In tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi d'impresa in presenza di irregolarità della contabilità meno gravi, l'Amministrazione può procedere a rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche per presunzioni, l'inesattezza o incompletezza delle scritture medesime. Viceversa, se constata un'inattendibilità globale delle scritture, l'ufficio è autorizzato a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva.

Con la sentenza 10277 del 24 aprile, la Corte di cassazione ha ribadito la legittimità di un accertamento induttivo basato sul consumo di carburante nei confronti di un autotrasportatore.

Il fatto

A seguito di una verifica della Guardia di finanza con la quale era stata appurata, presso una ditta, la maggiorazione di una fattura per l'acquisto di pneumatici, l'ufficio locale dell'agenzia delle Entrate notificava a un autotrasportatore per conto terzi un avviso di accertamento con il quale veniva elevato, nei confronti dello stesso, il reddito dichiarato, attribuendogli maggiori ricavi sulla base del consumo di carburante. Su tale base veniva, quindi, richiesta una maggiore imposta Irpef con l'applicazione delle sanzioni conseguenti.

L'iter giudiziario

Il contribuente adiva la Commissione tributaria provinciale, eccependo la violazione degli articoli 39 (redditi determinati in base alle scritture contabili) e 42 (avviso di accertamento) del Dpr 600/1973. Sosteneva che i ricavi erano in realtà quelli fatturati ai committenti e che la ricostruzione di questi ultimi non aveva tenuto conto dei viaggi effettuati a vuoto; chiedeva, pertanto, l'annullamento dell'avviso di accertamento o, in subordine, la limitazione della rettifica ai soli costi indeducibili, con le sanzioni per la sola infedele dichiarazione.

In primo grado la Commissione tributaria rigettava il ricorso del contribuente.

L'autotrasportatore appellava, denunciando nuovamente la violazione dell'articolo 39 del Dpr 600 per avere l'ufficio rettificato il suo reddito d'impresa, applicando il primo e non il secondo comma, contestando, nel merito, l'incidenza del costo del carburante.

La Commissione tributaria regionale accoglieva il gravame, ritenendo che l'ufficio, basandosi sul solo consumo del carburante, aveva applicato illegittimamente il primo comma dell'articolo 39 del Dpr 600 perché non era stato espresso l'iter logico seguito per quantificare l'incidenza della spesa per il consumo del carburante sui ricavi e, alla luce della fattura maggiorata, sosteneva che l'utilizzo delle medie o dei ricavi di settore andavano poi integrati da dati certi e significativi.

Avverso tale decisione il ministero dell'Economia e delle finanze e l'agenzia delle Entrate proponevano ricorso per Cassazione, denunciando la violazione dell'articolo 39, comma l, lettera d), del Dpr 600/1973 e degli articoli 2727 e 2697 del Codice civile, nonché l'omessa o comunque insufficiente motivazione per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto che la percentuale di incidenza dei costi vigente nel settore fosse non idonea a costituire presunzione fornita dei requisiti di legge, mentre le medie di settore possono essere sempre applicate in presenza di irregolarità contabili e quando la difformità tra queste e la percentuale dichiarata raggiunga livelli di abnormità e irragionevolezza tali da privare le risultanze contabili di ogni attendibilità.

Nella specie, ad avviso dell'Amministrazione finanziaria, tale abnormità era di sicuro sussistente in quanto il contribuente aveva dichiarato un'incidenza di costi oltre il doppio di quella corrispondente agli studi di settore.

La decisione

La Cassazione ha accolto il ricorso.

La motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale è apparsa alla Corte del tutto insufficiente, ma anche incongrua e contraddittoria per avere affermato, da una parte, la legittimità dell'applicazione del secondo comma dell'articolo 39 del Dpr 600 (che prevede l'accertamento induttivo in presenza di gravi irregolarità e omissioni nella tenuta delle scritture contabili) e, dall'altra, contestato l'esistenza di tali irregolarità e i risultati raggiunti con tale metodo.

In tema di rettifica delle dichiarazioni dei redditi d'impresa, la stessa Corte di cassazione ha recentemente affermato, sulla scia di pregressa giurisprudenza, che, in presenza di irregolarità della contabilità meno gravi (contemplate dal primo comma dell'articolo 39), l'Amministrazione può procedere a rettifica analitica, utilizzando gli stessi dati forniti dal contribuente, ovvero dimostrando, anche per presunzioni, purché munite dei requisiti di cui all'articolo 2729 del Codice civile, l'inesattezza o incompletezza delle scritture medesime.

Allorquando, invece, constati un'inattendibilità globale delle scritture, l'ufficio è autorizzato, ai sensi del successivo secondo comma, a prescindere da esse e a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi sforniti dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva.

La circostanza che le irregolarità contabili siano così gravi e numerose da giustificare un giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque, di per sé legittima l'adozione del metodo induttivo: l'Amministrazione può quindi utilizzare elementi esterni rispetto alle scritture, ma anche dati da queste emergenti, nella misura in cui risultino singolarmente affidabili.

L'esistenza dei presupposti per l'applicazione del metodo induttivo non esclude, ad avviso della Corte, che l'Amministrazione possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico di cui al primo comma dell'articolo 39, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie (metodo analitico e metodo induttivo, vedasi al riguardo Cassazione, sentenza 27068/2006); per cui, sulla base di tale principio, deve ritenersi del tutto legittimo un accertamento eseguito utilizzando ambedue i metodi di rettifica purché sussistano le relative condizioni previste per legge.

In caso di contabilità regolarmente tenuta, l'accertamento dei maggiori ricavi d'impresa può essere affidato alla considerazione della difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa raggiunga livelli di abnormità e irragionevolezza tali da privare, appunto, la documentazione contabile di ogni attendibilità.

Diversamente, siffatta difformità rimane sul piano del mero indizio, ove si consideri che gli indici elaborati per un determinato settore merceologico, pur basati su criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non sono idonei, da soli, a integrare una prova per presunzioni, ma costituiscono presunzioni semplici che devono essere assistite dai requisiti di cui all'articolo 2729 del Codice civile ed essere desunte da dati di comune esperienza ed esplicitate attraverso un adeguato ragionamento, tenuto anche conto delle reali circostanze di fatto.

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