi nel novero di quelli avvantaggiati dalla previsione dell'art. 6, comma 5, della legge Iva.

L'interpretazione resa dalla Suprema corte è, d'altro canto, in linea con la relazione ministeriale al decreto istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto che, con riferimento alla disposizione in esame, specificava che per le cessioni di beni nelle quali l'Amministrazione pubblica ovvero gli Enti ospedalieri di assistenza o beneficenza intervengono in veste di acquirenti, (...) la deroga ha lo scopo di evitare che il cedente sia costretto ad anticipare, quale soggetto di diritto, un'imposta che normalmente recupererà a notevole distanza di tempo e cioè solo al momento in cui gli verranno corrisposte le somme a lui spettanti.

Inoltre, la sentenza n. 20540 del 2006 è in sintonia con la prassi dell'Amministrazione finanziaria formatasi su analoghe fattispecie.
In particolare, la risoluzione n. 159/E del 2002, resa in risposta a una istanza di interpello, formulata per conoscere il trattamento da riservare ai fini Iva delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate nei confronti di enti ecclesiastici che esercitano assistenza sanitaria, ha precisato che una conferma indiretta della particolare restrizione, operata dalla norma contenuta nel quinto comma dell'articolo 6, giunge anche dalla relazione ministeriale al Dpr 30 dicembre 1981, n. 793, recante norme correttive e integrative al decreto Iva. Nel documento si legge che non si è ritenuto di accogliere il suggerimento della Commissione tendente all'inserimento dell'ENEL tra gli enti di cui allo stesso art. 6, in quanto, trattandosi di ente pubblico svolgente normale attività economica sul mercato, si creerebbe una discriminazione a danno degli altri enti che versano in analoga situazione di moratoria nei pagamenti ai fornitori (cfr, nello stesso senso, risoluzione n. 99/E del 30 luglio 2004).

Peraltro, la Corte di cassazione motiva ulteriormente la propria interpretazione restrittiva volta ad applicare la particolare disciplina esclusivamente agli enti di diritto pubblico, sulla scorta della definizione di ente ospedaliero resa dal legislatore. Al riguardo, l'articolo 2, comma primo, della legge 2 febbraio 1968, n. 132, statuisce inequivocabilmente che sono enti ospedalieri gli enti pubblici che istituzionalmente provvedono al ricovero ed alla cura degli infermi.

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