Domanda
In caso di interruzione di gravidanza dopo il 180° giorno può la lavoratrice rinunciare al congedo di maternità e tornare volontariamente al lavoro?

Risposta
Fino al 10 agosto 2011, ai sensi dell'art. 12, comma 2, del DPR n. 1026 del 25 novembre 1976, l'interruzione della gravidanza spontanea o terapeutica, avvenuta dopo il 180° giorno dall'inizio della gestazione, era considerata parto a tutti gli effetti per cui alla lavoratrice spettavano obbligatoriamente il congedo di maternità post partum per tre mesi (INPS, circolare n. 139 del 29 luglio 2002).

Inoltre il divieto di adibizione al lavoro della lavoratrice era stato sottolineato dal Ministero del Lavoro nell'interpello n. 51/2009, in cui era stato chiarito che il veto non poteva decadere né in presenza di un'esplicita rinuncia della lavoratrice al diritto di fruire del periodo di congedo obbligatorio post partum, trattandosi di diritto indisponibile, né in presenza dell'attestazione da parte del medico curante o del medico competente dell'assenza di controindicazioni alla ripresa dell'attività lavorativa.

Infatti, l'inosservanza del suddetto divieto costituiva ipotesi di reato penalmente sanzionata, poiché l'illecito ricorreva sulla base della semplice presunzione legislativa della idoneità della condotta a ledere, o mettere in pericolo, la salute della lavoratrice nel periodo di congedo post partum.

In tal senso si era espressa anche la giurisprudenza di legittimità confermando l'assoluta indifferenza dello stato di salute della donna, data l'obbligatorietà dell'astensione dal lavoro(Cass., Sez. Lav. n. 2466/2000).

L'art. 2 del D.Lgs. n. 119/2011, in vigore dall'11.8.2011 ha modificato il dettato normativo ed ha aggiunto il comma 1-bis all'art. 16, D.Lgs. n. 151/2001, per cui attualmente, in caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180° giorno dall'inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno la facoltà di riprendere in qualunque momento l'attività lavorativa, con un preavviso, da dare al datore di lavoro, di almeno dieci giorni.

Tuttavia è richiesto, come ulteriore condizione, che il medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro, attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della donna.

Nonostante il silenzio della normativa, ed in attesa di chiarimenti ministeriali, chi scrive ritiene:

- che la richiesta al datore di lavoro vada fatto per iscritto ;

- nella generalità dei casi dovrebbe bastare solo la certificazione del medico specialista del SSN, eccetto che nel caso in cui via sia l'obbligo di sorveglianza sanitaria, analogamente alla flessibilità di cui all'art. 20 del D.Lgs. n. 151/2001.


Fonte: IPSOA

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