In tema di determinazione del reddito d’impresa, commette il reato di dichiarazione fraudolenta il contribuente che si detrae i costi realmente sostenuti per una fattura solo “soggettivamente inesistente”.
L’importante precisazione arriva dalla Corte di cassazione che, con la sentenza 10394 del 16 marzo, ha trattato il ricorso di un’imputata accusata di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e di dichiarazione fraudolenta mediante fatture false.

Il fatto
A seguito dell’adozione nei confronti di un’imputata dei decreti di sequestro probatorio e preventivo perché indagata del delitto di associazione a delinquere (articolo 416, codice penale) per partecipazione a un’associazione criminosa finalizzata alla commissione di reati tributari, nonché per i delitti di cui agli articoli 2 e 8 del Dlgs 74/2000 (contenente la nuova disciplina dei reati fiscali), per avere utilizzato nella dichiarazione Iva 2007 fatture per operazioni soggettivamente inesistenti in concorso nell’emissione di tali documenti da parte di una Srl, il tribunale competente confermava con ordinanza i provvedimenti adottati.

L’indagata ricorre per cassazione, denunciando:
- violazione dell’articolo 2 del Dlgs 74/2000, per la non configurabilità del relativo reato in quanto si tratta di operazioni solo “soggettivamente” inesistenti per le quali l’imputata aveva effettivamente sostenuto i costi indicati in dichiarazione
- violazione dell’articolo 8 dello stesso Dlgs 74/2000, per erroneità della regula iuris utilizzata dal tribunale circa la configurabilità del concorso dell’indagata nel reato di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, che era invece addebitabile alla società che ha “materialmente” emesso le fatture.

Per completezza espositiva, si aggiunge che l’articolo 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) punisce chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o l’imposta sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica nelle dichiarazioni annuali elementi passivi fittizi, mentre, a sua volta, l’articolo 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) sanziona penalmente chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

Aspetti procedurali
La Cassazione ritiene parzialmente fondato il ricorso proposto, affermando che non è configurabile il concorso morale a titolo di istigazione tra colui che emette le fatture per operazioni inesistenti e colui che le utilizza, e viceversa, per la ragione che non assume più rilevanza - diversamente dal previgente regime punitivo - la fase preparatoria attuata dal contribuente per evadere l’imposta.

In particolar modo, la Corte adombra una differenza fondamentale tra il reato di cui all’articolo 2 e quello di cui all’articolo 8 del Dlgs 74/2000, in quanto mentre il primo configura un “reato di danno”, al pari della dichiarazione fraudolenta (articolo 3), della dichiarazione infedele (articolo 4) e dell’omessa dichiarazione (articolo 5), venendo a ledere direttamente l’interesse dello Stato alla riscossione dei tributi, il secondo invece configura un “reato di pericolo presunto”, con la cui locuzione si indica la punizione tout court della condotta “preparatoria” dell’evasione, consistente nella pura e semplice emissione di documenti fittizi da usare nelle dichiarazioni tributarie di terzi; condotta considerata idonea a mettere in pericolo l’interesse fiscale, anche se poi il terzo destinatario dei documenti non li utilizza concretamente nelle dichiarazioni fiscali.

Continuando nell’esegesi delle disposizioni contenute nel Dlgs 74/2000, la Cassazione aggiunge che, in deroga all’articolo 110 del codice penale (concorso di persone nel reato), il legislatore ha espressamente “escluso il concorso tra l’emissione e la utilizzazione di documenti fittizi, perché consentire che l’emittente sia chiamato a rispondere tanto del delitto di emissione, quanto di concorso nel delitto di utilizzazione tramite dichiarazione fiscale, significherebbe punirlo due volte per la medesima condotta” (è noto che nel sistema processuale penale - articolo 649 - vige il principio del divieto del ne bis in idem).
La deroga al concorso ovviamente opera nelle sole ipotesi previste dall’articolo 9 del Dlgs 74/2000, in quanto soggetti diversi dall’emittente o dall’utilizzatore possono concorrere nei reati ascritti, rispettivamente, all’emittente o all’utilizzatore secondo le regole ordinarie. In tale situazione, quindi, se il beneficiario utilizza poi effettivamente i documenti in una sua dichiarazione fiscale fraudolenta, egli non può essere punito due volte per lo stesso fatto, sia per il reato di cui all’articolo 2 sia a titolo di concorso morale per il reato di cui all’articolo 8. Infatti, secondo la trama argomentativa della motivazione della sentenza in esame, l’articolo 8 incrimina anche la mera emissione di fatture per operazioni inesistenti, punendola con la stessa pena prevista per il delitto di dichiarazione fraudolenta commessa avvalendosi proprio di fatture per operazioni inesistenti di cui all’articolo 2.

Decisione di merito
Nel merito, considerando che nei motivi di impugnazione l’imputata rimarca che nel caso di specie non sarebbe configurabile a suo carico il reato ipotizzato per la ragione che non sarebbero stati esposti in dichiarazione costi non sostenuti in quanto trattasi di fatture solo soggettivamente inesistenti, ossia di semplice simulazione soggettiva, la Suprema corte afferma che la censura, una volta che si è accertato che gli elementi passivi esposti in dichiarazione corrispondevano a costi effettivamente sopportati, potrebbe essere sostenibile soltanto per l’evasione nell’imposizione sui redditi, ma - alla stessa condizione - non potrebbe tuttavia avere alcuna validità nel sistema evasivo nell’imposta sul valore aggiunto, ove può essere configurabile anche in presenza di costi realmente sostenuti.

Va precisato, al riguardo, che la nozione di operazione soggettivamente inesistente risulta elaborata dalla giurisprudenza soprattutto con riguardo all’Iva (Cassazione 735/2010, 17377/2009, 15374/2002), mediante formulazione di principi che, costituendo applicazione di regole generali nell’ambito del contenzioso tributario, possono essere ritenuti comuni anche con riguardo all’applicazione di altri tributi. In particolare, con indirizzo ormai consolidato, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che:
•l’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non é riconducibile alla fattispecie - prevista dall’(abrogato) articolo 41, comma 3, del Dpr 633/1972 - dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, né a quella - prevista dall’articolo 21, comma 2, n. 1), del medesimo Dpr 633, testo vigente ratione temporis - di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui è effettuata l’operazione, ma va qualificata come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente (Cassazione 5719/2007)
•in particolare, la nozione di fattura soggettivamente inesistente presuppone, da una parte, l’effettività dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture e, dall’altra, la simulazione soggettiva, ossia la provenienza della merce da ditta diversa da quella che figura sulle fatture medesime (Cassazione 29467/2008)
•in ipotesi di inesistenza soggettiva, nella quale, pur essendo i beni entrati nella disponibilità patrimoniale dell’impresa cessionaria, risulti che l’emittente della fattura è soggetto diverso dal cedente/prestatore, l’obbligo di corrispondere l’importo corrispondente all’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dal precetto normativo di cui all’articolo 21, comma 7, Dpr 633/1972, mentre risulta evasa l’imposta dovuta, in base al fisiologico funzionamento del meccanismo Iva, per l’operazione effettivamente realizzata (Cassazione 6378/2006)
•nell’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta ivi formalmente indicata, ma richiede, altresì, che il committente/cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all’altruità della fatturazione, riscontri precisi, che non si esauriscono nella prova dell’avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonché dell’Iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al thema probandum, in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell’Iva e dei relativi, possibili, abusi (Cassazione 1950/2007)
•qualora l’Amministrazione contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture in quanto relative a operazioni inesistenti e fornisca attendibili riscontri indiziari sull’inesistenza delle operazioni fatturate, è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indebiti (Cassazione 21953/2007).

Del resto, l’intero meccanismo dell’Iva che poggia sul presupposto che il tributo sia versato a chi ha eseguito prestazioni imponibili (che a sua volta potrà compensarla con l’Iva corrisposta per l’acquisto di beni e di servizi) mentre il versamento dell’Iva a un soggetto non operativo apre la strada al recupero indebito dell’imposta stessa, trova riscontro anche nella giurisprudenza comunitaria. La Corte di giustizia (sentenze n. 78/2003, cause C-78/02 e C-79/02, e n. 566/2009, causa C-566/07) ha sottolineato che l’avvenuta fatturazione di un’operazione con applicazione dell’Iva mediante addebito alla controparte non è elemento assorbente per stabilire che il tributo resti definitivamente dovuto, in quanto tale effetto discende dalla ricorrenza delle condizioni oggettive e soggettive per l’applicazione dell’imposta medesima, rispetto alle quali l’addebito, isolatamente considerato, “non ha che una valenza indicativa del comportamento tenuto dal soggetto passivo”.

Conclusioni
Alla stregua delle considerazioni svolte, la Cassazione afferma l’esclusione, nel caso trattato, del concorso fra il delitto di emissione di documenti fittizi e quello relativo alla dichiarazione fraudolenta in capo al beneficiario dell’attività di produzione di documenti fittizi successivamente utilizzati nella dichiarazione al fine di eludere o evadere le imposte, demandando al giudice del rinvio l’attuazione delle seguenti direttive:
a. escludere il concorso tra emittente e utilizzatore delle fatture per operazioni inesistenti
b. ritenere configurabile nella fattispecie unicamente il reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex articolo 2 del Dlgs 74/2000, solamente per l’evasione dell’Iva, configurando altresì la medesima violazione ai fini delle imposte dirette qualora siano stati indicati in dichiarazione costi in tutto o in parte inesistenti relativi a operazioni fittizie.
Il tutto subordinatamente alla prioritaria valutazione nella fattispecie del tempus commissi delicti, poiché la possibilità di adozione del sequestro per equivalente finalizzato alla confisca è stata estesa dal legislatore ai reati tributati per i fatti delittuosi consumati a decorrere dal 1° gennaio 2008.


Fonte: Agenzia Entrate

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